Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 42089 del 30/12/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2021, (ud. 18/11/2021, dep. 30/12/2021), n.42089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31537-2018 proposto da:

INTERPORTO CENTRO ITALIA ORTE S.p.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

presso lo studio dell’Avvocato LEONARDO BRASCA, rappresentata e

difesa dall’Avvocato GIUSEPPE PURI giusta procura speciale allegata

al ricorso;

– ricorrente-

contro

COMUNE DI ORTE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato ROBERTO FERRI,

che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al

controricorso;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 1933/18 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

del LAZIO, depositata il 27/3/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

DELL’ORFANO ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Interporto Centro Italia Orte S.p.A propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva accolto l’appello del Comune di Orte avverso la sentenza n. 675/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Viterbo, che aveva accolto il ricorso avverso avvisi di pagamento TARSU 2012/2013 TARI 2014;

il Comune resiste con controricorso;

entrambe le parti hanno da ultimo depositato memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.2. con il primo mezzo la società ricorrente denuncia nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa pronuncia, in relazione all’art. 112 c.p.c., in merito all’eccezione di inammissibilità dell’appello per avere l’appellante introdotto deduzioni nuove rispetto alle ragioni poste a fondamento degli atti impugnati;

1.2. la censura è inammissibile in quanto il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non anche, come nella specie, in caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito (cfr. Cass. nn. 25154/2018, 1876/2018, 22083/2013, 1701/2009);

1.3. la questione che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe tralasciato e’, invero, puramente processuale e quindi potrebbe semmai prospettarsi una nullità della decisione per violazione di norme processuali diverse da quella di cui all’art. 112 c.p.c. in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (cfr. Cass. n. 10073/2003 cit.);

1.4. la censura risulta peraltro inammissibile anche per difetto di specificità, secondo quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., non essendo stato riportato nel ricorso il contenuto dell’atto di appello;

1.5. se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente il vizio di omessa pronuncia, è anche Giudice del fatto ed ha il potere – dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere dovere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di specificità del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. nn. 2771/2017, 1170/2004);

1.6. in applicazione del principio in discorso, il ricorrente che, come nella specie, lamenti l’omessa pronunzia da parte del giudice di merito su una domanda, onde evitare una pronuncia di inammissibilità per lacunosità della censura, ha l’onere di riportare in ricorso tale domanda, poiché in mancanza, la censura si risolve in un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, in violazione del ridetto principio, che mira ad assicurare che il ricorso per Cassazione consenta, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, costituendo il principio medesimo un particolare atteggiarsi del disposto normativo della specificità dei motivi di impugnazione (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4);

2.1. con il secondo motivo si denuncia violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184, comma 3) per avere la Commissione Tributaria Regionale affermato la legittimità della pretesa impositiva del Comune sui rifiuti prodotti dall’interporto, trattandosi, invece, secondo la ricorrente, di rifiuti speciali non conferibili al pubblico servizio, come previsto in materia di aree portuali;

2.2. con il terzo motivo si denuncia violazione di norme di diritto (art. 12 preleggi, comma 2, e art. 14 preleggi) per avere la Commissione Tributaria Regionale negato che potesse estendersi la disciplina dei servizi in aree portuali anche alle aree interportuali;

2.3. le censure, da esaminare congiuntamente, vanno disattese;

2.4. il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 5, esclude “dalla tassa i locali e le aree scoperte per i quali non sussiste l’obbligo dell’ordinario conferimento dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati in regime di privativa comunale per effetto di norme legislative o regolamentari, di ordinanze in materia sanitaria, ambientale o di protezione civile ovvero di accordi internazionali riguardanti organi di Stati esteri”;

2.5. il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 8, nel disciplinare le competenze dei comuni in materia di rifiuti statuisce che “sono fatte salve le disposizioni di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 6, comma 1, e relativi decreti attuativi”;

2.6. la L. n. 84 del 1994, art. 6, comma 1, lett. c) istituisce le Autorità portuali in determinati porti con il compito, tra l’altro, di “affidamento e controllo dell’attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali di cui all’art. 16, individuati con decreto del Ministero dei trasporti e della Navigazione”;

2.7. il decreto del Ministero dei Trasporti e della navigazione 14.11.1994 all’art. 1 precisa che “i servizi di interesse generale nei porti, di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 6, comma 1, lett. c), da fornire a titolo oneroso all’utenza portuale… (ndr. vanno identificati anche nei)… servizi di pulizia e raccolta dei rifiuti”;

2.8. dall’esame di tale quadro normativo emerge univocamente che l’attività di gestione dei rifiuti nell’ambito dell’area portuale – da intendersi come spazio territoriale in cui svolge i suoi compiti la singola Autorità portuale – rientra nella competenza di quest’ultima, la quale per legge è tenuta ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica, al che deriva, per esclusione, che la relativa attività sfugge alla competenza in materia dei Comuni, che invece normalmente agiscono in questo ambito in regime di privativa, i quali, sono di conseguenza privi anche di ogni potere impositivo, atteso che, essendo quella dei rifiuti una tassa, esso non può evidentemente configurarsi in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio (cfr. Cass. 23583/2009);

2.9. presupposto di tale affermazione e’, tuttavia, che sia stata istituita l’Autorità portuale;

2.10. ne deriva che se l’istituzione dell’Autorità portuale costituisce, in ogni caso, la condizione che escluderebbe il potere impositivo dei Comuni, ponendosi dunque come causa di esclusione dalla tassa rifiuti, inquadrabile nella fattispecie contemplata al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 5, ne segue, per converso, che non solo nelle zone portuali prive di tale Autorità, ma anche nelle aree interportuali, oggetto del presente giudizio, in cui non è in alcun modo prevista la sua istituzione, sussista la competenza e la privativa comunale in ordine all’istituzione e alla prestazione del servizio di igiene urbana, trovando correlativamente spazio applicativo il tributo che al servizio si correla, sia esso la tassa o la tariffa, in base alle disposizioni ordinarie (cfr. in tal senso Cass. n. 31058/2018);

2.11. va altresì evidenziato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, pone una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicché, al fine dell’esenzione dalla tassazione prevista dal citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per la loro natura o perché la detenzione è esercitata da terzi, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (cfr. Cass. n. 19469 del 2014);

2.12. nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale ha rigettato il ricorso sul presupposto che il soggetto che occupava o deteneva un’area scoperta, produttrice (per presunzione di legge) di rifiuti solidi urbani, doveva essere tenuto al pagamento della tassa per il solo fatto della detenzione od occupazione, indipendentemente dall’individuazione dell’effettivo produttore del rifiuto;

2.13. considerato che il legislatore nell’utilizzare l’espressione “aree scoperte”, per delimitare il luogo di imposizione della tassa, perseguiva la finalità pubblica di tutela dell’igiene e salubrità attraverso l’eliminazione di tutti i rifiuti solidi (definibili “urbani”) prodotti da insediamenti, permanenti e/o provvisori, di comunità umane, nessuna illegittimità può dunque attribuirsi al regolamento comunale nella parte in cui non esclude dalla tassazione sui rifiuti le aree interportuali non sussistendo la supposta carenza di potere impositivo in carico al Comune in mancanza dell’istituzione dell’Autorità Portuale;

2.14. quanto alla dedotta produzione di rifiuti speciali va inoltre rilevato che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) (dovendo peraltro evidenziarsi che alla TARI sono estensibili gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi che l’hanno preceduta, quali la TARSU e la TIA; cfr. Cass. n. 22130 del 2017; n. 1963 del 2018; n. 12979 del 2019), spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (cfr. Cass. nn. 21250/2017, 17622/2016, 18054/2016);

2.15. ne consegue che, come riportato nella sentenza impugnata, incontestata la mancanza della relativa denuncia da parte della contribuente, a quest’ultima non spettava dunque alcuna esenzione da tributo;

3. per i rilievi espressi, il ricorso va integralmente rigettato, assorbita ogni altra questione, e la parte soccombente è tenuta al rimborso delle spese di lite del presente giudizio di legittimità che vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in misura pari ad Euro 7.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2021

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