Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4205 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 19/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 19/02/2020), n.4205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32068/2018 R.G. proposto da:

C.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Raffaele Conte;

– ricorrente –

contro

Telecom Italia S.p.A.;

– intimata –

avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 2641/2018, depositata

il 16 marzo 2018;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 7 novembre

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Napoli ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda di C.S. volta a ottenere la condanna di Telecom Italia S.p.A. – in tesi responsabile ex contractu per non avere provveduto a riparare il guasto della linea telefonica, protrattosi dal 1 settembre 2010 fino al 12 settembre 2011 – al pagamento dell’indennizzo previsto dagli artt. 7 e 26 delle condizioni generali di abbonamento oltre che al rimborso delle somme versate per il periodo in oggetto ed al risarcimento del danno alla vita di relazione patito in conseguenza dell’inadempimento.

Il giudice d’appello ha infatti ritenuto detta allegazione generica e sfornita di prova, sia quanto all’an del disservizio dedotto, sia quanto alla sua durata e all’entità dei disagi asseritamente sofferti, escludendo inoltre che fosse fondatamente invocato il principio di non contestazione in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati.

2. Avverso tale sentenza C.S. propone ricorso per cassazione con unico mezzo.

L’intimata non svolge difese nella presente sede.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso C.S. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 ed all’art. 359 c.p.c., per motivazione apparente.

L’argomentazione di tale censura può compendiarsi nelle seguenti doglianze:

– nonostante ogni sforzo interpretativo, non è possibile comprendere quali siano, secondo i giudici d’appello, i fatti dedotti in maniera generica ed i documenti che si afferma essere inidonei a sopportarne l’allegazione;

– non è spiegata in sentenza la rilevanza della specifica individuazione dei periodi, nell’ambito del più ampio lasso di tempo indicato, in cui il segnale telefonico sia stato del tutto assente o fortemente disturbato;

– risulta impossibile individuare nell’impianto motivazionale lo spartiacque tra attività assertivo/deduttiva idonea ed inidonea, in assenza di qualunque indicazione sul punto;

– non è dato comprendere “cosa qualifichi di specificità gli elementi atti alla quantificazione dell’importo dovuto a titolo di indennizzo contrattuale per la ritardata riparazione del guasto e della somma da rimborsare perchè indebitamente versata in ragione dell’inadempimento”.

L’illustrazione del motivo prosegue poi (pagg. 5-9) con: la trascrizione del contenuto dell’atto di citazione introduttivo; l’indice dei documenti prodotti in sede di iscrizione a ruolo della causa; una rapida sintesi delle difese svolte in primo grado dalla convenuta; una sintesi del dispositivo della sentenza di primo grado; una sintetica indicazione dei motivi d’appello e delle difese svolte in secondo grado dall’appellata.

Sulla base di tali premesse conclude il ricorrente osservando che “in definitiva non si vede perchè debba considerarsi generica l’attività assertiva dell’attore, che ha fornito tutti gli elementi per individuare l’entità del ritardo e la misura dell’indennizzo, minutamente riportata a pag. 3 della citazione (doc. 1 fascicolo merito) facendolo decorrere dal 04/09/2010, terzo giorno lavorativo successivo alla segnalazione del guasto, in virtù degli artt. 7 e 26 condizioni generali di abbonamento (doc. 7 fascicolo primo grado).

“Nè si comprende perchè non dovrebbe accordarsi il rimborso delle somme indebitamente pagate dall’utente in presenza di un inadempimento della controparte connotato da rilevante gravità.

“Nè, ancora, perchè non debba riconoscersi l’invocato rimedio del risarcimento del danno alla vita di relazione, considerata l’entità del fatto, il prolungato periodo di disservizi, gli inevitabili disagi che giocoforza ha dovuto patire il C.”.

2. Il motivo è inammissibile.

Come questa Corte ha più volte chiarito, il vizio di motivazione apparente, causa di nullità della sentenza per violazione dei doveri decisori, e dunque per error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è configurabile (solo) quando la motivazione, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. ex multis Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; Cass. 23/05/2019, n. 13977).

Sotto tale profilo, com’è stato ulteriormente precisato, “è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, che a tale ipotesi ascrive oltre alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” ed, appunto, al vizio di “motivazione apparente”, anche quelli, a quest’ultima similari e contigui, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, escludendo comunque qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione).

Alla luce di tali pacifiche definizioni il dedotto vizio di omessa o apparente motivazione (in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4) deve, nella specie, ritenersi palesemente insussistente, essendo la motivazione della sentenza impugnata chiara e pienamente comprensibile là dove afferma che le domande svolte dall’attore/appellante non possono essere accolte perchè generiche e comunque carenti di prova dei fatti che ne sono posti a fondamento.

Per sostenere il contrario (ossia l’incomprensibilità della motivazione) il ricorrente svolge argomenti che, lungi dal chiarire perchè detta motivazione dovrebbe ritenersi incomprensibile o meramente apparente, presuppongono al contrario che egli l’abbia pienamente compresa, posto che a ben vedere con essi si vuole in sostanza sostenere che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’appello, la domanda non era nè generica nè sfornita di prova.

Si riversano a tal fine, nella illustrazione dell’unico motivo, tutte le allegazioni e gli argomenti difensivi svolti nel giudizio di merito e se ne contesta l’esito valutativo, in termini però evidentemente eccentrici rispetto al vizio dedotto e comunque totalmente generici e non riconducibili ad alcuno dei vizi tipizzati dall’art. 360 c.p.c., comma 1.

3. A tutto concedere, là dove si imputa alla sentenza di non aver meglio illustrato le ragioni per cui le domande svolte dovrebbero ritenersi generiche o non documentate, si intende evidentemente prospettare un vizio di insufficienza della motivazione che però, ripetesi, non è più deducibile quale vizio cassatorio, ai sensi del novellato testo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile nella specie ratione temporis, in virtù del quale, come è stato detto, il sindacato deve ritenersi limitato – oltre che al “minimo costituzionale” della sussistenza della motivazione in sè, nei termini sopra detti – al vizio di “omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia)” (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).

Vizio, quest’ultimo, non dedotto nella specie, nè desumibile dalle argomentazioni svolte, pur alla stregua di una lettura sostanzialistica delle stesse (Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931), non essendo comunque indicato in ricorso – tantomeno nel necessario rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ed all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014, cit.).

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Non avendo l’intimata svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere in ordine al regolamento delle spese.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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