Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4206 del 20/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 4206 Anno 2013
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 9993-2010 proposto da:
CATANZARO COSTRUZIONI S.R.L. 01770560843, ]ri persona
del legale rappresentante pro tempore elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GAETANO MORONI 20, presso lo
studio della Dott.ssa EVA CREMONA, rappresentata e
difesa dall’avvocato CREMONA ANTONINO MARIA, giusta
2012

delega in atti;
– ricorrente –

4601
contro

MONCADA GIACOMO MNCGCM79R30A089X;
– Intimato –

Data pubblicazione: 20/02/2013

Nonché da:
MONCADA

GIACOMO

MNCGCM79R30A089X,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII 242, presso lo
studio dell’avvocato FRANCESCA LATINO GRISAFI,
rappresentato e difeso dall’avvocato CASSARO ROSALBA,

-controricorrente e ricorrente incidentale contro

CATANZARO COSTRUZIONI S.R.L. 01770560843;

intimato,

avverso la sentenza n. 472/2009 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 26/05/2009 R.G.N. 907/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/12/2012 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato COSTANTINO GUERRIERO per delega
CASSARO ROSALBA;
ùudito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
accoglimento per guanto di ragione del ricorso
principale, rigetto del ricorso incidentale.

giusta delega in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26.5.2009, la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della
decisione del Tribunale di Agrigento, condannava l’ appellante, Catanzaro Costruzioni
s.r.I., alla corresponsione, in favore di Moncada Giacomo, in luogo della reintegrazione
nel posto di lavoro e per effetto della opzione esercitata dal predetto, delle retribuzioni
globali di fatto dal giorno del licenziamento sino alla data in cui era stato effettuato il

Confermava nel resto la sentenza impugnata.
Rilevava che il Moncada, nel salire su una pala meccanica, aveva subito un trauma al
ginocchio sinistro e che il “medico competente per gli accertamenti in materia di lavoro”
aveva certificato, in data 20.2.2006, che il lavoratore non poteva caricare gli arti inferiori,
né sostare in piedi per periodi prolungati. Poiché non vi era possibilità che lo stesso,
assunto quale operaio generico, potesse essere adibito ad altre mansioni, la società
assumeva che il licenziamento doveva ritenersi giustificato, essendo l’inabilità, di carattere
permanente, di imprevedibile durata. Dopo avere evidenziato che il licenziamento per
inidoneità fisica del lavoratore era da tenere distinto da quello per malattia, essendo nel
primo la risoluzione del rapporto riconducibile agli artt. 1256 e 1463 c. c. ed il secondo
regolato dall’ad. 2110 c. c. con legittimità della risoluzione solo in caso di superamento del
comporto, la Corte aggiungeva che il medico incaricato delle visite periodiche anche ai fini
della ripresa del lavoro dopo l’infortunio, in data 2.3.2006, aveva chiarito che il lavoratore
non poteva sostenere alcuna delle attività proposte che comportavano un sovraccarico
della parte anatomica offesa, laddove l’INAIL, con certificazione del 21.2.2006, aveva dato
atto che l’infermità era cessata e che il Moncada poteva riprendere il lavoro. Analoga
certificazione era stata rilasciata dall’A.S.L. il 24.4.2006, sicché era stata disposta C.T.U.,
attraverso la quale era rimasto accertato che il Moncada aveva ripreso completamente la
funzionalità dell’arto inferiore ed era idoneo alla mansione specifica.
La sentenza di primo grado doveva, pertanto, essere confermata, ad eccezione che per la
parte relativa al pagamento dell’ indennità sostitutiva, che comportava la limitazione del
risarcimento del danno ex ad. 18 dello Statuto dei Lavoratori fino al pagamento della
stessa.
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pagamento dell’indennità sostitutiva (14.3.2008), in cui si era risolto il rapporto di lavoro.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando l’impugnazione a
quattordici motivi, illustrati con memoria, ai sensi dell’ad. 378 c.p.c..
Resiste, con controricorso, il Moncada, che propone ricorso incidentale relativamente alla
statuizione sulle spese di lite.

Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’ad. 335 c.p.c..
Con il primo motivo del ricorso principale, la società denunzia violazione di legge ai sensi
dell’ ad. 360 n. 3 c.p.c. ed, in particolare, degli artt. 112, 324 e 329 c.p.c., assumendo che
oggetto dell’appello era solo l’accertamento della temporaneità o permanenza dello stato
di inidoneità e che quindi non poteva emettersi una pronuncia sulla idoneità che non era
oggetto di appello. Con specifico quesito, domanda se l’estendere l’esame alla idoneità o
meno del dipendente, quando era stato chiesto solo l’accertamento sulla temporaneità o
meno dello stato di invalidità, violi i principi di cui agli articoli richiamati.
Coni il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione di legge, ex ad. 360, n. 3, c.p.c.,
per avere la Code violato gli articoli sopra menzionati nel demandare al C.t.u. il giudizio
sulla idoneità, laddove oggetto del giudizio era solo la prevedibilità della durata della
invalidità.
Omessa insufficiente ed erronea motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., viene dedotta con il
terzo motivo, con il quale la società evidenzia che la Corte territoriale ha acriticamente
recepito le risultanze della c.t.u., che ha espresso un giudizio senza esaminare e
ponderare la valutazione del medico competente, come se la stessa non fosse stata
effettuata, ed assume l’omissione di accertamenti strumentali, domandando, con quesito,
se è rettamente motivata la sentenza che faccia riferimento ad una c.t.u. senza che questa
abbia motivato con argomentazioni medico legali in merito al parere fornito dal medico
competente o se tale comportamento realizzi la fattispecie del vizio motivazionale
denunziato.
Con il quarto motivo, viene ascritta alla decisione impugnata la omessa insufficiente ed
erronea motivazione, ex ad. 360, n. 5, c.p.c., per avere la Code del merito recepito
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MOTIVI DELLA DECISIONE

acriticamente la c.t.u. che ha omesso l’esame dell’aspetto psichico del lavoratore, il quale
si era dichiarato inidoneo al lavoro che svolgeva. Il quesito verte sulla rilevanza da
attribuirsi alla intima convinzione del lavoratore di non potere svolgere le mansioni che in
precedenza aveva svolto, implicanti anche caricamento di pesi.
Anche il quinto motivo affronta analoghi profili, denunziando la violazione, ex art. 360, n. 3,
c.p.c., degli artt. 17 d. Igs. 19.9.1994 n. 626 e 41 d. Igs. 9.4.2008 n. 81, per non avere il

la storia medica del lavoratore e le valutazioni del medico competente.
Omessa insufficiente ed erronea motivazione, ex art. 360, n. 5, c.p.c., è dedotta con il
sesto motivo, nel cui quesito si chiede se l’omesso esame della valutazione del medico
competente concretizzi il vizio denunziato ed anche il con il settimo si deduce analogo
vizio, per avere omesso la Corte d’appello di affermare che il datore di lavoro non poteva
mantenere in servizio un lavoratore, pure avendo il sanitario competente ritenuto lo stesso
permanentemente inidoneo, costituendo tale valutazione g.m.o. di recesso. Si afferma
che il lavoratore poteva impugnare tale giudizio, ai sensi dell’art. 17 n. 4 d. Igs. 626/94, e,
con l’ottavo motivo, sostanzialmente si ribadisce la violazione degli artt. 17 d. Igs 626/94 e
41 d. Igs 81/2008.
Violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento all’art. 1464 c. c., viene, poi,
ravvisata nell’ avere la Corte del merito confermato la sentenza che ha obbligato il datore
di lavoro a mantenere in servizio un lavoratore che può svolgere solo parte delle mansioni,
reintegrandolo e permettendo, quindi, allo stesso, che non si riteneva idoneo a caricare
pesi, di esercitare i! diritto ad ottenere l’indennizzo in luogo della reintegra.
Si insiste, poi, sotto il profilo della violazione dell’art. 2909 c. c., sul fatto che la sentenza
di primo grado aveva già accertato, con statuizione non fatta oggetto di gravame, che il
ricorrente non era idoneo, sostenendosi che il quesito al CTU doveva !imitarsi a stabilire la
permanenza e prevedibilità della invalidità ed, ancora, si invoca, con l’undicesimo motivo,
il vizio di motivazione laddove è stato ritenuto illegittimo il licenziamento per g.m.o., posto
che la inidoneità riconosciuta dal lavoratore coincide con quella accertata dal medico
competente e che il recesso era avvenuto in ottemperanza a quanto accertato dal medico
competente ed alla documentazione medica, il cui esame era stato omesso dal C.t.u.
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giudice del gravame esaminato la c.t.u., il contenuto della busta nella quale era contenuta

Il dodicesimo motivo attiene alla dedotta violazione, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.,
delle norme in tenia di ammissione delle prove articolate dalla Azienda per dimostrare che
il lavoratore aveva lavorato durante il periodo in cui avrebbe dovuto essere reintegrato e la
società rileva che il risarcimento andava quanto meno ridotto e che è ravvisabile anche un
difetto di motivazione quanto al rigetto delle istanze istruttorie. Evidenzia che il datore si

trovava in una situazione incolpevole, essendosi basato su una valutazione medico legale

lavoratore presso I’lN PS ed altri uffici.
Difetto di motivazione viene dedotto anche con riguardo alla circostanza dell’ integrale
recepiniento delle conclusioni del C.t.u. pure a fronte di valutazioni di contrario segno
espresse dal C.T.P., assumendosi, altresì, violazione dell’ art. 112 c.p.c., ex art. 360, n. 3,
c.p.c..
Infine, la ricorrente ascrive alla sentenza, con il quattordicesimo motivo, violazione di legge
e vizio di motivazione, per avere il giudice del gravame erroneamente applicato l’art. 345
c.p.c. ritenendo tardiva e quindi inammissibile l’eccezione con la quale la società
appellante ha eccepito che, in forza della valutazione medico legale del medico
competente, il lavoratore fosse permanentemente inidoneo a svolgere l’ attività
precedentemente svolta, con riflessi sul carattere incolpevole del licenziamento, inidoneo
a fondare il diritto al risarcimento dei danni o, quanto meno, idoneo a legittimarne la
riduzione.
I motivi, riassuntivamente, pongono la questione della legittimità di un licenziamento
irrogato in conseguenza di una accertata inidoneità al lavoro del Moncada, della
irrilevanza di un successivo accertamento di una guarigione del lavoratore che non abbia
tenuto in considerazione le valutazioni espresse dal medico competente anche sotto il
profilo della imputabilità del comportamento del datare di lavoro.
Vale, in termini generali, richiamare orientamento giurisprudenziale di legittimità
consolidato alla cui stregua la malattia del lavoratore deve distinguersi dalla sua inidoneità
al lavoro in quanto, pur essendo entrambe cause d’impossibilità della prestazione
lavorativa, le stesse hanno natura e disciplina diverse, per essere la prima di carattere
temporaneo e implicante la totale impossibilità della prestazione, che determina, ai sensi
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del medico competente e che le prove riguardavano la produzione dei fascicoli del

dell’art. 2110 cod. civ., la legittimità del licenziamento quando ha causato l’astensione dal
lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, laddove la seconda ha carattere
permanente o, quanto meno, durata indeterminata o indeterminabile, e non implica
necessariamente l’impossibilità totale della prestazione, consentendo la risoluzione del
contratto, ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod, civ., eventualmente previo accertamento di
essa con la procedura stabilita dall’art. 5 dello statuto dei lavoratori, indipendentemente

conforme, Cass. 16375/2002, Cass. 2152/2003, Cass. 7531/2010, Cass. 1250/2011) .
Più in particolare, la inidoneità fisica attiene all’esistenza di una condizione permanente di
carattere irreversibile concernente l’incapacità del lavoratore a svolgere le prestazioni
tipiche delle sue mansioni e solo il suo accertamento consente di pervenire ad un
licenziamento riconducibile ad un giustificato motivo oggettivo, pur dovendosi al riguardo
osservare che la sopravvenuta inidoneità fisica e la conseguente impossibilità della
prestazione lavorativa, quale giustificato motivo oggettivo di recesso, non possono essere
ravvisate nella soia ineseguibilità dell’attività attualmente svolta dai prestatore, restando
escluse dalla possibilità di svolgere un’altra attività riconducibile alle mansioni assegnate o
ad altre equivalenti ovvero, qualora ciò non sia possibile, a mansioni inferiori, sempre che
questa attività sia utilizzabile all’interno dell’impresa (cfr. Cass. 18.4.2011 n. 8832).
Peraltro, deve aggiungersi che il parere espresso da Commissioni ovvero dal medico
competente ai controlli in rapporto a quanto previsto dall’art. 17 del d. Igs. 626/94
non è vincolante per il giudice di merito adito per l’accertamento della illegittimità del
licenziamento disposto a seguito di detto accertamento, avendo egli – anche in riferimento
ai principi costituzionali di tutela processuale – il potere di controllare l’attendibilità degli
accertamenti medico-sanitari, sicché il datore di lavoro, nei momento in cui opera il
licenziamento, agisce, come già argomentato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
420 del 1998, accollandosi il rischio di impresa avente ad oggetto la possibilità che
l’Organo giudicante possa giudicare in modo contrario l’idoneità del dipendente (al
riguardo v. Cass. 25.7.2011 n. 16195, Cass. 8.2.2008 n. 3095, con riferimento,
rispettivamente, al parere espresso da Commissioni mediche di cui all’ad. 29 r.d. n. 148
del 1931, all. A), ed all’ ad. 1 del decreto 23.2.1999 n. 88).

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dal superamento del periodo di comporto (cfr. Cass. 31.1.2012 n. 1404, ed, in senso

Risulta, pertanto, erroneo sostenere che il giudizio sulla inidoneità non implicasse anche
quello sulla permanenza dello stato di incapacità, essendo tale requisito idoneo a
caratterizzare la stessa inidoneità fisica che incide sulla impossibilità oggettiva della
prestazione ai fini della legittimità del recesso e non potendo prescindersi da tale
valutazione, sulla base del non condivisibile assunto che non aveva formato oggetto di
impugnazione anche il profilo, già accertato, della idoneità o meno del lavoratore allo
svolgimento delle sue mansioni lavorative. Nè incorre nel vizio di carenza di motivazione

di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, atteso che, per
infirmare tale motivazione, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa — profilo
richiamato nei motivi del presente ricorso -, è necessario che la parte alleghi le critiche
mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro rilevanza ai
fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione, laddove, al contrario, una mera
disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale
richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito,
inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. 4.5.2009 n. 10222, e, tra le altre, Cass.
18688/2007). Nel caso considerato non si evidenzia, da parte della ricorrente, alcun
aspetto con carattere di specificità che sia idoneo a rilevare, a fini decisori, per una
differente ricostruzione o valutazione della questione prospettata .
Ugualmente, deve rilevarsi, in una disamina congiunta dei motivi che afferiscono alle
stesse questioni di diritto o ad asseriti vizi motivazionali, che non vale, ai fini voluti,
prospettare una intima convinzione del lavoratore di ritenersi inidoneo alle mansioni
lavorative di assegnazione, ovvero considerare, a fondamento del motivo di censura che
replica nella sostanza quanto già dedotto nel motivo sub 3), che era stato omesso l’esame
del contenuto delle valutazioni del medico competente, posto che gli articoli dei decreti
legislativi richiamati prescrivono solo che il medico competente proceda ad accertamenti
sullo stato fisico dei dipendenti al fine di valutare la loro idoneità alle mansioni svolte,
senza precludere, come già detto, che tale valutazione possa essere oggetto di ulteriore
approfondimento in sede giudiziaria e possa essere disattesa in base a considerazioni,
che, nella specie, risultano essere contrastate solo da generici rilievi. Ed invero,
principio consolidato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che nel giudizio in
materia di accertamento medico legale, qualora il giudice del merito si sia basato sulle
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la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione

conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinché sia denunciabile in cassazione il vizio
di omessa o insufficiente motivazione della sentenza, è necessario che eventuali errori e
lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si sostanzino in carenze o
deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già in
semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato
patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte (Cass. 8.12.2010 n. 22707;

stata esperita c.t.u. di tipo medico-legale recepita dal giudice, affinché i lamentati errori e
lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza
denunciabile in cassazione, è necessario che i relativi vizi logico-formali si concretino in
una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni
illogiche o scientificamente errate, con il relativo onere, a carico della parte interessata, di
indicare le relative fonti, senza potersi la stessa limitare a mere considerazioni sulle
prospettazioni operate dalla controparte, che si traducono in una inammissibile critica del
convincimento del giudice di merito che si sia fondato, per l’appunto, sulla consulenza
tecnica (v., tra le tante, Cass. 25.8.2005 n. 17324).
I motivi di cui ai numeri 7, 8 e 9, a prescindere da ogni rilievo sulla ammissibilità dei
relativi quesiti in relazione alla omessa precisazione della regola iuris violata rispetto a
quella ritenuta, invece, applicabile alla fattispecie, reiterano doglianze già disattese con le
argomentazioni sopra svolte in relazione alla piena legittimità di un accertamento medico
legale disposto in sede giudiziale, senza che assuma carattere ostativo la mancata
impugnazione della valutazione del medico aziendale, il cui parere rileva solo nei riguardi
del datore di lavoro che conserva i risultati dei relativi accertamenti in funzione della
conoscenza dei rischi che egli stesso assume nel mantenere a lavoro dipendenti il cui
stato di salute sia eventualmente incompatibile con le mansioni svolte.
Il decimo motivo nella sostanza ripropone la questione, già affrontata, della impossibilità di
procedere ad accertamento di un’inidoneità fisica del lavoratore non fatta oggetto di
specifica impugnazione, essendo la controversia ed il relativo thema decidendum limitati
all’accertamento della permanenza ed irreversibilità di tale stato. Sul punto vale richiamare
quanto già esposto con riguardo al carattere connaturale della permanenza ed

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Cass. 12.1.2011 n. 569). Più specificamente, è stato ribadito che, nei giudizi in cui sia

irreversibilità della condizione di invalidità ai fini del giudizio stesso di inidoneità fisica al
lavoro.

Il motivo di censura con il quale si affronta la questione della mancata ammissione delle
istanze istruttorie avanzate nella fase di merito non soddisfa nella sua formulazione il
requisito della autosufficienza, in quanto, se pur nella premessa in fatto si enunciano e
richiamano una serie di circostanze anche documentali che avevano caratterizzato lo

specificamente il relativo contenuto, né si richiamano con puntualità le ulteriori richieste
istruttorie che si assumono disattese dal giudice del merito. In tal modo non è consentito
alla Corte di verificare i termini della doglianza e la sua fondatezza ed al riguardo vale
richiamare il principio più volte ribadito da questa Corte, secondo il quale il ricorrente che,
in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un
mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o
processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il
contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito,
provvedendo alla trascrizione nella parte che interessa, al fine di consentire al giudice di
legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che,
per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado
di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto (cfr. in tal senso, ord, sez. 6°,
30.7.2010 n. 17815). In tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera
del cligs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 cod. proc. civ. richiede la “specifica”
indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, al fine di realizzare
l’assoluta precisa delimitazione del “thema decidendum”, attraverso la preclusione per il
giudice di legittimità di esorbitare dall’ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di
porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e
dai documenti specificamente indicati dal ricorrente. Né, per quanto già detto, può ritenersi
sufficiente la generica indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso
nella narrativa che precede la formulazione dei motivi ( cfr. Cass. 31.10.2007 n. 23019).
Per di più deve osservarsi che l’assenta esistenza di fascicoli del lavoratore presso l’NPS
ed altri uffici, richiamata nel dodicesimo motivo, dei quali era stata richiesta al giudice del

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svolgimento del giudizio di appello, nell’ambito del motivo di impugnazione non si evoca

merito racquisizione, correttamente non è stata presa in esame dallo stesso, stante il
carattere meramente esplorativo dell’accertamento il cui compimento veniva sollecitato.
Quanto al motivo di impugnazione con il quale si denunzia l’ omessa motivazione in ordine
alla valutazioni offerte dal CTP, omissione concretizzatasi nell’avere il giudice del
gravame recepito integralmente ed in modo non argomentato le risultanze e conclusioni
della c.t.u., deve osservarsi che è principio pacificamente affermato quello secondo cui il

relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce
l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento e che non è
quindi necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti
tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente
disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte. In tal caso, le critiche di parte, che
tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si
risolvono in mere argomentazioni difensive, che non possono configurare il vizio di
motivazione previsto dall’ad. 360 n. 5 cod. proc. civ.. (cfr., tra le altre, Cass. 9.1.2009 n.
282).
Infine, deve essere disatteso il rilievo della erronea applicazione dell’ad. 345 c.p.c. quanto
all’eccezione – ritenuta tardiva – dell’incolpevolezza del licenziamento intimato sulla base di
giudizio di inidoneità del medico competente, poi disatteso in sede giudiziale. Ed invero, la
ricorrente non ha riportato i passaggi del ricorso in sede di gravame in cui veniva
affrontato lo specifico tema ed i termini di deduzione della relativa questione, sicchè, al di
là della valutazione del profilo della novità o meno della stessa in appello e della sua
configurabilità come eccezione proponibile in precisi limiti temporali ovvero come
eccezione in senso ampio o come mera difesa, rileva la mancanza di elementi atti ad
individuare in che fase ed in quali precisi sensi la deduzione sia stata avanzata,
osservandosi che alcune delle sentenze della Corte di legittimità richiamate a conforto e
sostegno della censura attengono più specificamente all’eccezione dell'”aliunde
perceptum” e non alla questione dell’incolpevolezza del licenziamento.
Alla stregua di tutte le esposte considerazioni, il ricorso principale deve essere rigettato.

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giudice dei merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella

Il ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e
carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla impossibilità di
identificazione del procedimento posto a base della decisione di compensare le spese di
lite del doppio grado, atteso che la proclamata incolpevolezza della società Catanzaro era
risultata assolutamente infondata.
Al riguardo deve osservarsi come questa Corte abbia ripetutamente affermato che, in

parziale rientra nei poteri discrezionali del giudice e non richiede specifica motivazione e
non è censurabile in sede di legittimità, salvo che non risulti violato il principio secondo il
quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, ovvero
che la decisione sia accompagnata dall’indicazione di ragioni palesemente illogiche o tali
da inficiare, per la loro inconsistenza o l’evidente erroneità, lo stesso processo formativo
della volontà decisionale espressa sul punto v. sent. Cass. n. 19161 del 29.9.2005).
Tuttavia, è stato anche affermato, con riguardo alla nuova formulazione dell’art. 92,
secondo comma, cod. proc. civ., nel testo introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. a), legge 28
dicembre 2005, n. 263, che la norma dispone che il giudice può compensare le spese, in
tutto o in parte, se vi è soccombenza reciproca o ricorrono altri giusti motivi, esplicitamente
indicati nella motivazione, e che ciò non accade quando la compensazione si basi sul
richiamo alla “fattispecie concreta nel suo complesso”, in quanto tale formula è del tutto
criptica e non consente il controllo sulla motivazione e sulla congruità delle ragioni poste
dal giudice a fondamento della sua decisione (Cr. In tali termini Cass. , sez. I 18.2.2007 n.
26673).
Nel caso considerato dalla motivazione e ricostruzione del fatto contenute nella sentenza
impugnata emergono elementi di coerenza e compatibilità con una totale compensazione
delle spese di lite, decisione che, assumendo una funzione accessoria rispetto a quella
che definisce il giudizio, deve necessariamente valutarsi in stretta correlazione con la
motivazione che sorregge la decisione di merito.
Pertanto, considerate le circostanze cui si è fatto richiamo, relative alla peculiarità della
vicenda in relazione alla diversità di valutazione espressa con riguardo allo stato di
idoneità fisica del Moncada in sede giudiziale, la disposta compensazione deve reputarsi
adottata in modo conforme ai criteri enunciati, risultando coerente con l’impianto
10

tema di spese processuali, la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o

motivazionale contenuto nella sentenza. Anche l’impugnazione incidentale va, pertanto,
respinta e la reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione tra le stesse
delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.
Compensa le spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma il 20.12.2012

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