Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4212 del 21/02/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 4212 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 10879-2012 proposto da:
TRENITAL1A S.P.A. C.F. 05403151003, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo
studio dell’avvocato GERARDO VESCI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017
3860

contro

GABROVEC SEVERINO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato
SABINA CICCOTTI, che lo rappresenta e difende

Data pubblicazione: 21/02/2018

unitamente

agli

avvocati MASSIMO RAFFA,

LARA

MELCHIOR, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 288/2011 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 23/02/2012 R.G.N. 45/2009;

udienza del 05/10/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO
DE GREGORIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato RAFFAELE PELLEGRINO per delega
verbale Avvocato GERARDO VESCI;
udito l’Avvocato SABRINA CICCOTTI.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

ud. 05-10-17 / r.g. n. 10879-12

SVOLGIMENTO del PROCESSO
Il giudice del lavoro di TRIESTE, adito da GABROVEC Severino per ottenere il pagamento
dell’indennità di posizione, terza misura, nei confronti di TRENITALIA S.p.A., con riferimento agli
appartenenti alla ottava categoria, in relazione alle mansioni di DIRIGENTE CENTRALE TRASPORTO
REGIONALE presso l’Impianto Trazione Regionale di Trieste, cui l’attore era stato adibito dal primo
marzo 2001, accoglieva la domanda. Si trattava, secondo l’attore, di un’indennità (terza misura)
spettante ai quadri, prevista dall’articolo 92 del c.c.n.l. 1996/99, che aveva sostituito l’art. 49 del
contratto collettivo 1990-92, per cui con accordi sindacali del 1991, del tre giugno 1992 e del 13
maggio 1993 tale indennità era dovuta ai DCCT (dirigenti centrali coordinamento trazione, le cui

a seguito di accordo sindacale del 3 marzo 1995), in quanto personale che svolgeva funzioni
caratterizzate da un alto contenuto di autonomia gestionale e organizzativa con dirette
responsabilità di direzione e di alta specializzazione professionale. La ristrutturazione aziendale, che
nel 1995 aveva portato alla sostituzione dei depositi locomotive con gli impianti di riferimento,
ancora secondo parte attrice, non aveva inciso sui contenuti delle mansioni dei DCT Loc., né di
conseguenza sull’alto contenuto di autonomia gestionale e organizzativa, e il giudice di primo grado,
all’esito dell’attività istruttoria espletata, aveva ritenuto fondate le pretese azionate per il
mantenimento delle indennità precedentemente riconosciute ai dirigenti centrali coordinatori
trazione (DCCT). Sussisteva continuità, infatti, tra le figure dei DCCT e del DCT loc., la cui unica
differenza era puramente nominale, essendo sostanzialmente rimasti immutati i contenuti
mansionali, sicché anche ai DCT loc. competeva la terza misura dell’indennità di posizione. Peraltro,
a seguito della divisionalizzazione del 1999 e della conseguente creazione di tre divisioni, i DCT della
divisione trasporto regionale avevano assunto la denominazione di DCTR (dirigenti centrali trasporto
regionale). Anche tale mutamento, solo nominalistico, non era andato ad incidere sui contenuti
mansionali dei lavoratori interessati (DCTR, al pari dei DCCT e dei DCT).
Avverso la pronuncia di primo grado interponeva gravame TRENITALIA S.p.A., quindi respinto dalla
Corte d’Appello di Trieste come da sentenza n. 288 in data 22 dicembre 2011 – 23 febbraio 2012,
poi notificata il 9 marzo 2012, contro la quale la medesima società ha quindi proposto ricorso per
cassazione (3-4/ maggio 2012, perciò entro il termine di 60 giorni) con tre motivi, cui ha resistito
GABROVEC Severino mediante controricorso in data 14 giugno 2012.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

MOTIVI della DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente ha lamentato violazione, errata interpretazione e falsa

applicazione degli articoli 49 contratto collettivo nazionale di lavoro 1990-92 e dell’accordo di
procedura sottoscritto con le organizzazioni sindacali il «13 maggio 1995» nonché degli
articoli 1362 seguenti c.c. -articolo 360 numero tre c.p.c..

A seguito dell’organizzazione societaria avvenuta nel 1995, che aveva sostanzialmente
modificato le mansioni dei lavoratori interessati, l’indennità richiesta non era dovuta, poiché
l’attribuzione dell’indennità di posizione per le figure di nuova istituzione (DCT) doveva formare
1

attività erano confluite nella figura dei Dirigenti Centrali Trasporto DCT e più precisamente DCT Loc.

ud. 05-10-17 i r.g. n. 10879-12

oggetto di apposita contrattazione collettiva, però non avutasi. Infatti, con l’entrata in vigore
nel dicembre 1995 della convenzione FS tra area rete e area trasporto, la struttura dei dirigenti
Centrali Coordinatori TRAZIONE (DCCT) aveva mutato collocazione, funzioni e denominazione
in Dirigenti Centrali di Trasporto (DCT), ciò che aveva comportato notevoli variazioni operative
precedentemente svolte dai DCCT rispetto a quelle successivamente espletate dai DCT e in
particolare dai DCT/Loc …
Tali modifiche organizzative risultarono ancora più evidenti a seguito del processo

di TRENITALIA, con conseguente radicale rinnovazione delle posizioni di lavoro. E a seguito
della divisionalizzazione venne istituita la nuova figura del Dirigente Centrale Trasporto
Regionale (DCTR, in cui fu collocato il GABROVEC), la quale, a differenza del DCT, era
caratterizzata per una limitazione delle mansioni svolte, poiché difettava la funzione di
coordinamento ed inoltre i mezzi ed il relativo personale addetto erano numericamente inferiori.
D’altro canto, l’indennità di posizione doveva formare oggetto di apposite valutazioni
concordate con le organizzazioni sindacali. Lo stesso articolo 49 stabiliva infatti la misura
minima al personale immesso nelle nuove mansioni di DCT di 8a categoria nell’anno 1995. Tale
disposizione, confermata nei successivi contratti collettivi, prevedeva il pagamento a favore del
personale appartenente all’area quadri di una indennità articolata inr4zeirt;;Mi. In particolare,
il punto 2b stabiliva che l’indennità di posizione fosse erogata su 3 misure in relazione al posto
di funzione effettivamente ricoperto dal dipendente dell’allora ferrovie dello Stato.
Il successivo accordo del 13 maggio 1993, in applicazione del rinvio operato dall’articolo 49,
effettuava la verifica della revisione organizzativa delle posizioni dell’area quadri ai fini
dell’attribuzione delle misure delle relative indennità. In particolare, la necessità di procedere
ad una nuova valutazione delle posizioni lavorative per l’attribuzione dell’indennità si palesava
inevitabile, attesa la riorganizzazione che aveva interessato il settore trazione, e conformandosi
alla previsione di cui all’articolo 49 rendeva pienamente legittimo il comportamento dell’allora
Ferrovie dello Stato, che aveva congelato una situazione preesistente in attesa di poter
ride finire le nuove indennità.
La sentenza di appello aveva, inoltre, del tutto omesso di valutare gli accordi che si erano
susseguiti in materia, violando gli articoli 1362 e ss. c.c.. L’impugnata pronuncia, pertanto,
aveva errato nell’attribuire all’attore l’indennità in questione in difetto di una specifica prova
dell’effettivo svolgimento delle funzioni tipiche delle figure professionali, cui competeva tale
indennità, incorrendo di conseguenza in un palese errore interpretativo dei citati accordi.
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riorganizzativo de11999, che interessò il gruppo FS, con il passaggio dell’attore alle dipendenze

ud. 05-10-17/ r.g. n. 10879-12

Con il secondo motivo di ricorso è stata, poi, dedotta la violazione, errata, interpretazione e
falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) e con terzo motivo (formulato
unitamente al precedente) è stata denunciata la omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su di un punto decisivo della controversia (articolo 360 numero 5 c.p.c.).
La Corte d’Appello, secondo la società, non aveva adeguatamente motivato le ragioni in virtù
delle quali ritenere che la prova orale avesse suffragato le domande di parte attrice. In aperta

apprezzamento le emergenze istruttorie emerse in corso di causa. La prova per testi aveva
dato risultanze talmente favorevoli alle tesi della società che, qualora la Corte si fosse
soffermata a meglio esaminarle, avrebbe dovuto necessariamente concludere per la riforma
della sentenza di primo grado. Marchiano era, infatti, l’errore in cui la Corte distrettuale era
incorsa nell’esame delle dichiarazioni rese dal teste ALTABELLA. Era evidente l’errore in cui era
caduta la Corte di Appello, che aveva radicalmente omesso di esaminare e completamente
travisato il significato di tale testimonianza. Infatti, il teste non solo aveva confermato che in
buona sostanza le procedure cui oggi doveva attendere il GABROVEC, v,’,9egnpletamente
automatizzate, ma aveva altresì escluso che le competenze odierne fossero le stesse di quelle
che originariamente avevano legittimato il conferimento dell’indennità richiesta. In buona
sostanza, tale testimonianza aveva scavato un solco rispetto alle attività svolte dalla originaria
figura, cui competeva l’indennità richiesta, e quella svolta all’epoca dei fatti di causa dal
GABROVEC. Per contro, la Corte di merito, nonostante ne avesse tenuto conto, aveva ritenuto
impropriamente di interpretare le parole del teste in un senso che non era loro proprio e
soprattutto in totale contrasto con quello per il senso del conferimento della 3a misura
dell’indennità di posizione quadri.
Invero era evidente l’assenza di qualsiasi autonomia da parte del controricorrente. Dunque,
sussisteva la palese violazione dell’art. 116 del codice di rito.
Le anzidette censure, che per la loro stretta connessione possono esaminarsi congiuntamente,
vanno disattese in forza delle seguenti considerazioni, dovendosi peraltro osservare anche
come parte ricorrente abbia omesso di depositare il testo integrale dei contratti collettivi (invece
occorrente ex art. 369 comma II n. 4. c.p.c. a pena d’improcedibilità), menzionati a sostegno
delle proprie censure.
In particolare, secondo la Corte triestina, la nota del responsabile personale e organizzazione
della divisione trasporto regionale in data 17 settembre 1999 (“la nuova figura del DCTR ha
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violazione dell’articolo 116 c.p.c. la Corte territoriale non aveva sottoposto a prudente

ud. 05-10-17 / r.g. n. 10879-12

caratteristiche diverse da quelle del DCT ante divísionalizzazione”), si fondava su un errore di
prospettiva: essa infatti poneva a confronto la figura del DCTR di 8a categoria con quella del
DCT di 9a categoria, cioè il DCT treni e non quella del DCT di 8^ categoria (DCT LOC). Appariva,
quindi, erroneo presupposto organizzativo/formale su cui si basava in ultima analisi il rifiuto di
Trenitalia di attribuire all’attore la 3a misura dell’indennità di posizione. Peraltro, sul piano
concreto, e quindi a prescindere da denominazioni astratte, i testi escussi avevano confermato
la sostanziale continuità tra la figura del DCT LOC (succeduto nelle mansioni al DCCT per

deposto anche il teste Maurizio ALTABELLA, il quale aveva finito per ammettere che i
provvedimenti tecnici alla fine erano sempre gli stessi del periodo precedente e che il lavoro
sostanzialmente era sempre lo stesso anche se rispetto agli anni passati c’era stato un aiuto
informativo notevole sicché le cose erano diventate più facili con la maggiore standardizzazione
del lavoro. In senso analogo avevano pure deposto i testi CARDULLO, VELLONE e IOZZI (cfr.
pagg. 7 e 8 della sentenza d’appello). L’unica divergenza tra i testi si era rivelata all’esito del
confronto solo apparente, o meglio si era chiarito che essatneva le
-te

fatti, ma loro

qualificazione, così come specificamente dettagliatamente precisato alle pagine della pronuncia
di appello. L’appellante Trenitalia non aveva poi mai spiegato perché e sotto tale profilo l’attività
dei DCTR fosse caratterizzata da un grado di autonomia, responsabilità e professionalità
inferiore a quello che avevano le mansioni svolte dai DCT LOC prima della divisionalizzazione
dai DCCT prima del 1995. Anzi, il fatto che nel passaggio dall’una all’altra le funzioni tipiche
delle suddette figure fossero rimaste sempre le stesse, come avevano concordemente riferito i
testi, induce a ritenere -in mancanza di prove e di specifiche deduzioni in senso contrario- che
gli aspetti caratteristici di ciascuna (sotto il profilo dell’autonomia, della responsabilità e della
professionalità) non avessero subito cambiamenti sostanziali.
Quanto alla funzione di coordinamento del personale, i testi sentiti avevano chiarito che i DCT
LOC non avevano mai svolto questa attività, nel senso che non si erano mai occupati della
gestione dei turni. Invece, circa il coordinamento del personale in caso di criticità e di
emergenze, non vi era alcuna differenza tra le due figure in esame (nel senso che il DCTR aveva
continuato a fare esattamente ciò che faceva il DCT LOC e ancor prima il DCCT di 8a categoria).
Ugualmente estranei ai criteri adottati dalla contrattazione collettiva in materia risultavano
aspetti come il tipo di orario e l’utilizzo di supporti tecnologici ed informatici, per cui il fatto che
nel corso del tempo questi risultavano aumentati non valeva a sminuire l’autonomia, la

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espressa previsione dell’accordo del 3 marzo 1995) e quella del DCTR (in tal sensi aveva

ud. 05-10-17/ r.g. n. 10879-12

responsabilità e la professionalità del DCTR rispetto a quelle del DCT loc e prima ancora dei
DCCT.
Orbene, a fronte dei succitati motivati accertamenti ed apprezzamenti della Corte di merito, si
appalesano inconferenti ed inammissibili le anzidette censure della ricorrente, che in effetti
pretende irritualmente in questa sede di legittimità una nuova rivalutazione però non consentita
in base alla critica c.d. vincolata ammessa nei rigorosi limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., dovendosi
infatti ricordare come sia inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca,

fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio
di legittimità in un nuovo, ma non consentito, terzo grado di merito (in tal sensi, tra le più
recenti, si è pronunciata questa S.C., sez. III civ. – 3, come da ordinanza n. 8758 del
04/04/2017).
D’altro canto, in tema di ricorso per cassazione una questione di violazione o di falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale
istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che
quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte
d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente
apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova,
recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass.
VI civ. – L n. 27000 del 27/12/2016. Cfr. parimenti Cass. III civ. n. 11892 del 10/06/2016: la
violazione dell’art. 116 c.p.c. -norma che sancisce il principio della libera valutazione delle
prove, salva diversa previsione legale- è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4,
c.p.c., solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga
normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una
prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime), sicché nella specie di cui è qui
processo, alla luce delle suddette ampie argomentazioni, fornite dalla Corte territoriale, non si
ravvisano, evidentemente, gli estremi di legge per ritenere violate le disposizioni di cui ai
succitati artt. 115 e 116
In particolare, quanto poi all’ipotizzato vizio di motivazione, le doglianze addotte dalla ricorrente
risultano, ad ogni modo, pure difformi dalle previsioni dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.
proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.
40 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, come riferita ad “un fatto controverso
e decisivo per il giudizio”), secondo il testo nella fattispecie qui in esame ratione temporis
5

apparentemente, una violazione di norme di legge, mirando, in realtà, alla rivalutazione dei

ud. 05-10-17 / r.g. n. 10879-12

applicabile, tenuto conto della pubblicazione della sentenza de qua risalente al febbraio
dell’anno 2012, mancando qualsiasi riferimento ad un preciso accadimento o a una precisa
circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o
“argomentazioni”, che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle
censure così irritualmente formulate, essendo insindacabili in questa sede di legittimità le
argomentazioni in base alle quali la Corte di merito ha giudicato infondate le pretese azionate
nei confronti della convenuta società (cfr. del resto Cass. I civ. n. 14267 del 20/06/2006 ed

principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art.
360, primo comma, numero 5), cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura
della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità), a
fronte degli anzidetti motivati accertamenti ed apprezzamenti, in punto di fatto. Invero, come
è noto, pure la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza, impugnata con ricorso per
cassazione, conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo
della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal
giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza,
di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o
all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne
consegue che il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza,
contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel

altre di segno analogo, secondo cui in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al

ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente)
esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero
quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da
non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione
(Cass. sez. un. civ. n. 13045 del 27/12/1997. In particolare, alla cassazione della sentenza,
per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del
ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto,
incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli

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elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.

i\

ud. 05-10-17 / r.g. n. 10879-12

V. Cass. III civ. n. 20322 del 20/10/2005, conformi Cass. n. 2222 e n. 12467 del 2003, n. 7073
del 28/03/2006, n. 12362 del 24/05/2006, n. 11039 del 12/05/2006, n. 6264 del 21/03/2006,
n. 4001 del 23/02/2006, n. 1120 del 20/01/2006, nonché n. 15805 del 28/07/2005, n. 11936
del 2003 e n. 15693 del 2004.
V. in senso analogo inoltre Cass. I civ. n. 1754 del 26/01/2007, Cass. lav. n. 15489 del g.
11/07/2007 conformi Cass. n. 91 del 07/01/2014, n. 5024 del 2012, n. 18119 del 02/07/2008,
n. 23929 del 19/11/2007 – Cass. lav. n. 6288 del 18/03/2011, Cass. sez. un. civ. n. 24148 del

14/11/2013 conforme Cass. n. 14973/ 2006).
Pure la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., richiede
soltanto che l’esposizione dei fatti di causa riassuma concisamente il contenuto sostanziale
della controversia e che nella motivazione sia chiaramente illustrato il percorso logico-giuridico
seguito, sicché è sufficiente che la sentenza consenta di desumere la ragione per la quale ogni
istanza proposta dalle parti sia stata esaminata e di ricostruire l’esatto ragionamento posto a
base della decisione (v. in tal sensi Cass. lav. n. 21420 del 21/10/2015. Parimenti, secondo
Cass. III civ. n. 20112 del 18/09/2009 e n. 3596 del 10/12/1971. Vale la pena, altresì, di
richiamare il principio ribadito da Cass. sez. un. civ. n. 22232 del 03/11/2016, secondo cui la
motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”,
quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della
decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il
ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi
lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. In senso
analogo v. anche Cass. Sez. 6 – 5, n. 9105 del 07/04/2017: ricorre il vizio di omessa o
apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli
elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro
disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e
sulla logicità del suo ragionamento).
Dunque, il ricorso va respinto, dovendosi peraltro richiamare quanto già deciso in casi analoghi,
in rito e nel merito, da questa Corte con le sentenze n. 8714 e n. 8713 del 21/03 – 27/04/2005,
nonché da con la sentenza n. 20806 del 20/04 – 14/10/2016, pure con la giurisprudenza ivi
citata.
Pertanto, non rilevandosi errori di diritto nell’impugnata sentenza -a parte ogni altra
considerazione circa l’ammissibilità di complete ed esaurienti allegazioni ex art. 366 c.p.c. e la \
7

25/10/2013, Cass. III civ. n. 17037 del 20/08/2015, nonché Cass. lav. n. 25608 del

ud. 05-10-17 / r.R. n. 10879-12

pertinenza delle censure dedotte in relazione alle critiche vincolate consentite nei soli limiti
fissatati dall’art. 360 c.p.c.- né tanto meno alcuna nullità di sorta, rilevante ai sensi dell’art.
360 n. 4 dello stesso codice, il ricorso va respinto, con conseguente condanna della
soccombente ai rimborso delle relative spese.
P.Q.M.
la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che
liquida a favore del controricorrente in euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi

i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma il cinque ottobre 2017
IL CONS LIERE estensore
dr. Fede ico De Gregorio

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IL PRESIDENTE
dr. Vittorio Nobile

professionali ed in euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%,

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