Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4203 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. III, 21/02/2011, (ud. 20/12/2010, dep. 21/02/2011), n.4203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23720-2006 proposto da:

B.P.A. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI CONDOTTI 91, presso lo studio

dell’avvocato CARABBA TETTAMANTI FERDINANDO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DI CIOMMO FRANCESCO, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI ASCOLI PICENO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C.

POMA 4, presso lo studio dell’avvocato GELLI PAOLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato CATALDI MARIO, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 157/2006 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

emessa il 01/03/2006, depositata il 18/03/2006, R.G.N. 273/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2010 dal Consigliere Dott. D’AMICO Paolo;

udito l’avvocato PATRIZI Felice (per delega dell’avvocato CARABBA

TETTAMANTI Ferdinando);

udito l’avvocato GIARDIELLO ENZO (per delega dell’avvocato CATALDI

Mario);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.P.A. conveniva in giudizio l’Amministrazione provinciale di Ascoli Piceno chiedendone la condanna al risarcimento dei danni che asseriva di aver subito alla propria autovettura, causati da una collisione del veicolo contro un tombino in muratura posto a margine della carreggiata.

Sosteneva l’attore che tale collisione si era verificata per effetto di una perdita di controllo del veicolo cagionata da una imprevedibile sbandata dovuta alla sconnessione del fondo stradale, non sottoposto a manutenzione da parte della suddetta amministrazione alla quale spettava invece la gestione della strada.

Il giudice riteneva la domanda infondata perchè il dissesto della carreggiata era di modesta entità e non rivestiva le caratteristiche di una insidia ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Proponeva appello il B. deducendo travisamento del fatto ad opera del primo giudice ed evidenziando che lo stato di dissesto della strada, costituente insidia, risultava dimostrato in atti.

Sosteneva altresì che il sinistro non poteva addebitarsi a negligenza dello stesso B., per eccesso di velocità e che il dissesto stradale non era specificamente segnalato nè era riconoscibile da lontano.

L’Amministrazione provinciale chiedeva la reiezione del gravame.

La Corte d’Appello confermava la sentenza impugnata.

Proponeva ricorso per cassazione B.P.A. con tre motivi.

Resisteva con controricorso l’Amministrazione provinciale di Ascoli Piceno.

Le parti presentavano memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi del ricorso, che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, parte ricorrente denuncia rispettivamente: 1) “Violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) del combinato disposto degli artt. 2043 e 2051 c.c., per avere la Corte escluso l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. alla vicenda in esame”; 2) “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la Corte escluso l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. alla vicenda in esame sulla base di considerazioni e motivi non rilevanti”.

Parte ricorrente critica in particolare la sentenza della Corte d’Appello di Ancona nel punto in cui quest’ultima afferma che, nel caso di specie, trattandosi di ipotesi di danno riferibile all’uso di bene demaniale, soggetto a fruizione generale e diretta da parte degli utenti, non opera nei confronti dell’Amministrazione il principio di presunzione di cui all’art. 2051 c.c., stante la immanenza dell’uso diretto da parte degli utenti. Secondo il B. invece la P.A., quale proprietaria delle strade pubbliche, ha l’obbligo di svolgere la manutenzione delle stesse e, più in generale, di custodirle. L’obbligo di custodia a carico dell’ente si fonda proprio sulla presunzione di responsabilità ex art. 2051.

Applicando l’art. 2043 e non l’art. 2051 c.c. la Corte d’Appello di Ancona ha seguito, secondo parte ricorrente, una giurisprudenza ormai superata.

I motivi non possono essere accolti.

Da un lato, infatti, manca la sintesi descrittiva del fatto dannoso che era onere del ricorrente fornire; dall’altro si deve rilevare che solo in sede di ricorso, e ivi per la prima volta, è stata sollevata l’applicabilità della presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. in luogo dell’art. 2043 c.c..

Si è al riguardo affermato che il danneggiato da un incidente stradale che, nei gradi di merito, abbia dedotto la responsabilità dell’ente proprietario della strada sotto il profilo della mancata eliminazione di una situazione di pericolo occulto non può dedurre per la prima volta, in sede di legittimità, la questione della responsabilità dello stesso ente, a norma dell’art. 2051 c.c., trattandosi di norma che implica, sul piano eziologico e probatorio, nuovi e diversi accertamenti, inammissibili in sede di legittimità (Cass., 20.9.2006, n. 20328).

Con il terzo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dell’art. 2043 c.c. per avere la Corte ritenuto che la responsabilità della P.A., ai sensi di tale norma, si integri solo se il danneggiato riesce a provare l’esistenza di una insidia”.

Sostiene in particolare parte ricorrente: che la giurisprudenza più recente è giunta a superare l’idea che il concetto di insidia possa avere uno specifico ruolo in sede di applicazione dell’art. 2043 e dell’art. 2051 c.c. alla P.A. per i danni causati da cattiva manutenzione stradale; che la natura giuridica della responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. non è oggettiva, ma aggravata; che l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. alla P.A. deve essere piena e incondizionata a nulla rilevando la lunghezza della strada o la fruizione generale e diretta da parte degli utenti; che il danneggiato non è onerato della prova della c.d. insidia o del trabocchetto, elementi estranei alla dizione ed al tenore delle norme in materia di responsabilità civile.

Secondo parte ricorrente la sentenza impugnata è dunque inficiata da violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2043 e 2051 c.c..

Anche questo motivo deve essere rigettato.

E’ pur vero, infatti, che secondo la più recente giurisprudenza alle fattispecie di danno da cattiva manutenzione della sede stradale o delle sue pertinenze deve ritenersi applicabile l’art. 2051 c.c. e non l’art. 2043 c.c.. Si deve tuttavia osservare che il danneggiato che domanda il risarcimento del danno subito in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione delle strade, invocando la responsabilità della P.A., è tenuto, secondo le regole generali in tema di responsabilità civile, a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto.

Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia (Cass., 20.2.2006, n. 3651). In altri termini, anche ritenendo applicabile l’art. 2051 c.c., il danneggiato deve comunque provare l’esistenza di un nesso eziologico fra la cosa e il danno.

Tale prova non è stata fornita da parte ricorrente, essendo risultato che il dissesto della carreggiata era modesto e consisteva in un semplice avvallamento, presentante una depressione graduale, senza margine netto o fortemente rilevato, cosicchè il relativo potenziale d’ intralcio rispetto al transito veicolare appariva a sua volta decisamente modesto, e tale da essere ovviato attraverso un normale, diligente governo, da parte del conducente, della traiettoria veicolare, con minime correzioni di rotta e di marcia e, pur sempre, previa una adeguata percepibilità del fattore d’intralcio, visibile in tempo comunque utile ad attivare opportune manovre di controllo della rotta.

Proprio la modestia del dissesto induce allora a ritenere che il danno sia eziologicamente riconducibile non alle condizioni della strada quanto al comportamento colposo dell’attuale ricorrente che con l’ordinaria diligenza avrebbe potuto percepire in tempo ed agevolmente evitare l’avvallamento o comunque che l’impatto con lo stesso avesse conseguenze dannose. E parte ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un nesso eziologico tra il cattivo stato di manutenzione della strada ed i danni.

Per tali ragioni il ricorso deve essere allora rigettato, con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 2.500,00 per onorario, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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