Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4204 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. III, 21/02/2011, (ud. 20/12/2010, dep. 21/02/2011), n.4204

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28704-2006 proposto da:

MINISTERO DEGLI INTERNI (OMISSIS) in persona del Ministro in

carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– ricorrente –

contro

Z.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SARDEGNA

50, presso lo studio dell’avvocato DESIDERI GIOVANNI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AZZALINI GIORGIO,

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1307/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Seconda Civile, emessa l’8/03/2006, depositata il 24/05/2006,

r.g.n. 714/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2010 dal Consigliere Dott. D’AMICO Paolo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Z.E. evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Ministero dell’interno per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per essere stato ferito da un colpo d’arma da fuoco sparato dalle forze dell’ordine mentre erano all’inseguimento di un rapinatore.

Il Ministero negava che i suoi agenti avessero sparato e sosteneva che in ogni caso la sua responsabilità era da ricondurre nell’ambito dell’art. 2045 c.c..

Il Tribunale accertava la responsabilità esclusiva del Ministero dell’Interno e lo condannava al risarcimento dei danni.

Il Ministero dell’Interno impugnava le sentenza di primo grado.

La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza impugnata.

Proponeva ricorso il Ministero dell’Interno, con tre motivi.

Resisteva con controricorso Z.E..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso il Ministero dell’Interno denuncia “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 1 (5)”.

Parte ricorrente critica l’impugnata sentenza nel punto in cui, sostiene, si è “completamente adagiata” sulle conclusioni raggiunte dal Tribunale di Milano in punto di ricostruzione della dinamica dell’incidente, senza adeguatamente motivare per confutare le argomentazioni svolte dall’appellante. In particolare, prosegue il Ministero dell’Interno, la Corte d’Appello non ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere le risultanze dell’annotazione di servizio dalla stessa appellante prodotta nonchè quanto emerso dalla testimonianza dello stesso rapinatore.

Il motivo non può essere accolto. La censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve infatti contenere un momento di sintesi (che svolge l’omologa funzione del quesito di diritto per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c.) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., S.U. n. 20603/2007;

Cass., ord., n. 4646/2008 e n. 16588/2008; Cass., S.U., 25117/2008 e 26014/2008). Tale momento di sintesi deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato quando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di una attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione o si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la motivazione (Cass., ord., 16002/2007; Cass., ord., 4309/2008; Cass., ord., 4311/2008; Cass., ord., 8897/2008; Cass., S.U., 11652/2008).

In altri termini, perchè la formulazione del motivo si possa ritenere in questo caso appropriata, si richiede che l’illustrazione del motivo venga corredata da una sintetica esposizione del fatto controverso, degli elementi di prova valutati in modo illogico od illogicamente trascurati, del percorso logico in base al quale si sarebbe dovuti pervenire, se l’errore non vi fosse stato, ad un accertamento di fatto diverso da quello posto a fondamento della decisione (Cass., ord., 16567/2008). In conclusione deve ritenersi inammissibile perchè privo di autosufficienza e concretezza, come richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., il ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in cui non siano specificamente indicati i fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume carente, nè siano indicati i profili di rilevanza di tali fatti, qualora il ricorrente si sia limitato a denunciare la necessaria esaustività della motivazione quale premessa maggiore del sillogismo che dovrebbe portare alla soluzione del problema giuridico, senza indicare la premessa minore (cioè i fatti rilevanti cui vi sarebbe stata omissione) e svolgere il successivo momento di sintesi dei rilievi attraverso i quali poter cogliere la fondatezza della censura (Cass., S.U., 16528/2008).

Per altro verso il motivo è altresì inammissibile perchè verte sulla valutazione di circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie (in specie sulla ricostruzione della dinamica del sinistro) e non sulla motivazione della sentenza. Quest’ultima anzi risulta congruamente argomentata ed è priva di vizi logici o giuridici.

Quanto poi al valore probatorio dell’annotazione di servizio, va rilevato che la stessa non può far prova fino a querela di falso se non in merito a circostanze che il verbalizzante attesti come da lui compiuti od avvenuti in sua presenza e da lui conosciuti senza margini di apprezzamento o discrezionalità, nonchè limitatamente alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, senza estendersi alla verità sostanziali di tali dichiarazioni ovvero alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante (Cass., 2734/2002;

Cass., 1317/2004).

Non si può quindi ritenere che l’annotazione di servizio serva senz’altro ad escludere la responsabilità della P.A..

Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 2697 c.c., artt. 61 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Sostiene parte ricorrente che la sentenza impugnata è censurabile per aver confermato la responsabilità del Ministero ricorrente per il ferimento della controparte sul solo presupposto della compatibilità, valutata dal consulente tecnico d’ufficio, del foro rinvenuto sul parabrezza dell’autocarro su cui viaggiava la vittima con il tipo di proiettile in dotazione alle forze dell’ordine piuttosto che con quello usato dal rapinatore che esse inseguivano, pur in mancanza della prova che gli appartenenti alle forze dell’ordine avessero esploso colpi d’arma a fuoco nel tratto autostradale in cui lo Z. rimase ferito.

La Corte d’appello di Milano, si conclude, ha eluso la problematicità della questione e si è limitata ad affermare l’univoca convergenza delle risultanze della c.t.u. verso un unico risultato probatorio che implica la responsabilità del Ministero dell’Interno.

Il motivo non può essere accolto.

Non risulta infatti che la Corte distrettuale ha considerato la Ctu quale unico elemento di prova recependone acriticamente i risultati.

Piuttosto essa ha accuratamente esaminato tutti gli elementi della fattispecie concreta rilevanti ai fini del decidere ed ha ricostruito la vicenda in termini senz’altro plausibili, avvalendosi della consulenza tecnica quale strumento per valutare le risultanze probatorie.

Con il terzo motivo si denuncia: “Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Sostiene parte ricorrente che il Ministero dell’ Interno aveva prospettato nella fattispecie in esame l’applicabilità dell’art. 2045 c.c. e che sul punto la sentenza impugnata si è limitata ad affermare la correttezza della decisione di primo grado, nella parte in cui aveva escluso che nella specie ricorressero gli estremi della legittima difesa o dello stato di necessità. La sentenza, prosegue il Ministero dell’interno, non ha dato conto delle ragioni per le quali si è esclusa la sussistenza dei presupposti per poter applicare l’art. 2045 c.c..

Il motivo è anzitutto inammissibile per la stessa ragione di cui al primo, ossia per la mancanza di un momento di sintesi (che svolga l’omologa funzione del quesito di diritto per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4).

Sotto altro profilo va rilevato che la Corte d’Appello ha escluso che nella specie ricorressero gli estremi della legittima difesa o dello stato di necessità, potendo tali cause di liceità trovare applicazione solo se le situazioni di fatto che ne integrano lo schema siano provate pienamente. E tale piena prova, ad avviso della Corte d’Appello, non è stata fornita. Trattandosi di valutazione di merito, la stessa non è sindacabile in sede di legittimità.

In conclusione, per tutte le ragioni che precedono, Il ricorso deve essere rigettato, mentre la particolarità del caso induce a ritenere che sussistano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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