Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 42086 del 30/12/2021

Cassazione civile sez. I, 30/12/2021, (ud. 01/12/2021, dep. 30/12/2021), n.42086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21733/2020 proposto da:

I.O., rappresentata e difesa dall’avvocato Roberta

Paisante;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato l’08/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’01/12/2021 da IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con Decreto n. cronol. 6609/2020, depositato l’8/7/2020, ha respinto la richiesta di I.O., cittadino nigeriano, a seguito di diniego della competente Commissione Territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, il Tribunale, disposta nuova audizione del richiedente, ha osservato che la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per sfuggire alle minacce e aggressioni da parte di un gruppo di cultisti fedeli ad un potente uomo politico, che volevano impossessarsi di un terreno ereditato dal richiedente alla morte del padre e che avevano ucciso un operaio presente sul terreno) non era credibile, perché generico e contraddittorio, e comunque non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); quanto alla protezione sussidiaria, ex art. 14, lett. c) stessa legge, la regione di provenienza del richiedente (Edo State) non era interessata da conflitti armati interni, secondo i report consultati (EASO 2017 e Viaggiare sicuri); non ricorrevano neanche i presupposti della protezione umanitaria, dovendosi escludere condizioni di vulnerabilità, oggettive o soggettive (essendo la sua famiglia rimasta in Nigeria e non rilevando la documentazione medica prodotta, attestante che il richiedente soffre di ipertensione arteriosa non emergendo la necessità di un percorso terapeutico presso strutture sanitarie italiane) e non essendo da solo sufficiente il “principio” di integrazione avviato in Italia (attraverso attività lavorativa svolta nei mesi di maggio giugno e settembre 2019); peraltro, il ricorrente aveva dichiarato di avere lavorato in Patria come tassista.

Avverso il suddetto decreto, I.O. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/8/2020, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione). Il ricorrente ha depositato documenti in relazione a sospensiva del decreto del Tribunale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in punto di ritenuta non credibilità delle dichiarazioni del richiedente; 2) con il secondo ed il terzo motivo, sia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria, stante la mancata verifica delle condizioni socio-politiche del paese d’origine, sia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la motivazione apparente e contraddittoria sul punto avendo il Tribunale descritto diverse criticità presenti in Nigeria; 3) con il quarto motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in punto di protezione umanitaria, essendo stata omessa la valutazione del percorso di integrazione in Italia (corsi di formazione e volontariato), della vulnerabilità personale conseguente all’aggressione subita in Nigeria e della patologia (cardiopatia ipertensiva) di cui il richiedente è affetto.

2. La prima censura è inammissibile.

Invero, si è già chiarito che, in tema di protezione internazionale, la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (cfr.Cass. 27593/2018 e Cass.29358/2018).

Anche di recente (Cass. 11925/2020), si è affermato che “la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Dalla ritenuta non credibilità delle dichiarazioni è derivata la reiezione della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

La censura, in punto di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, risulta del tutto generica, in quanto, senza allegare fonti ufficiali, il ricorrente si limita a lamentare la mancata valutazione della situazione nello Stato della Nigeria ed a contrapporre al giudizio del Tribunale una propria diversa valutazione sulla situazione sociopolitica del Paese di provenienza.

4. Il terzo motivo è infondato. La motivazione non risulta del tutto illogica e contraddittoria (cfr. Cass. SU 22232/2016), avendo il Tribunale rilevato che malgrado alcune criticità presenti in Nigeria, la regione di provenienza del richiedente, sulla base delle fonti ufficiali consultate, non era interessata da situazione di violenza generalizzata.

5. Il quarto motivo è inammissibile.

Invero, non ricorre il vizio motivazionale denunciato, atteso che tutti i fatti allegati sono stati esaminati dal Tribunale che ne ha motivatamente escluso la decisività.

Le Sezioni Unite si sono nuovamente pronunciate sul tema della protezione umanitaria, alla stregua del testo del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, anteriore alle modifiche recate dal D.L. n. 4 ottobre 2018, n. 113, e del contenuto della valutazione comparativa affidata al giudice, tra la situazione che, in caso di rimpatrio, il richiedente lascerebbe in Italia e quella che il medesimo troverebbe nel Paese di origine, già condiviso dalle Sezioni Unite, con la precedente sentenza n. 29459/2019, affermando il seguente principio di diritto: “In base alla normativa del T.U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese d’origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno”.

Ora, nel presente giudizio, il Tribunale ha escluso una situazione personale di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, meritevole di protezione per ragioni umanitarie, ed il ricorso nulla aggiunge a quanto già rilevato dal Tribunale.

6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2021

 

 

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