Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4206 del 09/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 09/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 09/02/2022), n.4206
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
Dott. FEDELE Ileana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1199-2021 proposto da:
C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL
FANTE, 10, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO DE JORIO, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CA.SI., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO
CARO 38, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DE FRANCESCO, che
la rappresenta e difende unitamente a se stessa;
– controricorrenti –
avverso l’ordinanza n. 10607/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
di ROMA, depositata il 04/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata dell’11/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ELENA
BOGHETICH.
Fatto
RILEVATO
che:
1. Con ordinanza n. 10607 depositata il 4.6.2020 la Corte di Cassazione ha pronunciato sul ricorso proposto da C.B. contro Ca.Si., avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4146 del 3.11.2016 avente ad oggetto la corresponsione dei compensi maturati nell’ambito della collaborazione coordinata e continuativa svolta tra le parti dal 1991 al 2001.
2. C.B. ne chiede la revocazione sull’assunto che i giudici di legittimità – là dove hanno ritenuto inammissibile il secondo motivo del ricorso – sarebbero incorsi nell’errore di percezione previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, perché non avrebbero considerato che il ricorso per decreto ingiuntivo (con cui l’originario C.-ricorrente aveva adito il Tribunale di Roma), con la relativa documentazione probatoria, era presente nel fascicolo d’ufficio giacente presso la Suprema Corte.
4. Il C. propone ricorso per revocazione affidato a un motivo, oltre alla riproposizione dei motivi proposti con l’originario ricorso per cassazione. Ca.Si. resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo di revocazione si deduce il travisamento del ricorso per cassazione, risultando dalle copie autentiche del fascicolo giacente presso la Suprema Corte che il ricorso per decreto ingiuntivo era ed è presente agli atti.
2. Il ricorso è inammissibile.
L’errore rilevante ex art. 395 c.p.c., n. 4, consiste nella erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, a condizione che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Muovendo da detta premessa questa Corte ha evidenziato che: l’errore non può riguardare la attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa (Cass. 5.7.2004 n. 12283; Cass. 20.2.2006 n. 3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008 n. 5075; Cass. 29.10.2010 n. 22171; Cass. 15.12.2011 n. 27094).
Nel caso in esame, la sentenza della Corte di appello n. 4146/2016 aveva rilevato, riformando la sentenza del Tribunale della medesima sede (che aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta da Ca.Si.), che l’atto di ricognizione di debito sottoscritto dalla Ca. in data (OMISSIS) (ove la stessa si riconosceva debitrice della somma di Lire 235.000.000 nei confronti del C.) si ricollegava all’esistenza di ulteriori “rapporti economici” (ulteriori rispetto al rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato tra le parti), rapporti economici di cui “non si fa alcun cenno nel ricorso per decreto ingiuntivo né in sede di opposizione è stata chiarita la natura dei rapporti economici e, soprattutto, se fossero dipendenti o meno dallo svolgimento di attività lavorativa”. Pur dando atto del principio generale secondo cui la ricognizione di debito determina un’inversione dell’onere probatorio, la Corte territoriale aveva, dunque, rilevato che “la valutazione circa la fondatezza della pretesa creditoria non può prescindere dal contenuto della domanda azionata con il ricorso per decreto ingiuntivo che delinea i limiti e l’ambito di indagine della res controversa”.
La sentenza di questa Corte di cui è chiesta la revocazione ha (fra l’altro) ritenuto che il C. – per ottenere la riforma della decisione della Corte di appello di Roma – avrebbe dovuto produrre e menzionare, tra i documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso, il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale a favore dello stesso C.: nella misura in cui il C., nel ricorso per cassazione, non ha fornito elementi sicuri per consentire l’individuazione e il reperimento negli atti processuali del decreto ingiuntivo ha posto in essere una violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione.
L’esigenza nasceva dal livello di specificità delle censure necessario per identificare l’errore imputabile alla sentenza gravata, in relazione alla corretta identificazione ed interpretazione delle domande giudiziali proposte dal C. con il ricorso monitorio (da comparare alla ricognizione di debito rilasciata dalla Ca.), come è reso evidente non solo dalla richiamata necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza delle censure “senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso” ma altresì dal rinvio alla giurisprudenza di legittimità che ritiene indispensabile sia la trascrizione (quantomeno nei tratti salienti) dell’atto oggetto di doglianza sia l’esatta indicazione dell’ubicazione dell’atto.
Poiché col ricorso per revocazione non si attacca l’affermazione della sentenza di cui è chiesta la revocazione, secondo cui nel ricorso per cassazione non risultava menzionato il decreto ingiuntivo originariamente ottenuto dal C. né indicati elementi specifici ove reperire il suddetto atto, l’errore denunciato non si concreta in una falsa percezione della realtà documentale da parte del giudice di legittimità, ma – secondo la stessa prospettazione del ricorrente – nel recepimento del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione in una accezione e con un contenuto (necessità della trascrizione testuale delle risultanze documentali ritenute rilevanti ed esatta indicazione della collocazione del documento nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte,) errati, così come errato sarebbe stato il convincimento della Corte che le fosse vietato l’esame dell’atto. Siffatto errore, però, alla luce della ricordata giurisprudenza di legittimità, non risponde al modello legale dell’errore revocatorio, bensì, in via di mera ipotesi, configura, secondo la prospettazione del C., un errore di valutazione giuridica, non denunciabile in questa sede, circa il contenuto delle norme processuali e circa gli obblighi di indagine che ne derivavano per il giudice (cfr. in materia di revocazione e di principio di autosufficienza, Cass. n. 11408 del 2000, Cass. n. 14608 del 2007, Cass. n. 20635 del 2017, Cass. n. 31311 del 2018, Cass. n. 20081 del 2019, Cass. n. 14127 del 2020, Cass. n. 27924 del 2021).
Non ricorre, pertanto, alcun errore di percezione e la decisione oggetto di revocazione si è limitata ad applicare il principio di autosufficienza più volte ribadito da questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. n. 2560 e Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 3075 del 2006; Cass. n. 11699 del 2013).
3. Va ulteriormente rilevato che la sentenza oggetto di revocazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso non solo per i profili ricollegati all’autosufficienza ma anche, sulla base di un’autonoma e distinta ratio decidendi, con riguardo alla valutazione delle censure proposte dal lavoratore nel secondo motivo di ricorso, in quanto concernenti meri profili di insufficienza della motivazione (profili inammissibili alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e per carenza di specificità in ordine alla “errata applicazione dell’art. 1988 c.c.”. A prescindere, dunque, dall’onere probatorio concernente il contenuto del decreto ingiuntivo, la proposizione del ricorso per revocazione non è decisivo, essendo – la sentenza – fondata su due rationes decidendi autonome e concorrenti, ognuna idonea a sorreggere l’inammissibilità del secondo motivo del ricorso proposto dal C..
4. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 11 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022