Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 421 del 13/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/01/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 13/01/2021), n.421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3437-2019 proposto da:

F.M., in qualità di ex socio della MARMI ELITE SRL,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI n. 93, presso lo

studio dell’avvocato DAMIANO COMITO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3980/5/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

F.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza della CTR Lazio indicata in epigrafe che, respingendo il ricorso proposto dal contribuente, aveva confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso avverso l’avviso di accertamento, scaturente da PVC della GdF, con il quale l’Agenzia aveva provveduto ad accertare, per l’anno di imposta 2008, maggior ricavi in capo alla società Marmi Elite s.r.l. e di conseguenza aveva determinato in capo al F. (socio al 50% di suddetta società) un reddito di partecipazione di Euro 314.845,00.

La CTR adita: a) ha ritenuto sussistenti nel caso di specie i presupposti della denuncia di un reato fiscale e che ciò rendeva applicabile la disciplina del raddoppio del termine decadenziale ordinario; b) ha respinto il motivo secondo cui l’avviso di accertamento era illegittimo mancando l’indicazione delle ipotesi di reato rilevanti, in quanto tale requisito non era previsto dalla legge; c) ha ritenuto provata la circostanza che il contribuente fosse a conoscenza delle operazioni poste in essere dalla società, non potendo pertanto ritenersi esonerato dall’applicazione del regime del raddoppio dei termini decadenziali.

Il F., in qualità di ex socio della Marmi Elite s.r.l., ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, affidato a due motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di raddoppio dei termini decadenziali – del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”-.

La CTR avrebbe errato nel ritenere applicabile al caso di specie la disciplina del raddoppio dei termini.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare, la CTR avrebbe omesso di considerare la circostanza che il PVC della Guardia di finanza di (OMISSIS) non sarebbe mai stato portato effettivamente a conoscenza del contribuente.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Ed invero, questa Corte ha avuto modo di chiarire che ai fini del raddoppio dei termini in questione, per come disposto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito nella L. n. 248 del 2006, che ha modificato del D.P.R. n. 602 del 1973, l’art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 2 bis, (nei testi applicabili ratione temporis), non è necessaria l’effettiva presentazione della denuncia (nè tanto meno la produzione di questa in giudizio). Come, infatti, statuito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247/2011), l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale” e “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento” (Cass. n. 408/2018).

Non si è poi mancato di chiarire che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. 9974/2015; Cass. 20043/2015; Cass. nn. 7805, 9725, 9727, 11181 e 27392 del 2016; Cass. n. 30966 del 2018, Cass. n. 25339 del 2018).

Si è ancora aggiunto, al fine di chiarire i successivi interventi legislativi di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, ed alla L. n. 208 del 2015, che “In tema di termini per l’accertamento tributario stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, (per le imposte sui redditi) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, (per IVA): a) il regime transitorio introdotto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, (in vigore dal 2 settembre 2015) non è abrogato dal successivo regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, (in vigore dal 10 gennaio 2016); b) il primo regime transitorio (D.Lgs. n. 128 del 2015), stabilisce che del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2, non si applicano nè in relazione agli avvisi di accertamento, ai provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie ed agli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione agli inviti a comparire di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione ai processi verbali di constatazione redatti ai sensi della L. n. 4 del 1929, art. 24, dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro il 2 settembre 2015, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano (L. n. 208 del 2015); c) il secondo regime transitorio (L. n. 208 del 2015), disciplina diversamente il regime ordinario del raddoppio dei termini di accertamento previsto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2, disponendo che la L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130 e 131, non si applicano agli avvisi relativi ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 e introducendo per tali periodi d’imposta anteriori una specifica normativa transitoria per le sole ipotesi in cui a detti periodi non sia applicabile il precedente regime transitorio dettato dal D.Lgs. n. 128 del 2015,” – Cass. n. 26037/2016 – Cass. n. 26037/2016; Cass. n. 11195/2017, Cass. n. 14868 del 2018, Cass. n. 30966 del 2018) -.

In relazione ai principi sopra enunciati la sentenza della CTR è dunque esente da vizi, avendo il giudice di secondo grado applicato la disciplina del raddoppio dei termini al caso di specie, conformandosi a quello che è l’orientamento consolidato di questa Corte.

Il secondo motivo di ricorso, concernente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, è inammissibile.

Ed invero, la censura del ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza di merito.

Va evidenziato che la CTR non ha ritenuto necessario pronunciarsi sull’avvenuta allegazione del PVC all’avviso di accertamento, poichè ha accertato nel merito che il ricorrente aveva avuto conoscenza dei fatti sui quali si fondava l’avviso di accertamento, per l’appunto affermando che “l’appellante aveva avuto esatta contezza dei fatti dal PVC”.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, dando atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in Euro 15.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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