Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4210 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. III, 17/02/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 17/02/2021), n.4210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34766-2019 proposto da:

A.G., rappresentato e difeso dall’avv.to GIOVANBATTISTA

SCORDAMAGLIA, giusta procura speciale allegata al ricorso, con

studio a Petilia Policastro, via Arringa 60, elettivamente

domiciliato in Roma, piazza Cavour presso la cancelleria civile

della Corte di Cassazione;

– ricorrente-

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza n. 697/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 3/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.G., proveniente dal (OMISSIS), ricorre affidandosi a quattro motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva confermato la pronuncia con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, da lui avanzata in ragione del diniego opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio paese a causa delle persecuzioni subite per motivi terroristici. Ha dedotto, al riguardo, che il fratello era un ufficiale dell’esercito (OMISSIS) rimasto ucciso in un’operazione contro i (OMISSIS), dopo la quale anche lui e la sua famiglia erano stati minacciati di morte.

1.3. Ha aggiunto che sino al raggiungimento della maggiore età, gli era stata garantita un’abitazione protetta situata in zona militare che, però, successivamente, aveva dovuto abbandonare: per tale ragione, al fine di salvare la propria vita si era allontanato dal paese di origine.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 per mancata valutazione dei documenti prodotti.

Lamenta che la Corte aveva del tutto omesso di esaminare la documentazione versata in atti sulla quale si fondava la prova della vicenda narrata, ritenuta poi inattendibile con una motivazione apodittica ed inosservante del paradigma interpretativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

2. Con il secondo motivo, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 con riferimento ai profili della credibilità nonchè la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. e) in relazione allo status di rifugiato.

2.1. Assume, al riguardo, che la Corte territoriale, aveva omesso di attenersi al paradigma interpretativo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 esaminando il racconto in modo atomistico e non complessivo e riscontrando in singole ed isolate circostanze contraddizioni invero inesistenti; aggiunge che non aveva adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria visto che non erano state acquisite informazioni sul paese di origine attraverso fonti ufficiali attendibili ed aggiornate.

3. Con il terzo motivo, ancora, il ricorrente si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 8 e art. 14, lett. b) con riferimento allo status di rifugiato ed al timore di subire torture o trattamenti disumani e degradanti.

4. Con il quarto motivo lamenta, infine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione dell’art. 5, comma 6 TUI; lamenta, altresì, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in relazione alla mancata comparazione fra la integrazione sociale e la sua situazione personale.

5. I primi tre motivi devono essere congiuntamente esaminati per l’intrinseca connessione logica: essi sono tutti fondati.

5.1. Quanto alla prima censura – incentrata sulla nullità della sentenza per difetto di motivazione derivante anche dall’omesso esame della documentazione prodotta – deve premettersi che la sentenza impugnata svolge dapprima considerazioni generali in iure sui presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (cfr. terza e quarta pagina nonchè, parzialmente, la quinta); riporta, quindi, senza indicare la fonte specifica di quanto riprodotto (posto che si parla di “informazioni pubblicate da istituti geografici, enciclopedie, organi di stampa, organismi internazionali, associazioni con finalità di tutela dei diritti umani”), una descrizione delle condizioni del (OMISSIS) (cfr. fino a metà della pagina 9); argomenta, infine, sulle due forme di protezione come segue: “Le dichiarazioni appaiono carenti dei requisiti di veridicità appositamente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e non sono sufficientemente circostanziate quanto, in particolare, ai luoghi, alle persone, i tempi ed alle dinamiche degli eventi narrati. Appaiono inoltre concorrenti e seguono un percorso narrativo scarsamente logico posto che non è chiaro il nesso tra la situazione personale e quella dei familiari. In ogni caso i fatti esposti sembrano riconducibili ad episodi penalmente rilevanti o, comunque, non ricollegabili a situazioni di derivazione sociale, politica o religiosa. Alla luce delle esposte considerazioni deve essere confermato il rigetto della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato non avendo peraltro richiedente evidenziato le ragioni per cui non ha ritenuto di potersi difendere nel suo paese ricorrendo alle locali autorità di polizia. Inoltre, deve ritenersi che non sussistano, nel caso di specie, i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria non essendovi il rischio di torture e/o altre forme di maltrattamento nè una situazione di violenza indiscriminata nella regione del Punjab, con concreto pericolo di danno grave per il richiedente” (cfr. pag. 9, cpv 4,5,6 e pag. 10 cpv. 1).

5.2. Ora, risulta evidente dai passaggi sopra riprodotti che la Corte:

a. non fornisce una spiegazione della valutazione della credibilità del ricorrente, atteso che i giudizi al riguardo enunciati non sono fondati sul contenuto delle dichiarazioni, rendendo con ciò impossibile comprendere l’apprezzamento che su di essi è stato formulato, fermo restando che il potere di valutazione della quaestio facti è riservato al giudice di merito: la Corte territoriale, in buona sostanza, ha escluso la persecuzione denunciata e la credibilità del racconto, omettendo di esaminare la documentazione prodotta dal ricorrente già dinanzi alla Commissione Territoriale dalla quale si evinceva sia la morte del fratello che le operazioni militari da lui condotte: la Corte, invero, si è limitata a negare l’attendibilità dei fatti narrati, affermando in modo apodittico, con esclusivo e generico riferimento all’audizione svoltasi in sede amministrativa (che non aveva ritenuto di rinnovare), che le dichiarazioni rese apparivano “carenti del requisito di veridicità, e non erano sufficientemente circostanziate quanto ai luoghi, alle persone ed ai tempi delle dinamiche degli eventi narrati” (cfr. pag. 9 terz’ultimo cpv della sentenza impugnata). In tal modo è stata resa una motivazione inesistente e, cioè, non aderente alle emergenze processuali, giacchè da essa non è comprensibile il procedimento logico che ha portato alle assertorie affermazioni giustificative della non credibilità;

b. non fornisce spiegazione delle ragioni, solo assertivamente e genericamente enunciate, della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione c.d. sussidiaria omettendo di fare riferimento alcuno alle C.O.I. dalle quali sarebbero state tratte notizie riportate sulle condizioni del paese di origine.

5.3. Al riguardo, deve ribadirsi che la riproduzione di informazioni non riconducibili a fonti identificate (cfr. pagg. 5,6,7 e 8 e primo cpv della pag. 9 della sentenza impugnata), prive di data e riferite ad una serie di eventi terroristici che si erano susseguiti nel paese (notizie dalle quali, oltretutto, la Corte è poi giunta alla contraddittoria quanto apodittica conclusione che non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale invocata) non può assurgere a motivazione, atteso che tale affermazione rende impossibile la verifica del percorso logico seguito nella decisione, con lesione del diritto di cui all’art. 111 Cost., comma 6, trattandosi di motivazione inesistente.

6. Il quarto motivo rimane logicamente assorbito, in ragione dell’accoglimento delle precedenti censure, riguardanti in particolare, rispetto alla protezione umanitaria, l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria, rispetto al quale non risulta sia stato svolto alcun attendibile accertamento sul livello di tutela dei diritti umani garantiti nel paese di provenienza, indispensabili per svolgere un soddisfacente giudizio di comparazione.

7. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro che, in diversa composizione dovrà riesaminare la controversia alla luce dei seguenti principi di diritto:

“In tema di protezione internazionale, la valutazione effettuata dal giudice del merito in ordine al giudizio di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, non solo deve rispondere ai criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ma deve essere anche argomentata in modo idoneo a rivelare la relativa “ratio decidendi”, senza essere basata, invece, su elementi irrilevanti o su notazioni, che, essendo privi di riscontri processuali, abbiano la loro fonte nella mera opinione del giudice cosicchè il relativo giudizio risulti privo della conclusione razionale.”

“In osservanza del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di violazione di legge”.

La Corte di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie i primi tre motivi di ricorso e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

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