Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 42088 del 30/12/2021
Cassazione civile sez. III, 30/12/2021, (ud. 13/10/2021, dep. 30/12/2021), n.42088
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10429/2019 proposto da:
A.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Monte Santo, 2
(tel. (OMISSIS)) presso lo studio dell’avvocato Cartoni Simona che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cavezzuti Rita;
– ricorrente –
contro
Inail, (OMISSIS);
– intimato –
nonché contro
Wurth Srl, elettivamente domiciliato in Roma Via Ovidio, 26 presso lo
studio dell’avvocato Mancini Marco che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato Brandstatter Gerhard;
avverso la sentenza n. 2162/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,
depositata il 25/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/10/2021 da FIECCONI FRANCESCA.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso notificato il 22.3.2019 A.S. impugna la sentenza n. 71/2017 emessa dalla Corte d’appello di Firenze il 25.9.2018, con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, è stata rigettata la domanda volta a ricevere ristoro dei danni subiti all’occhio destro a causa dello scoppio di un manometro fornito da Wurth s.r.l..
2. La sentenza di primo grado, inquadrata la responsabilità nella cornice dell’art. 2043 c.c., aveva ritenuto per gran parte responsabile la società rivenditrice per non avere accluso il manuale d’uso nella confezione del prodotto, per quanto parte della responsabilità fosse da attribuire anche all’utilizzatore, nella misura di un terzo, per avere sostituito i raccordi forniti nel kit per collegare, mediante brasatura con azoto, un condizionatore ai tubi di rame. Difatti, il (OMISSIS), dopo l’apertura della valvola di uscita della bombola di azoto, il manometro era esploso emettendo piccole schegge che si conficcavano sul volto e all’interno dell’occhio destro del ricorrente, provocando la perdita del visus.
3. Il Giudice dell’appello riformava la sentenza ritenendo che sotto il profilo causale, quand’anche la informativa resa nel kit non fosse sufficiente e in violazione della normativa di settore, era da ritenere causalmente prevalente la condotta anomala del danneggiato che, quale tecnico esperto, aveva fatto un uso improprio del manometro, collegandolo all’azoto mediante raccordi costruiti artigianalmente, quando esso era invece idoneo a condurre, con appositi tubi inclusi nel kit (rimossi dal danneggiato), il liquido refrigerante ad una pressione massima di 60 bar.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”: secondo il ricorrente, la sentenza avrebbe “escluso” la sussistenza di una condotta colpevole in capo alla produttrice ed alla venditrice del manometro (mancata predisposizione di sufficienti istruzioni per il suo uso) assumendo “erroneamente” come fatto notorio ex art. 115 c.p.c. la circostanza che il manometro fosse destinato solo a utenti professionali.
1.1. Il motivo è inammissibile perché, da un lato, non indica specificamente come tale circostanza abbia avuto rilievo nella decisione; dall’altro, esso non coglie la ratio decidendi, dimostrandosi inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4.
1.2. La critica, invero, è rivolta contro un accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito sulla base della CTU, e più precisamente che il “manometro” fosse destinato a soggetti “professionali” quale l’attore che, tra l’altro, aveva la qualifica di idraulico, e dunque si trattasse di un utilizzatore esperto.
1.3. Nella sentenza, invero, non vi è alcun riferimento all’utilizzo del “fatto notorio” a livello probatorio, ovvero a una nozione di fatto rientrante nella comune esperienza, ma solo alla circostanza che il manometro in questione si presti a esclusivo uso professionale e sia stato comunque utilizzato da un soggetto esperto e qualificato ad altri fini, mediante la sostituzione dei tubi forniti con altri raccordi costruiti “artigianalmente” perché non si potevano trovare in commercio, proprio in ragione del fatto che tali “manometri” si utilizzano per “gas refrigeranti”, e non per gas diversi quali l’azoto, la eccessiva pressione del quale ha provocato lo scoppio del manometro.
1.4. La sentenza, quindi, si è limitata a registrare un fatto accertato, ovvero che sui “tubi” forniti unitamente al “KIT”, rimossi dall’acquirente utilizzatore, era comunque presente la “specifica” indicazione di utilizzo con pressioni massime di 60 bar e, dunque, la pressione massima di utilizzo dei “gas refrigeranti” che sono quelli del normale utilizzo dello specifico prodotto e che tale avvertenza era ben percepibile dalla vittima, utilizzatrice esperta, così come anche per quest’ultima era in concreto percepibile il rischio connesso a un uso improprio del manometro, “stante l’impossibilità oggettiva di prevedere che l’oggetto potesse essere destinato ad improprie o abnormi utilizzazioni “(v. sentenza, p. 9).
2. Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 3 punto 3 Direttiva 97/23/CE del 29.5.1997, del D.Lgs. 25 marzo 2000, n. 93, art. 3, comma 3, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1”: secondo il ricorrente, la sentenza avrebbe “omesso” di considerare che la necessità di sufficienti istruzioni d’uso del manometro in questione era imposta al produttore, e quindi al rivenditore, dalla normativa comunitaria, poi recepita da quella interna, e che fra tali istruzioni vi dovesse essere adeguato avviso in ordine ai rischi connessi a un uso improprio del bene.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. La norma Europea citata, nella versione vigente al tempo dell’occorso (poi rivista nel 2016), prevede che “Le attrezzature a pressione e/o gli insiemi aventi caratteristiche inferiori o pari ai limiti fissati rispettivamente ai punti 1.1,1.2 e 1.3 e al punto 2 devono essere progettati e fabbricati secondo una corretta prassi costruttiva in uso in uno degli Stati membri che assicuri la sicurezza di utilizzazione. Le attrezzature a pressione e /o gli insiemi sono corredati di sufficienti istruzioni per l’uso e hanno marcature che consentono l’individuazione del fabbricante o del suo mandatario stabilito nel territorio nella Comunità. Tali attrezzature e/o insiemi non devono recare la marcatura CE di cui all’art. 15.” La normativa interna che ha attuato la direttiva in esame, di cui al D.Lgs. art. 3, punto 3, ricalca l’art. 3, comma 3, della direttiva 97/23/CE sopra citato. Rileva osservare che la legge interna di attuazione della direttiva, il D.Lgs. n. 93 del 2000, all’art. 1 h) precisa che, negli apparecchi a pressione, la pressione massima ammissibile (PS) è da intendersi quale “la pressione massima per la quale l’attrezzatura è progettata, specificata dal fabbricante. Essa è definita nel punto, specificato dal fabbricante, in cui sono collegati gli organi di protezione o di sicurezza della parte superiore dell’attrezzatura o, se non idoneo, in qualsiasi altro punto specificato”.
2.3. Inoltre, nell’Allegato 1 alla legge in esame, dedicato ai requisiti essenziali di sicurezza dei prodotti, all’art. 1.3. è indicato che “ove siano note o chiaramente prevedibili le possibilità di un uso scorretto, l’attrezzatura a pressione deve essere progettata in modo da eliminare pericoli derivanti da tale uso o, se ciò non fosse possibile, deve essere munita di un’avvertenza adeguata che ne sconsigli l’uso scorretto “. All’art. 2.3 è indicato che ” i sistemi di funzionamento delle attrezzature a pressione devono essere tali da escludere qualsiasi rischio ragionevolmente prevedibile derivante dal funzionamento”. E all’art. 3.3 dell’allegato è indicato che per i prodotti con marcatura CE di cui all’art. 15 c), ove occorra, mediante avvertenze fissate all’attrezzatura a pressione si dovrà attirare l’attenzione sugli impieghi non corretti posti in risalto dall’esperienza.
2.4. Infine, nella parte dell’allegato dedicata alle ” Istruzioni operative” viene indicato che: a) Al momento della commercializzazione, le attrezzature a pressione devono essere accompagnate, per quanto occorra, da un foglio illustrativo destinato all’utilizzatore contenente tutte le informazioni utili ai fini della sicurezza per quanto riguarda: – il montaggio, compreso l’assemblaggio, delle varie attrezzature a pressione;-la messa in servizio;- l’impiego;- la manutenzione e le ispezioni da parte dell’utilizzatore; b) Il foglio illustrativo deve riprendere le informazioni presenti ne(contrassegno dell’attrezzatura a pressione a norma del punto 3.3, tranne l’identificazione della serie, e deve essere corredato, all’occorrenza, della documentazione tecnica nonché dai disegni e dagli schemi necessari ad una buona comprensione di tali istruzioni; c) Ove occorra, il foglio illustrativo deve inoltre richiamare l’attenzione sui pericoli di un uso scorretto, in base al punto 1.3, e sulle caratteristiche particolari della progettazione, in base al punto 2.2.3.
2.5. Anche nella normativa di recepimento della direttiva, al tempo dell’occorso, per il prodotto in questione era prevista la presenza di un foglio illustrativo sui pericoli di un uso scorretto di tale apparecchiatura che, in realtà, è mancato. Ciò posto, nel ricorso si dà atto del fatto che il CTU avesse individuato una serie di concause, così riassunte: utilizzo improprio del prodotto da parte dell’infortunato; mancanza delle informazioni utili alla valutazione e alla prevenzione dei pericoli derivanti dall’uso normale, o ragionevolmente prevedibile, del prodotto; mancata adozione delle misure adeguate, in relazione alle caratteristiche del prodotto per consentire l’individuazione dei pericoli connessi al suo uso normale o prevedibile (come ad esempio l’uso di occhiali protettivi); carente diligenza e attenzione della società che ha immesso sul mercato un prodotto che, per palese mancanza di informazioni, non può essere considerato sicuro (punto o p. 23 CTU, riportato a p. 5 del ricorso).
2.6. Tutto quanto sopra premesso, rileva questo Collegio che la sentenza in esame, nel valutare la responsabilità extracontrattuale del rivenditore nella causazione del sinistro, ha ritenuto che un’informativa era pur presente nei tubi di collegamento facenti parte del kit e che “a tutto voler concedere, l’assenza di informazioni sui rischi connessi ad un uso improprio dell’attrezzo non poteva avere alcun rilievo nei confronti dell’uso che si apprestava a farne….(omissis) sia perché costui, tecnico specializzato, ben poteva e doveva sapere come impiegarlo, sia perché appare inipotizzabile che le istruzioni possano riferirsi ad un uso differente da quello ordinario, stante l’impossibilità oggettiva che l’oggetto potesse essere destinato ad improprie o abnormi utilizzazioni “(v. sentenza, p. 9).
2.7. La considerazione sulla carenza di incidenza causale tra assenza di istruzioni per l’uso, costituente violazione del disposto di cui sopra, e l’evento lesivo, invero, scaturisce dalla valutazione in concreto di una serie di elementi concatenati, ovvero che il bene messo in commercio non avesse il manuale d’istruzioni e manutenzione, che la responsabilità dedotta e rilevante era extracontrattuale e non contrattuale e dalla conclusione che, sotto il profilo causale, la violazione della normativa in questione non si ponesse in diretto nesso eziologico con il verificarsi dell’evento, sia perché l’infortunato “doveva essere a conoscenza di tali informazione(i) e, ove davvero non fossero presenti all’interno del kit di montaggio dell’apparecchio, ben avrebbe potuto e dovuto richiederle al venditore, sia perché appare del tutto irreale che lo stesso, data l’esperienza professionale vantata, potesse apprestarsi ad utilizzarlo senza conoscerne le modalità di impiego” (v. sentenza p. 11).
2.8. Sicché, la Corte d’appello, valutate tutte le circostanze del caso, ha ritenuto che “il solo fatto della assenza di informazioni sull’uso del mezzo, di per sé, non possa, neppure in via concorrente, porsi nel contesto del nesso di collegamento con il fatto e dunque che la società appellante non possa in alcun modo considerarsi responsabile del fatto di cui si discute, nel mentre assume precipuo rilievo che lo scoppio del vetro fu da attribuire unicamente ad un uso maldestro ed improprio del prodotto “colpevolmente cosciente” da parte dell’attore che aveva addirittura costruito artigianalmente dei raccordi per utilizzare l’azoto, gas che. Come indicato anche dalla CTU, non rientra tra i fluidi refrigeranti per i quali è stato ideato il prodotto fornito” (v. sentenza p. 11).
2.9. In sintesi, l’uso improprio che del bene acquistato ha fatto l’utilizzatore, nel caso specifico, a parere del giudice dell’appello costituisce un rischio che certamente non può essere considerato come “normale e/o ragionevolmente prevedibile”, considerata anche l’esperienza professionale vantata dall’infortunato che si è spinto a utilizzare il manometro con raccordi diversi e per funzioni diverse dalla ricarica e lo scarico di gas refrigeranti per condizionatori, come la brasatura in azoto N2 (ambiente inerte) di alcune tubazioni a un collettore per la realizzazione di un impianto di climatizzazione. Si è trattato, quindi, di un utilizzo anomalo di filettature completamente diverse, costruite artigianalmente dall’utilizzatore, del tutto estranee al kit fornito che già indicava le informazioni sulla pressione massima da iniettare (60 bar) e sull’utilizzo del manometro, non idoneo al trasporto di azoto: gas che, come riportato dal CTU, non rientra nella categoria dei fluidi refrigeranti.
2.10. La sentenza, dunque, ha valutato che, nel caso in questione, mancava propriamente l’avviso, su foglio illustrativo, dei rischi di un uso anomalo o comunque non corretto dell’apparecchiatura. Tuttavia ha considerato che, na tutto voler concedere” nella catena degli eventi “avversi” generatori del sinistro, tale violazione non abbia avuto alcun rilievo causale, essendo preponderante l’uso anomalo fatto dall’utilizzatore professionista.
2.11. Orbene, tale rilievo permette di escludere che, nel caso in questione, non sia stata considerata la violazione di legge commessa dalla parte rivenditrice, come erroneamente indicato nel motivo, essendo stata invece valutata (anche se negativamente) ai fini della sua incidenza causale nella determinazione del danno.
3. Il terzo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione artt. 2043,2055 e 1227 c.c.; artt. 40 e 41 e 110 c.p. sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”: secondo il ricorrente, la sentenza avrebbe “fatto cattiva applicazione” dei principi che regolano il “concorso” nella causazione del danno di condotte attive ed omissive, da un lato non esaminando gli effetti che l’indicazione della “pressione massima di esercizio”, ove inserita nelle istruzioni, avrebbe avuto sulla sequenza causale che ha prodotto l’evento dannoso; dall’altro, ritenendo “unica causa” dell’evento imputabile al danneggiato proprio una di quelle condotte che il soggetto tenuto alla garanzia doveva evitare che si verificasse.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. La Corte d’appello, a differenza del giudice di primo grado che aveva attributo gran parte della responsabilità al rivenditore, applicando le norme sul concorso causale ex art. 1227 c.c. per quanto riguarda la condotta tenuta dall’infortunato, ha escluso che vi fosse, in relazione alle circostanze del caso, la prova del nesso causale tra fatto imputabile al rivenditore (vendita del prodotto risultato non difettoso, bensì privo del manuale di istruzioni) ed evento (scoppio del manometro), assumendo non solo che i rischi dell’utilizzo anomalo non facessero parte dell’obbligo informativo circa i rischi prevedibili, ma che, in ogni caso, lo scoppio del manometro per eccessiva pressione fosse esclusivamente imputabile alla condotta imperita dell’acquirente che ha utilizzato l’apparecchio per altre finalità, oltretutto alterandone l’apparato originario, e che pertanto l’assenza di informazioni sui rischi connessi ad un uso improprio dell’attrezzo, ove ritenuta sussistente, non poteva avere avuto alcun rilievo in rapporto all’uso consapevolmente anomalo che l’utilizzatore si apprestava a farne.
3.3. Il motivo e’, in primo luogo, infondato in relazione a quanto sopra detto in punto di valutazione della sussitenza o meno di una violazione di legge circa gli obblighi informativi sull’utilizzo sicuro del prodotto da dare all’utente; difatti, nel caso specifico, è stato accertato che il prodotto, per quanto idoneo all’uso alle condizioni indicate sui raccordi forniti nel kit (indicanti la pressione massima di 60 bar), non era stato accompagnato da un foglio illustrativo che avvertiva dei rischi riguardo a un uso anomalo. Tuttavia, la Corte di merito, come si è detto, sotto il profilo causale ha dato prevalente rilievo al fatto che l’utilizzatore, non solo non ha usato l’ordinaria diligenza, ma, in quanto tecnico esperto, ha posto in essere una “cosciente e colpevole condotta” da cui è direttamente ed esclusivamente derivato il danno, sul rilievo che lo scoppio del manometro non sarebbe altrimenti avvenuto se il prodotto fosse stato usato per lo scopo che gli è proprio e con il kit fornito.
3.4. Nel caso specifico, pertanto, è stato ritenuto che la condotta del danneggiato, oltre che abnorme e causativa del danno sotto il profilo oggettivo, era chiaramente “consapevole e volontaria” anche in relazione al pericolo cui egli si è sottoposto.
3.5. La considerazione svolta dal giudice del merito dimostra una corretta applicazione del criterio civilistico della “causalità adeguata” nell’esame della concatenazione degli eventi idonei a determinare l’evento, essendosi tenuto conto della enorme e preponderante incidenza causale della condotta anomala tenuta dall’utilizzatore nell’alterare il kit del prodotto, con ragionamento effettuato alla luce della norma sul concorso di colpa ex art. 1227 c.c. (e i richiamati principi fissati da Cass. n. 14548/2009 e Cass. n. 3242/2012), pur tenendo conto della condotta della rivenditrice rivelatasi in spregio delle norme di sicurezza indicate nella disciplina di settore.
3.6. E infatti, anche ai fini del concorso di cause, il comportamento tenuto dalla stessa vittima, ove in grado di recidere il nesso causale, costituisce una “quaestio facti” riservata esclusivamente all’apprezzamento del giudice di merito che abbia considerato ogni sequenza degli eventi, compresa la condotta anomala del danneggiato, ai fini della valutazione della riconducibilità dell’evento a fatto imputabile esclusivamente a quest’ultimo (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 2483 del 01/02/2018; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 4662 del 22/02/2021).
3.7. Ad esempio, anche nel campo della responsabilità sanitaria, ove non infrequenti si pongono situazioni simili (soprattutto con riguardo al concorso di cause naturali o del comportamento della vittima) si è sancito da tempo, che “in tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso, quale una gravissima patologia neonatale (concretatasi, nella specie, in una invalidità permanente al 100 per cento), possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata all’anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione tra la condotta e l’evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall’art. 1227 c.c., comma 1), l’efficienza eziologica della condotta rispetto all’evento in applicazione della regola di cui all’art. 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione e l’omissione e l’evento), così da ascrivere l’evento di danno interamente all’autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l’evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all’esito prodottesi) onde ascrivere all’autore della condotta, responsabile “tout court” sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all’evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia causalmente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 30521 del 22/11/2019; v. anche Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 24471 del 04/11/2020, in materia di consenso informato; e così anche Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 19199 del 19/07/2018).
3.8. Ritornando al caso di specie, nella considerazione della sequenza degli eventi rilevanti, sussisterebbe, in ipotesi, una violazione del principio di “causalità adeguata” solo là dove fosse mancata o non adeguatamente considerata, sotto il profilo della causalità materiale, una concausa certamente imputabile alla parte rivenditrice (nella specie, la mancanza del foglio illustrativo che indica i rischi di un uso non corretto), ma non certamente là dove si sia ritenuto che tale circostanza non abbia avuto incidenza causale, sul rilievo che l’utilizzatore, in quanto tecnico esperto, quand’anche avvisato dei rischi inerenti a un uso non corretto e anomalo dello strumento, o a un’alterazione delle componenti del kit, non si sarebbe astenuto dal sottoporre il manometro a una pressione di 200 bar, anziché di 60 bar indicati sui tubi del kit, maldestramente rimossi dal medesimo.
3.9. E infatti, in tema di responsabilità civile, è vero che non si
può negare il nesso eziologico fra condotta e danno solo perché vi sono, in ipotesi, più cause possibili e alternative, ma è comunque il giudice di merito che, tra le tante, deve stabilire quale tra esse sia “più probabile che non”, in concreto ed in relazione alle altre, e, quindi, idonea a determinare, anche in via autonoma, il danno evento, esaminando ogni elemento rilevante per la fattispecie. Quand’anche tale accertamento non sia nei fatti possibile, il problema del concorso delle cause trova comunque soluzione nell’art. 41 c.p., in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte, tranne che si verifichi l’esclusiva efficienza causale di una di esse (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 19033 del 06/07/2021; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 18753 del 28/07/2017; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15537 del 14/07/2011).
3.10. Sul piano della valutazione del concorso di cause, pertanto, non si può sostenere che sia mancata la considerazione, sotto il profilo causale, della entità e serietà della omissione imputabile alla venditrice circa l’indicazione dei rischi connessi a un uso improprio dell’oggetto compravenduto, come prevista dalla normativa speciale posta a tutela di ogni utilizzatore. Il giudice di merito, infatti, nell’ambito dei poteri discrezionali che gli competono, ha svolto un adeguato esame di detta violazione alla luce dei suddetti principi, considerando però, in concreto, preponderante l’uso improprio che del bene ha scientemente fatto l’utilizzatore nell’esercizio delle sue competenze specifiche.
3.11. Il motivo, pertanto, è infondato là dove tende a censurare non tanto la mancata osservanza del principio di causalità adeguata nella concatenazione degli eventi che hanno condotto al sinistro, quanto piuttosto l’esito di una valutazione (di merito) delle concause, svolta, invece, secondo corretti parametri e tenendo conto di tutte le circostanze del caso. 4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato quanto al secondo e terzo motivo, ritenuto inammissibile il primo; in relazione all’altalenante esito della lite nelle fasi di merito, ricorrono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; compensa le spese tra le parti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2021