Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4206 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. III, 17/02/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 17/02/2021), n.4206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28074-2019 proposto da:

G.B., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NATALINA

VITALI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto n. 4125/2019 del TRIBUNALE DI BRESCIA, depositato

il 13/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

G.B., cittadino del (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire violenze da parte di esponenti serbi in ragione della propria nazionalità (OMISSIS);

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento G.B. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 novembre 2008, n. 25, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Brescia, che l’ha rigettato con decreto in data 13/8/2019;

a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) della mancata corrispondenza delle ragioni di fuga del ricorrente dal paese di origine con i presupposti di legittimazione della protezione internazionale rivendicata; 2) del carattere sostanzialmente personale delle ragioni della fuga del ricorrente dal paese di origine; 3) dell’assenza di attendibilità del relativo racconto; 4) dalla mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 5) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da G.B. con ricorso fondato su quattro motivi d’impugnazione;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere il tribunale erroneamente condotto la valutazione della credibilità delle dichiarazioni rese dall’istante nel corso del procedimento (tenuto altresì conto della relativa mancata videoregistrazione), concludendo per la complessiva inattendibilità del ricorrente sulla base di una carente motivazione e in violazione del contraddittorio delle parti;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere il tribunale omesso di esercitare i propri doveri di cooperazione istruttoria al fine di integrare gli elementi di valutazione forniti dall’istante traverso le proprie dichiarazioni, avendo peraltro posto a fondamento della propria decisione fonti di informazione non previamente sottoposti al contraddittorio delle parti;

con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi e violazione di legge, per avere il tribunale erroneamente considerato d’indole meramente privata il conflitto insorto tra il ricorrente e i vicini serbi, pervenendo a una valutazione delle dichiarazioni rese dall’istante sulla base di un procedimento d’esame contrastante con i principi sul punto stabiliti dalla legge;

i primi tre motivi – congiuntamente valutabili per ragioni di connessione – sono nel loro complesso infondati;

dev’essere preliminarmente disattesa la censura sollevata dal ricorrente con riguardo alla paventata violazione dei principi del contraddittorio delle parti con riguardo all’utilizzazione di fonti di informazione sul paese di origine del ricorrente non previamente sottoposti al contraddittorio delle parti;

al riguardo, osserva il Collegio come secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione internazionale, l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; dovendo, al contrario, ravvisarsi una violazione del diritto di difesa del richiedente unicamente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio (Sez. 1, Ordinanza n. 29056 del 11/11/2019, Rv. 655634 – 01);

nel caso di specie, escluso il ricorso di tale ultima occorrenza (non avendo il ricorrente censurato in questa sede l’eventuale utilizzazione, da parte del tribunale, di fonti diverse da quelle specificamente indicate dall’interessato; indicazione, quest’ultima, peraltro neppure richiamata e documentata a fini di allegazione, nel rispetto degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4), varrà rilevare come il tribunale abbia espressamente indicato le fonti utilizzate ai fini della decisione, consentendo regolarmente l’esercizio del potere di critica dell’istante in sede di impugnazione, nel pieno rispetto delle prerogative proprie del contraddittorio;

parimenti prive di rilievo devono ritenersi le censure sollevate dal ricorrente con riguardo alla pretesa mancata videoregistrazione del colloquio dell’istante, avendo il tribunale direttamente provveduto a disporre l’audizione del ricorrente, dandone esaustivamente conto nella motivazione del provvedimento impugnato;

quanto, infine alla contestata correttezza del procedimento di valutazione delle dichiarazioni rese dall’istante nel corso del procedimento, varrà osservare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi altresì censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come il ricorrente abbia propriamente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte del tribunale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

osserva il Collegio, al riguardo, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo in ogni caso ritenersi che la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere il tribunale erroneamente ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria rivendicata dall’istante, tenuto conto dell’assoluta carenza di valutazione sulle effettive criticità del paese di provenienza sotto il profilo del rispetto del contenuto minimo essenziale dei diritti fondamentali della persona;

il motivo è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati;

preliminarmente, devono essere disattese le censure sollevate dal ricorrente con riguardo al mancato riconoscimento dei presupposti per il conseguimento della protezione sussidiaria;

con particolare riguardo alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), varrà osservare come, rispetto alla valutazione in questa sede censurata dal ricorrente, assuma valore dirimente la circostanza, sottolineata dal tribunale, della sostanziale inattendibilità del racconto di vita dell’odierno ricorrente, ciò che esclude in radice la stessa configurabilità dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale in relazione alle ipotesi indicate, attesa la decisiva incidenza, a tali fini, della positiva dimostrazione (nella specie mancata) del concreto riscontro delle circostanze concernenti le vicende strettamente individuali del richiedente;

quanto, invece, all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), varrà rilevare come, nel caso di specie, il tribunale abbia correttamente provveduto ad attivare i propri doveri di cooperazione istruttoria attraverso l’estensione della propria cognizione alle informazioni sul paese di origine dell’odierno ricorrente, dando ampiamente conto delle fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa l’insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente, delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), riferendosi a fonti di informazioni specifiche e adeguatamente aggiornate, dalle quali ha tratto la conclusione dell’impossibilità di riconoscere, nella regione di provenienza del ricorrente, situazioni di violenza generalizzata nel quadro di conflitti armati interni, a nulla rilevando le alternative fonti segnalate dal ricorrente, trattandosi di informazioni generiche, e in ogni caso inidonee a fornire adeguata contezza degli specifici presupposti oggettivi legittimanti il riconoscimento della protezione sussidiaria in contrasto con i contenuti informativi privilegiati dalle scelte probatorie (legittimamente) operate dal giudice d’appello nell’esercizio dei propri poteri di apprezzamento discrezionale delle fonti istruttorie;

devono essere, viceversa, accolte le doglianze argomentate dall’istante in relazione al mancato riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato che l’eventuale processo di integrazione del richiedente nel tessuto socioeconomico italiano non costituisce, da solo, elemento sufficiente a giustificare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, si è inammissibilmente limitato ad affermare, in termini apodittici, come la situazione del (OMISSIS), pur presentando certamente significative criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona, non appare tale “da dar luogo a una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata”, trascurando totalmente di specificare le fonti di informazione utilizzate al fine di pervenire a detta conclusione (tanto sotto il profilo dell’individuazione, quanto sotto quello dell’adeguato aggiornamento), sottraendosi così al dovere di approfondire e circostanziare in modo corretto gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. minimo costituzionale;

sulla base di tali premesse, in accoglimento del quarto motivo nei limiti indicati (disattesi i restanti), dev’essere disposta la cassazione del provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio al Tribunale di Brescia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il quarto motivo nei limiti di cui in motivazione; rigetta i primi tre; cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, e rinvia al Tribunale di Brescia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

 

 

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