Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4210 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 09/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 09/02/2022), n.4210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

Dott. FEDELE Ileana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32490-2020 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SPALLANZANI N.

22, presso lo studio dell’avvocato TALLARICO DOMENICO, rappresentato

e difeso dall’avvocato DOMENICO PITINGOLO;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI CROTONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 839/2020 della CORIE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 20/10/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’11/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ELENA

BOGHETICH.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 839 depositata il 20.10.2020 la Corte di appello di Catanzaro, confermando (seppur con motivazione differente) la pronuncia del Tribunale di Crotone, ha respinto la domanda di risarcimento del danno conseguente ad infortunio sul lavoro dell'(OMISSIS) di R.M.;

2. la Corte territoriale, rilevando che la dinamica dell’incidente era pacifica (caduta dalla scalinata di accesso all’istituto scolastico di cui il R. curava la manutenzione mentre innaffiava le aiuole collocate sul lato della scalinata), ha ritenuto insussistente una responsabilità del datore di lavoro rilevato che il dipendente era dotato di presidi antinfortunistici, in specie scarpe antiscivolo e che secondo un canone di probabilità logica la predisposizione di strisce antiscivolo e di un corrimano centrale non avrebbe scongiurato l’evento;

3. avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore deducendo due motivi di censura, illustrati da memoria; la Provincia di Crotone è rimasta intimata;

4. veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo di ricorso denunzia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) posto che gli artt. 40 e 41 c.p., di carattere generale, impongono in ambito civile lo standard di certezza probabilistica del “più probabile che non” ed avendo trascurato, la Corte territoriale, elementi che verosimilmente avrebbero scongiurato l’infortunio, in assenza di un comportamento abnorme del lavoratore;

2. con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo dimostrato, la prova testimoniale e quella documentale (fotografica), la carenza di dispositivi di sicurezza presso l’istituto scolastico;

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;

4. nella fattispecie, la Corte territoriale ha escluso la nocività dell’ambiente di lavoro rilevando che il dipendente indossava scarpe antinfortunistiche, non potendosi supporre – considerate le modalità dell’infortunio – che la caduta sarebbe stata evitata dalla presenza delle fasce antiscivolo sugli scalini o dal corrimano centrale, né potendosi pretendere misure c.d. nominate posto che la normativa antinfortunistica esige tali misure (in particolare l’uso di graticolato) solamente in assenza di idonee calzature impermeabili, presidio che invece rappresentava uno strumento di tutela più efficace perché dotato di una peculiare funzione antinfortunistica;

5. si tratta, evidentemente, di apprezzamenti di merito sulla misura di diligenza ritenuta esigibile dal datore di lavoro che non possono essere oggetto di rivalutazione in questa sede di legittimità;

6. debbono, dunque ribadirsi i consolidati principi elaborati dal giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. n. 312 del 1996 con particolare riguardo alla esigibilità di misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondano ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti) nonché da questa Corte, secondo cui la responsabilità del datore di lavoro – di natura contrattuale – va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, sicché incombe al lavoratore ex art. 2697 c.c. (che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute) l’onere di provare l’esistenza di tale danno e la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra (cfr. da ultimo Cass. n. 56 del 2021, Cass. 32381 del 2019), non configurando, l’art. 2087 c.c., una responsabilità oggettiva ma richiedendo un profilo di colpa del datore di lavoro, mentre spetta poi al datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia o l’infortunio del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (cfr. da ultimo, Cass. n. 24742 del 2018, Cass. n. 29909 del 2021);

7. in particolare, nel caso in cui si discorra di misure di sicurezza cosiddette “innominate”, ex art. 2087 c.c., la prova liberatoria a carico del datore di lavoro risulta generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (v. Cass. n. 12445 del 2006; Cass. n. 3033 del 2012; Cass. n. 15082 del 2014; Cass. n. 4084 del 2018; Cass. n. 27964 del 2018; Cass. n. 10319 del 2019; Cass. n. 12041 del 2020);

8. se, dunque, va ribadito che l’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c., impone all’imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità del rischio, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene protetto dall’art. 41 Cost., comma 2 (Cass. n. 6337 del 2012, Cass. n. 10819 e Cass. n. 14468 del 2013), nel caso di specie, la Corte territoriale ha ricostruito – in concreto – le modalità in cui l’infortunio si è determinato ed ha escluso, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, la rilevanza causale dell’adozione di ulteriori misure di protezione (cfr., con riguardo ad un caso analogo ed alla valutazione della diligenza del datore di lavoro che, in concreto, ha effettuato il giudice di merito, Cass. n. 22827 del 2014);

9. e’, infine, inammissibile altresì la censura di cui al secondo motivo diretta a dedurre dalle dichiarazioni testimoniali la nocività dell’ambiente lavorativo perché, alla stregua della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (e, come correttamente rilevato dal ricorrente, interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte, sentenza n. 8053 del 2014), è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella motivazione “apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di motivazione, profili che non sono riscontrabili nella sentenza impugnata;

10. in conclusione, il ricorso è inammissibile; nulla sulle spese in assenza del controricorrente;

11. in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di Cassazione, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

 

 

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