Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4210 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. III, 22/02/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 22/02/2010), n.4210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3723/2008 proposto da:

IMPRESA EDILE STRADALE VIGNONI COSTRUZIONI SRL (OMISSIS) in

persona del legale rappresentante V.S.

(OMISSIS), nonchè V.S., V.M.

(OMISSIS), V.F. (OMISSIS) e P.

N. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ANDREA DORIA 64/c presso lo studio dell’avvocato PICCIONI Daniela con

delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PANAMA 12, presso lo studio dell’avvocato COLARIZI MASSIMO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SBANO Nicola con delega in calce

alla prima pagina del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 404/2007 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

emessa il 20/09/2007; depositata il 13/10/2007; R.G.N. 419/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

11/01/2010 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato Massimo Mannocchi (per delega Avvocato TONINO

FALLERONI);

udito l’Avvocato NICOLA SBANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per la inammissibilità o il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Impresa Edile e Stradale Vignoni Costruzioni srl, S., M. e V.F. e P.N. proponevano opposizione al decreto ingiuntivo con cui il Presidente del Tribunale di Ancona aveva condannato la Vignoni srl al pagamento della somma di L. 162.958.000 in favore di B.V., quale rimborso del ripianamento, quale fideiussore, dell’esposizione debitoria dell’impresa stessa e gli altri opponenti al pagamento in solido tra loro, sempre in favore del B., della somma di L. 130.366.400.

Si costituiva il B. che contestava il fondamento dell’opposizione proposta.

Il tribunale, con sentenza del 28.3.2001, accoglieva l’opposizione dichiarando la nullità del decreto ingiuntivo opposto.

A diversa conclusione perveniva la Corte d’Appello che, con sentenza del 13.10.2007, in riforma della sentenza impugnata, respingeva l’opposizione a decreto ingiuntivo, dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dal B..

Hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo illustrato da due memorie l’Impresa Edile e Stradale Vignoni Costruzioni srl, S., M. e V.F. e P. N..

Resiste con controricorso il B. che ha anche presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (rectius n.) 5 in relazione all’art. 10 del contratto di fideiussione (OMISSIS) in relazione all’art. 1953 c.c. – mancanza di motivazione.

Trattasi di ricorso proposto avverso una sentenza depositata successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione.

A tali ricorsi proposti si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Il ricorso va dichiarato inammissibile, posto che la formulazione dei motivi per cui è chiesta la cassazione della sentenza non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c..

Deve premettersi che, in tema di ricorso per cassazione, il quesito di diritto deve essere formulato anche quando – come nella specie – la censura sia affidata ad un unico motivo.

Si tratta, infatti, di obbligo del tutto indipendente dal dato formale dell’unicità o pluralità di motivi, poichè in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., consiste proprio nell’imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto; e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della corte di legittimità (S.U. 10.9.2009 n. 19444).

Il quesito, poi, al quale si chiede che la Corte di Cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, deve essere formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta.

Nella specie, il motivo, pur nella sua non chiara fomulazione, denuncia violazioni di legge (artt. 1953, 2725 e 1417 c.c.) e vizio di motivazione.

Sotto il primo profilo, il quesito di diritto posto non ha le caratteristiche richieste dalla norma dell’art. 366 bis c.p.c., per assolvere la funzione demandatagli.

La funzione propria del quesito di diritto è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass. 7.4.2009 n. 8463; v., anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).

Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta – ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso stesso -, una diversa valutazione, da parte del giudice di legittimità, a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione.

Nel primo caso ciascuna censura – come già detto – deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto, ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza.

Nell’ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (v. da ultimo Cass. 25.2.2009 n. 4556).

Ora, nella specie, il motivo si conclude con un quesito generico, la cui formulazione non assolve al principio di corrispondenza fra vizi denunciati e fattispecie concreta.

Nè il motivo, in tal modo proposto, può essere integrato dalla illustrazione che, all’interno dello stesso, precede la formulazione del quesito.

Sotto il profilo del vizio di motivazione, poi, deve rilevarsi.

Nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c,, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

E’ stato più volte affermato che nella norma dell’art. 366 bis c.p.c., nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al precedente art. 360 c.p.c., n. 5, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata; sicchè, non è possibile ritenerlo rispettato quando soltanto la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è, conseguentemente, inidonea a sorreggere la decisione (Cass. 18.7.2007 n. 16002; Cass. 22.2.2008 n. 4646; Cass. 25.2.2008 n. 4719).

A tal fine, deve sottolinearsi che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, nelle ipotesi di vizio di motivazione, la relativa censura, dopo la riforma di cui al D.Lgs n. 40 del 2006, deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze, nè in sede di formulazione del ricorso, nè in sede di valutazione della sua ammissibilità (in tali sensi la relazione al D.Lgs. n. 40).

Nella specie, l’indicazione del o dei fatti controversi rispetto ai quali si assume il vizio di motivazione non è per nulla puntuale, nè, tanto meno, sono puntualmente indicate le ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea sorreggere la decisione.

Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico solidale dei ricorrenti.

Non sussistono, da ultimo, le condizioni che legittimano l’irrogazione, a carico dei soccombenti, dell’ulteriore somma di cui all’art. 385 c.p.c., comma 4, aggiunto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, posto che i ricorrenti, nel proporre il ricorso per cassazione, non sono incorsi in colpa grave.

Questi ultimi, infatti, pur con la dichiarata inammissibilità del ricorso per le ragioni evidenziate, hanno formulato il prescritto quesito di diritto, non limitandosi a riproporre esclusivamente le questioni di merito precedentemente dedotte (v. anche Cass. 27.2.2009 n. 4829).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti,in solido; al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

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