Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4210 del 20/02/2013


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Civile Sent. Sez. U Num. 4210 Anno 2013
Presidente: VITTORIA PAOLO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso 29781-2010 proposto da:
ENTE SVILUPPO AGRICOLO, in persona del Presidente pro2012

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO

330

VITTORIO EMANUELE II 229, presso lo studio
dell’avvocato DI PIETRO UGO, rappresentato e difeso
dall’avvocato CANDELOPO NANIA, per delega a margine

Data pubblicazione: 20/02/2013

del ricorso;

ricorrente

ASTALDI S.P.A., in persona del legale rappresentante
pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DEI GRACCHI 195, presso lo studio dell’avvocato MAZZEI

margine del controricorso e ricorso incidentale;

controricorrente e ricorrente incidentaie

avverso la sentenza n. 777/2010 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 09/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/05/2012 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
uditi gli avvocati Candeloro NANIA, Luigi MAllEI;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
RAFFAELE

CFNICCOLA,

che

ha

concluso

per

l’inammissibilità o comunque rigetto del terzo motivo
del ricorso principale.

LUIGI, che la rappresenta e difende, per delega a

IN FATTO
Nel corso dell’anno 2000, la società Astaldi convenne in giudizio, dinanzi al
tribunale di Palermo, l’ESA (Ente di Sviluppo Agricolo siciliano), nella
qualità di ente appaltante dei lavori relativi ad una diga sita sul fiume S.
Leonardo, per sentirne pronunciare condanna al pagamento della somma
di 2.813.619 euro, della quale parte venne richiesta a titolo di compenso
revisionale ex art. 25 del capitolato speciale di appalto, parte al differente

titolo di premio di incentivazione per completamento anticipato delle
opere.
Nel costituirsi, l’Esa sollevò eccezione preliminare di difetto di
giurisdizione, contestando poi nel merito la fondatezza della richiesta.
Il giudice di primo grado accolse la domanda quanto ai compensi
revisionali (liquidati nella misura di 2.279.725 euro), rigettandola con
riferimento al premio di incentivazione.
La sentenza fu impugnata – dall’Esa in via principale, e dall’Astaldi in via
incidentale – dinanzi alla corte di appello di Palermo, la quale, nel rigettare
i gravami hic et inde proposti, osservò, per quanto ancora rileva nel
presente giudizio di legittimità:
1) che il denunciato vizio di ultrapetizione di cui al primo motivo
dell’appello principale era insussistente, non potendosi ritenere, alla
stregua

dell’originario

petitum

attore°,

che

il

tribunale,

nell’emissione della statuizione di condanna, fosse vincolato ad una
domanda avente ad oggetto un quantum determinato;
2) che, quanto ai lavori extracontrattuali eseguiti – dei quali l’ente
contestava la legittimità e la conseguente esistenza di una valida
obbligazione – nessuna specifica ragione era stata addotta
dall’appellante principale circa la pretesa irrilevanza di atti formali
puntualmente esaminati dal primo giudice, atti comprovanti, di
converso, la indubbia esistenza di una autorizzazione alla relativa
esecuzione;
3) che, quanto all’appello incidentale, il principio secondo il quale il
premio di incentivazione non spetta nell’ipotesi in cui l’esecuzione
dell’opera non sia stata comunque ultimata entro l’originario
termine contrattuale (come verificatosi nel caso di specie) andava

(l

1

senz’altro riaffermato, alla luce di una costante giurisprudenza di
legittimità (Cass. 12434/2005; 17331/2002).
La sentenza della corte territoriale è stata impugnata dall’ESA con ricorso
per cassazione sorretto da 3 motivi di gravame.
Resiste con controricorso la Astaldi, proponendo a sua volta ricorso
incidentale ancora afferente alla questione del premio di incentivazione.
Vi è memoria illustrativa del ricorrente incidentale.

I ricorsi, principale e incidentali, proposti avverso la medesima sentenza,
devono essere riuniti.
Il ricorso principale è infondato.
Con il primo motivo,

si denuncia

violazione e omessa applicazione

dell’art. 112 c.p.c.; omessa corrispondenza tra la causa petendi e il
pronunciato. Perplessità. Principio di legalità. Tipicità.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 345 e 356 c.p.c.
per omessa istruttoria. Omesso esame di un punto decisivo. Difetto di
motivazione ex art. 360 c.p.c.. Contraddittorietà. Inconducenza.
Entrambi i motivi – ai limiti della inammissibilità – sono del tutto infondati.
Le doglianze oggi rappresentate a questa Corte, difatti, pur lamentando
formalmente una plurima violazione di legge e un decisivo difetto di
motivazione, si risolvono, in realtà, nella (non più ammissibile) richiesta di
rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di
merito. L’ente ricorrente, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio
della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. nella parte in cui il giudice del merito ha condivisibilmente ritenuto
impredicabile qualsivoglia vizio di ultrapetizione della sentenza di primo
grado, nonché legittima la analisi degli atti formali compiuta in prime cure
comprovanti l’autorizzazione ai lavori extra contractu -, si induce piuttosto
ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come
accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo così all’impugnata
sentenza censure del tutto inammissibili, perché la valutazione delle
risultanze probatorie (e tra esse il giudizio sulla portata dell’originaria
domanda in punto di petitum sostanziale), al pari della scelta di quelle fra
esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono
apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il

MOTIVI DELLA DECISIONE

quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria
decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una
ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e
logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di
indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto
ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a
confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai

alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di
riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo
controllo – sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica – delle
valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto,
spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le
prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza,
scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in
discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove cd. legali,
tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il
ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente
motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché
in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di
legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di
fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei
precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una
surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non
consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il
contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o
minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le
opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo
censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai
propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione
dei fatti di causa fossero ancora legittimamente a porsi dinanzi al giudice
di legittimità.
Quanto, poi, all’interpretazione adottata dai giudici di merito con
riferimento al contenuto degli atti afferenti al contratto di appalto per il
quale è processo, alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di

3

consolidato quello per cui l’art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in

questa Corte regolatrice va in questa sede ribadito che, in tema di
interpretazione di atti, negozi e c ontratti, il sindacato di legittimità non
può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei
giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto
dei canoni legali di ermeneutica e la coerenza e logicità della motivazione
addotta (tra le tante, di recente, Cass. n.2074/2002): l’indagine
ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e

motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione, con la
conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della
ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si
traduca solo nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi
elementi di fatto da quegli esaminati.
Per questi stessi motivi deve essere disatteso
dell’Astaldi –

il ricorso incidentale

che lamenta, del tutto infondatamente, una pretesa

violazione di legge ex art. 350 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 1355 c.c. -,
essendosi la corte territoriale conformata alla giurisprudenza di legittimità
formatasi in subiecta materia, come poc’anzi ricordato.
Con il terzo motivo, il ricorrente principale denuncia, infine un preteso
vizio di difetto di giurisdizione. Violazione dei poteri esercitabili dai giudici
de quibus ex art. 360 n. 4 c.p.c..
Il motivo non ha giuridico fondamento.
Sotto un duplice, concorrente profilo.
Il primo, a mente del quale l’eccezione in parola, sollevata in primo grado
e rigettata dal tribunale, non risulta poi riproposta in sede di appello
(come è dato evincere dalla lettura delle conclusioni riportate in sentenza),
onde la relativa questione deve ritenersi coperta da giudicato.
Il secondo, in forza del quale, dalla lettura del motivo, non è dato evincere
alcun collegamento della prospettata censura di difetto di giurisdizione alla
riconducibilità al G.A. del sindacato su di una revisione non ammessa in
tema di appalti pubblici, limitandosi l’ente ricorrente a svolgere generiche
proposizioni sull’appartenenza alla sfera degli interessi legittimi della
“materia” degli appalti (in ordine alla quale si sono più volte espresse
queste stesse sezioni unite con le sentenze n. 2906 del 2010 e 5291 e
13910 del 2011).

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può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della

Entrambi i ricorsi sono pertanto rigettati.
La disciplina delle spese segue il principio della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, li rigetta entrambi, e dichiara
interamente compensate le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, li 22.5.2012

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