Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4211 del 17/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 17/02/2017, (ud. 09/01/2017, dep.17/02/2017),  n. 4211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1507-2014 proposto da:

SERVIZI AVANZATI SRL, (OMISSIS) in persona dell’amministratore unico

e legale rappresentante pro tempore P.O., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 2, presso lo studio dell’avvocato

MARIA ROSARIA GALELLA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO

PIZZUTELLI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SERVIZI AVANZATI SRL (OMISSIS), in persona dell’amministratore unico

e legale rappresentante pro tempore P.O., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 2, presso lo studio dell’avvocato

MARIA ROSARIA GALELLA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO

PIZZUTELLI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

ENEL DISTRIBUZIONE SPA, (OMISSIS), P.O. COSTITUITOSI CON

CRICORO INCIDENTALE DEL 06/03/2014;

– intimati –

Nonchè da:

ENEL DISTRIBUZIONE SPA (OMISSIS) in proprio e quale procuratrice di

ENEL SPA in persona del procuratore Avv. TIZIANA TOSTI,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI SANT’ANDREA DELLA VALLE

6, presso lo studio dell’avvocato STEFANO D’ERCOLE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA PALOMBI giusta

procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2748/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito l’Avvocato MARCO PIZZUTELLI;

udito l’Avvocato NICOLA PALOMBI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del

ricorso e rigetto ricorso incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato in data 14 dicembre 2000 P.O., in proprio e quale legale rappresentante della società Servizi Avanzati s.r.l., convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Cassino Enel s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni nella misura di Lire 1.000.000.000, o alla somma maggiore o minore da accertarsi, con interessi e rivalutazione. Espose in particolare parte attrice quanto segue. La società aveva gestito dal 1972 al 21 ottobre 1996 l’attività industriale di lavorazione del legno nello stabilimento sito in S. Elia Fiumerapido (FR). Il giorno (OMISSIS) un dipendente della società era rimasto folgorato dopo essere venuto accidentalmente in contatto, tramite un palo, con la linea elettrica ad alta tensione in prossimità della cabina Enel situata all’interno dello stabilimento. La cabina era stata sottoposta immediatamente a sequestro penale e la consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero aveva accertato che il conduttore di energia elettrica in rame nudo di proprietà dell’Enel risultava posto ad altezza inferiore a quella minima prescritta dal D.M. 21 marzo 1988, di 6 mt. Lo stabilimento era rimasto privo di energia elettrica, con ingentissimi danni e fermo dell’attività produttiva, e Enel s.p.a. nulla aveva fatto per ripristinare la linea elettrica, anche attraverso la sostituzione dell’impianto con la realizzazione di nuova linea. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda.

2. Il Tribunale adito rigettò la domanda. In particolare, dopo avere qualificato come inadempimento contrattuale la condotta tenuta dalla convenuta, dichiarò inammissibile la domanda risarcitoria da mancata locazione a terzi dello stabilimento, ritenendola non proposta nell’atto di citazione ma nella memoria ai sensi dell’art. 184 c.p.c., e rigettò le ulteriori istanze risarcitorie, ritenendole sfornite di prova.

3. Avverso detta sentenza proposero appello P.O., in proprio e quale legale rappresentante della società Servizi Avanzati s.r.l., ed appello incidentale Enel.

4. Con sentenza di data 15 maggio 2013 la Corte d’appello di Roma accolse parzialmente l’appello principale proposto da Servizi Avanzati s.r.l., condannando Enel Distribuzione s.p.a., in proprio e quale procuratrice di Enel s.p.a., al pagamento a titolo risarcitorio della somma di Euro 47.200,00 oltre interessi dalla sentenza, e rigettò sia l’appello proposto da P.O. in proprio che l’appello incidentale. Osservò la corte territoriale quanto segue.

L’infortunio mortale non aveva conseguenze nel procedimento dovendosi valutare se la mancata riattivazione della fornitura di energia elettrica costituisse inadempimento contrattuale. Il sequestro era inidoneo a far venir meno l’obbligo contrattuale potendo l’erogazione avvenire anche attraverso altra fonte, mentre irrilevante era l’assenza di istanza specifica del somministrato, titolare del diritto alla prestazione in ottemperanza al contratto. La domanda risarcitoria avente ad oggetto il danno da mancata stipulazione di contratti di locazione dello stabilimento comportava un mutamento dei fatti costitutivi della pretesa (danno da mancata sfruttamento indiretto, anzichè diretto come originariamente dedotto), sicchè costituiva domanda nuova, ed ove non ritenuta nuova comunque sull’interessato gravava l’onere di specificazione ed integrazione con le modalità e nei termini di cui all’art. 183 c.p.c. L’interruzione dell’erogazione di energia elettrica costituiva fonte di danno in re ipsa: la società aveva un fatturato in crescita, al momento della cessazione dell’erogazione di energia elettrica il bilancio esponeva un utile di esercizio; ricorreva comunque il danno per perdita di chance sotto il profilo della mancanza di occasioni per un’eventuale riconversione dell’attività; ulteriori elementi erano l’esistenza di un patrimonio immobiliare libero da pesi e gravami e l’avviamento, che l’inattività produttiva per circa dieci anni aveva contratto. Facendo ricorso al criterio equitativo, in mancanza dell’allegazione di costi sopportati e della prova di commissioni non evase, di spese di manutenzione e di esborsi per emolumenti ai dipendenti, la liquidazione non poteva che essere parametrata alla redditività dell’impresa sulla base degli utili conseguiti. Considerando la media di detta posta di bilancio già rivalutata per quanto attiene agli anni dal 1996 al 2002, rapportata agli anni di inattività, il danno ammontava Euro 30.000,00 e, calcolando il lucro cessante dal 2002 alla data della sentenza in via equitativa, l’importo ascendeva a Euro 38.000,00, corrispondenti a Euro 30.280,00 se riferiti al gennaio 2002. Calcolata la semisomma (Euro 34,140,00) e tenuto conto degli interessi legali dal 1 gennaio 2002 alla data della sentenza (Euro 9.200,00), la liquidazione complessiva ammontava a Euro 47.000,00 oltre gli interessi legali dalla sentenza.

5. Ha proposto ricorso per cassazione Servizi Avanzati s.r.l. sulla base di quattro motivi. P.O. in proprio ha presentato dichiarazione di acquiescenza alla sentenza. Resiste con controricorso la parte intimata, che ha proposto altresì ricorso incidentale sulla base di due motivi. E’ stato proposto controricorso in relazione al ricorso incidentale. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 183 e 184, 132, 118 att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed in subordine omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che nell’atto introduttivo del giudizio era stato esposto che il danno derivava dal non aver potuto evadere le commesse antecedentemente assunte, dalla perdita della clientela e dalla gestione passiva dello stesso opificio e che il pregiudizio economico non si era limitato alla diminutio patrimonii (immobilizzo del materiale, retribuzione del personale, mancato ammortamento delle attrezzature, ecc.), ma comprendeva altresì il lucro cessante – consistente nel mancato accrescimento del patrimonio sotto il profilo del conseguimento degli utili normalmente ritraibili grazie all’impiego delle attrezzature e del potenziale dell’azienda, beni di per sè produttivi di ricchezza. Lamenta che non corretta era la statuizione secondo cui la domanda concernente il risarcimento del danno derivante dalla mancata conclusione di contratti di locazione era domanda nuova introdotta soltanto con la memoria ex art. 184 c.p.c., posto che stante l’unitarietà del diritto al risarcimento la relativa domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno, salvo che dall’indicazione di specifiche voci di danno, di norma di carattere esemplificativo, non si debba ragionevolmente ricavare la volontà di escludere le voci non menzionate, e che non esisteva alcun onere di specificazione ed integrazione con le modalità e nei termini di cui all’art. 183 c.p.c. (peraltro nella sentenza si riconosce il danno per perdita di chance sotto il profilo della mancanza di occasioni per un’eventuale riconversione dell’attività, che può sostanziarsi anche nell’affitto dell’azienda o nella locazione dell’immobile).

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 1226 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. e art. 118 att., ed in subordine omesso esame di fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5. Lamenta la ricorrente che, considerato che l’interruzione dell’erogazione dell’energia elettrica risaliva al (OMISSIS) (e dunque da più di sedici anni al momento della decisione), simbolico ed irrisorio appare l’ammontare del danno liquidato in Euro 47.200,00 (circa Euro 2.950,00 all’anno), come anche emerge dal raffronto con le risultanze processuali per ciò che concerne il valore locativo.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 1226 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. e art. 118 att., ed in subordine omesso esame di fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5. Osserva la ricorrente che il giudice di appello ha illogicamente assunto quale parametro per la liquidazione del danno gli anni successivi al 1996, nei quali gli utili risultano azzerati per la cessazione della produzione, dovendo invece assumere quale riferimento i bilanci antecedenti al 1996, e che per un verso non si comprende come muovendo dall’importo di Euro 30.280,00 si giunga all’attualità all’importo di Euro 38.000,00 per l’altro non risultano conteggiati gli undici anni decorrenti dal 1 gennaio 2002 alla data della sentenza. Aggiunge che il giudice di appello ha omesso di considerare la perdita dell’avviamento e l’irrimediabile deterioramento di macchinari ed impianti industriali, nonchè dei beni immobili, in violazione del principio di integralità del risarcimento del danno.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 1226 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. e art. 118 att., ed in subordine omesso esame di fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5. Osserva la ricorrente che il giudice di appello, dopo avere riconosciuto sussistente il danno di perdita di chance sotto il profilo della mancanza di occasioni per la riconversione dell’attività, ha omesso di tenerne conto in sede di determinazione equitativa del danno.

5. Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Osserva la ricorrente in via incidentale che l’interruzione della somministrazione di energia elettrica è imputabile al sequestro penale della cabina di erogazione dell’energia elettrica, che non consentiva la riattivazione del servizio, e che, quanto all’erogazione con mezzi alternativi, il giudice di appello non aveva valutato che non vi era stata alcuna richiesta in tal senso da parte del sig. P., il quale se avesse avuto realmente intenzione di proseguire la sua attività non sarebbe rimasto inerte.

6. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 1227, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che la causazione dell’evento è imputabile esclusivamente al P. ed al dipendente perchè la tubazione, sollevata in senso verticale, che aveva condotto la scarica fatale era lunga sei metri e dunque anche se la linea elettrica fosse stata conforme alla normativa vigente (sei metri dal suolo) il contatto con il conduttore di energia elettrica si sarebbe comunque verificato. Aggiunge che quanto meno vi era il concorso del P. e che era stato omesso l’esame della circostanza evidenziata.

7. Stante il carattere pregiudiziale, va esaminato prioritariamente il ricorso incidentale. Il primo motivo è inammissibile. La censura resta estranea alla ratio decidendi perchè l’ascrizione dell’inadempimento contrattuale in capo a Enel s.p.a. è stata effettuata dal giudice di appello non sulla base dell’interruzione della somministrazione di energia elettrica conseguente al sequestro penale della cabina, ma sulla base della mancata riattivazione della fornitura di energia elettrica. La censura non intercetta la ratio decidendi anche laddove si afferma che il giudice di appello non avrebbe valutato che non vi era stata alcuna richiesta in tal senso da parte del sig. P.. La circostanza è stata valutata dalla corte territoriale, che ha ritenuto irrilevante l’assenza di istanza specifica del somministrato, considerando la sua qualità di titolare del diritto alla prestazione in ottemperanza al contratto (peraltro correttamente sul piano giuridico, dovendosi presumere la persistenza del diritto all’adempimento da parte del creditore e della correlativa obbligazione della società somministratrice).

8. Anche il secondo motivo è inammissibile, sotto due profili. In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443). Ai fini dell’ammissibilità del ricorso è necessario che la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. 6 maggio 2015, n. 9100). Nel caso di specie la denuncia di vizio motivazionale (omesso esame della riconducibilità, quanto meno entro un determinato grado, al P. dell’evento che ha determinato l’interruzione dell’erogazione di energia elettrica) non è disancorabile dalla violazione di legge relativamente al concorso colposo del creditore.

8.1 In secondo luogo la censura nuovamente non coglie la ratio decidendi. Il giudice di merito ha escluso la rilevanza dell’infortunio mortale avendo radicato la responsabilità per inadempimento, come si è sottolineato, sulla mancata riattivazione della fornitura di energia elettrica dopo il sequestro della cabina. Rispetto a tale attribuzione di responsabilità ininfluente è una censura basata sulla dinamica dell’evento che ha visto il decesso del dipendente della società Servizi Avanzati s.r.l.

9. Passando al ricorso principale, il primo motivo è inammissibile. Non è in discussione il principio secondo cui in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l’unitarietà del diritto al risarcimento ed il suo riflesso processuale dell’ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta (Cass. 23 ottobre 2014, n. 22514; 31 agosto 2011, n. 17879). La censura difetta tuttavia di specificità. Avendo la parte domandato e conseguito, sulla base della decisione impugnata, il ristoro per il danno derivante dell’inattività produttiva, con liquidazione giudiziale nella specie parametrata alla redditività dell’impresa sulla base degli utili conseguiti, la denuncia del mancato riconoscimento del danno da mancata stipulazione di contratti di affitto dell’azienda resta priva di comprensibilità posto che il danno da inattività produttiva e quello da mancata locazione sono alternativi. Sotto quest’aspetto la censura pecca anche sul piano dell’autosufficienza del ricorso. Posta l’alternatività di danno da inattività produttiva e danno da mancata locazione, la ricorrente non ha specificatamente indicato se ed in quali termini abbia chiesto una voce di danno, quale quella da mancata locazione, che non può essere logicamente inclusa nella domanda risarcitoria ove sia stato specificatamente richiesto il danno da inattività produttiva.

10. Il secondo motivo è infondato. Secondo il costante orientamento di questa Corte, è censurabile in sede di legittimità l’esercizio del potere equitativo del giudice di merito solo quando la liquidazione del danno stesso appaia manifestamente simbolica o per nulla correlata con le premesse in fatto in ordine alla natura ed all’entità del danno dal medesimo giudice accertate (fra le tante Cass. 2 marzo 2004, n. 4186; 27 giugno 2006, n. 14776). La premessa di fatto da cui il giudice di merito ha preso le mosse per la valutazione equitativa del danno è l’utile di esercizio. La stessa ricorrente, richiamando nel ricorso alle pagine 48 e 49 quanto contenuto nell’atto di appello, ha indicato per il 1995 un utile pari a Lire 4.328.129 e per il 1996 un utile pari a Lire 6.065.653. Rispetto alla premessa di fatto dell’utile annuo accertata dal giudice di merito, non si appalesa l’irrisorietà o simbolicità del danno denunciato, avuto riguardo all’importo di Euro 2.950,00 all’anno, indicato dalla stessa ricorrente quale corrispondente all’ammontare liquidato dal giudice.

11. Il terzo motivo è infondato. Va premesso che la censura per una parte non intercetta la ratio decidendi perchè attribuisce alla sentenza impugnata l’utilizzo quale parametro per la determinazione equitativa degli utili risultanti dai bilanci successivi al 1996. Tale ratio non si coglie dalla sentenza, la quale richiama in primo luogo il criterio rappresentato dagli utili conseguiti ed in secondo luogo utilizza tale posta di bilancio per la determinazione del danno dal 1996 al 2002, identificando l’importo rivalutato di Euro 30.000,00.

11.1. La valutazione equitativa del giudice di merito non si presta ad essere censurata, avendo preso le mosse dal dato di fatto degli utili conseguiti. Tale criterio risulta adoperato perchè l’accertamento di fatto del giudice di appello è stato nel senso della mancanza dell’allegazione di costi sopportati e delle prova di commissioni non evase, di spese di manutenzione e di esborsi per emolumenti ai dipendenti. La coerenza e non arbitrarietà del procedimento di liquidazione del danno, ed in particolare la legittimità del ricorso al parametro dell’utile di bilancio, va quindi valutata con riferimento alle premesse di fatto accertate dal giudice di merito (nè risulta un’impugnazione per vizio motivazionale di tale accertamento, essendosi la ricorrente limitata a richiamare il puro dato di fatto della perdita dell’avviamento e dell’irrimediabile deterioramento di macchinari ed impianti industriali, nonchè dei beni immobili). Resta quindi fermo che l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (Cass. 15 marzo 2016, n. 5090; e aprile 2013, n. 8213). Per l’epoca successiva al 2002 il giudice di appello ha determinato in via equitativa il lucro cessante all’attualità e ha fatto applicazione degli interessi legali.

12. Il quarto motivo è inammissibile, per le stesse ragioni del primo motivo. Avendo la parte domandato e conseguito, sulla base della decisione impugnata, il ristoro per il danno derivante dell’inattività produttiva, con liquidazione giudiziale nella specie parametrata alla redditività dell’impresa sulla base degli utili conseguiti, la denuncia del mancato riconoscimento di chance resta priva di comprensibilità posto che il danno da inattività produttiva resta assorbente rispetto a quella della perdita di chance. La censura pecca quindi in termini di specificità. Anche sul piano dell’autosufficienza il ricorso è carente, posto che la ricorrente non ha specificatamente indicato se ed in quali termini abbia chiesto una voce di danno, quale quella da perdita di chance, che non può essere logicamente inclusa nella domanda risarcitoria ove sia stato specificatamente richiesto il danno da inattività produttiva.

Stante la reciproca soccombenza va disposta la compensazione delle spese processuali.

Poichè il ricorso principale e quello incidentale sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e vengono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibili i motivi del ricorso incidentale; dispone la compensazione delle spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente in principale e di quella in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2017

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