Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4202 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. III, 22/02/2010, (ud. 07/01/2010, dep. 22/02/2010), n.4202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9125/2005 proposto da:

EDIZIONI BABOOK SRL IN LIQ (OMISSIS), C.A.,

P.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO

35, presso lo studio dell’avvocato D’AMATI DOMENICO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato D’AMATI NICOLETTA;

– ricorrenti –

contro

G.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 655/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, 4^

SEZIONE CIVILE, emessa il 11/2/2004, depositata il 20/02/2004, R.G.N.

4944/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/01/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Con sentenza del 20 febbraio 2004 la Corte d’Appello di Napoli, provvedendo sull’appello proposto dalla s.r.l. Edizioni Babook, nella qualità di casa editrice della rivista mensile (OMISSIS), nonchè dai giornalisti C.A. e P.R., ha parzialmente riformato la sentenza, con cui nel novembre del 2001 il Tribunale di Napoli – in parziale accoglimento della domanda proposta dal cardinale G.M. nei loro confronti, per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e morali a suo dire sofferti nella misura di L. un miliardo (comprensiva di una somma da riconoscersi a titolo di sanzione pecuniaria ai sensi della L. n. 47 del 1948, art. 12) in conseguenza del contenuto asseritamente diffamatorio di due articoli, redatti dai predetti giornalisti e comparsi nel numero di (OMISSIS) della suddetta rivista – aveva condannato, con gravame delle spese giudiziali, tutti i convenuti in solido al risarcimento dei soli danni morali quantificandoli in L. 90.000.000, nonchè solo i due giornalisti al pagamento in via solidale di L. 15.000.000 per la sanzione pecuniaria.

Con la sentenza d’appello la Corte napoletana, dopo avere confermato la sentenza di primo grado quanto al riconosciuto carattere diffamatorio dei due articoli, ha accolto l’appello esclusivamente riguardo al motivo che concerneva l’eccessivo ammontare della somma liquidata a titolo di danno morale, riducendola a L. 20.000.000 e liquidandola in corrispondenti Euro 10.329,14, mentre ha confermato la condanna alla pena pecuniaria sull’assunto che essa non fosse stata oggetto di motivo di gravame. Inoltre, ha compensato per metà le spese del giudizio di appello, ponendo la metà residua a carico degli appellanti, con distrazione a favore dei due difensori antistatari del porporato appellato.

p.2. Contro la sentenza della Corte d’Appello di Napoli hanno proposto congiunto ricorso per cassazione, fondato su tre motivi, la società editrice ed i due giornalisti.

L’intimato non ha resistito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Preliminarmente va rilevato che correttamente il ricorso non risulta proposto nei confronti dei due difensori dell’intimato, antistatari in sede di appello e beneficiari della condanna nelle spese, atteso che nessuno dei tre motivi su cui si fonda il ricorso concerne la statuzione sulla distrazione (si vedano, da ultimo: Cass. n. 4792 del 2006; n. 412 del 2006; n. 20321 del 2005).

p.2. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: artt. 51 e 595 c.p., art. 2043 c.c., art. 21 Cost., rep., art. 115 c.p.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè “difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’illustrazione del motivo, dopo avere ricordato che la sentenza impugnata ha riconosciuto carattere diffamatorio agli articoli, sia quanto al titolo contenuto prima del pezzo riportato all’interno della rivista (“(OMISSIS)”), sia quanto al contenuto stesso dell’articolo perchè travalicanti il diritto di cronaca e di critica, si articola: a) in una prima censura relativa alla valutazione di idoneità diffamatoria del detto titolo, sotto il profilo che la Corte territoriale avrebbe espresso tale giudizio considerando la ricordata espressione isolatamente e non nel contesto in cui essa era stata usata, mentre Essa avrebbe dovuto valutare se il termine scherzoso (OMISSIS)” non fosse riferibile alla finalità di profitto connessa alle attività economiche e non volesse esprimere una manifestazione di opinione critica verso il coinvolgimento in essa di prelati; b) in una seconda censura con cui si prospetta la contraddittorietà della valutazione e, quindi, della motivazione espressa dalla Corte napoletana, per il fatto che essa avrebbe considerato semplice espressione satirica e non diffamatoria ulteriori titoli usati nello stesso articolo e riferibili anch’essi non solo al G., ma anche ad altri prelati, quali le espressioni (OMISSIS)”;

c) in una terza censura relativa alla valutazione del carattere diffamatorio dell’intero articolo, sotto il profilo dell’apoditticità della relativa motivazione, espressa con l’affermazione che esso sarebbe stato caratterizzato da “allusioni e riferimenti generici e non provati, con accostamento ad altri personaggi del mondo degli affari e del clero, tutti indicati in termini discutibili e negativi”; d) in una quarta censura sempre relativa alla valutazione relativa all’intero contenuto dell’articolo, espressa con l’ora ricordata affermazione, sotto il profilo ch’essa sarebbe stata viziata per l’omesso esame del primo motivo dell’atto di appello, nel quale i ricorrenti avevano evidenziato la veridicità delle notizie contenute nell’articolo quanto al coinvolgimento del G. e di altri prelati in attività imprenditoriali, supportandola con la produzione di una serie di documenti: le allegazioni svolte con il motivo e le circostanze emergenti dai documenti avrebbero convalidato, se considerate, il carattere di esercizio del diritto di critica degli articoli.

p.2.1. Con un secondo motivo si deduce “violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: art. 2059 c.c. – Difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

Si tratta di motivo subordinato con cui ci si duole che la Corte d’Appello, pur riconoscendo la limitata portata dannosa della diffusione della notizia in quanto pubblicata su una rivista che aveva una limitata tiratura mensile e una diffusione locale, avrebbe riliquidato il danno in Euro 10.329,14 in considerazione “delle condizioni personali della parte lesa, della gravità dell’illecito e di tutti gli aspetti del caso concreto”. In tal modo il giudizio di gravità dell’illecito sarebbe stato immotivato e viziato da omessa considerazione del contenuto critico e satirico dell’articolo, nonchè dell’interesse generale del tema trattato. Analoga cesura è rivolta al riferimento alle condizioni personali della parte lesa, trattandosi di un personaggio pubblico, come tale esposto nell’interesse generale sia alla critica che alla satira. In fine, il riferimento a “tutti gli aspetti del caso concreto” sarebbe inidoneo, per la sua genericità, a concretare una valida motivazione e, pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare solo il dato oggettivo della minima diffusione del periodico e determinare il danno in misura inferiore.

p.2.3. Con il terzo motivo, dedotto sempre subordinatamente al primo e, tuttavia, riferibile solo alle posizioni dei due giornalisti, si deduce “violazione e/o falsa applicazione di norme di legge: art. 112 c.p.c., L. 2 febbraio 1948, n. 47, art. 12, – Difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

Si lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente considerato non oggetto di gravame la decisione del giudice di primo grado, con cui ai giornalisti era stata applicata la sanzione pecuniaria di cui al citato art. 12. Viceversa, l’appello aveva riguardato quella decisione, là dove con il secondo motivo (pagina undici dell’atto di appello) si era chiesto in via subordinata non solo la riduzione dell’importo del risarcimento ma anche di quello della sanzione pecuniaria a cifre non superiori ad Euro 500,00 ciascuno.

p.3.1 primi due motivi di ricorso sono gradatamente inammissibili ed improcedibili.

Questa Corte ha già statuito il seguente principio di diritto: “In relazione ad una causa risarcitoria avente ad oggetto dichiarazioni asseritamente diffamatorie compiute a mezzo stampa, la parte che muova critiche alla valutazione compiuta dal giudice di appello, sia in fatto che in diritto, circa la natura diffamatoria dello scritto in questione e la sussistenza del relativo reato, è tenuta, in ossequio al c.d. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ad individuare – se del caso riproducendolo direttamente, ove necessario in relazione all’oggetto della critica di cui al motivo, ed eventualmente indirettamente, ove l’apprezzamento della critica lo consenta – il contenuto dell’articolo nella parte cui la critica si riferisce, specificando anche dove la Corte possa esaminarlo per verificarne la conformità del contenuto riprodotto rispetto a quello effettivo” (così Cass. n. 3338 del 2009).

Ora, nella fattispecie, il ricorso in esame, nella parte dedicata alla esposizione del fatto sostanziale e processuale (pagine dalla prima alla sesta), ha adempiuto all’onere di riproduzione dell’articolo di cui trattasi (per la verità la sentenza impugnata parla di due articoli, forse considerando autonomo quello che nel ricorso viene indicato come contenuto in un riquadro), peraltro, senza precisare se la riproduzione sia stata integrale o parziale.

Infatti, è riprodotto quello che viene definito “titolo di copertina”, è riprodotta di seguito quella che viene definita “titolazione”, quest’ultima è detta sovrastata da fotografie del Cardinale G., di altro cardinale, di un prelato e di un ministro del tempo (tutti nominativamente indicati nel ricorso), e, quindi, si dice che l’articolo ha inizio con la riproduzione di alcune dichiarazioni del G., che vengono riprodotte fra virgolette ed in carattere corsivo, peraltro con una parte fra parentesi in periodi sospensivi, che non si specifica se effettivamente corrispondente al contenuto dell’articolo. Di seguito, si dice che dopo le dichiarazioni riportate gli articolisti avrebbero fatto le affermazioni che vengono riprodotte – sempre fra virgolette ed in carattere corsivo – dalla fine della pagina due del ricorso alle prime due righe della pagina cinque. Dopo di che, senza che sia dato comprendere se via sia o meno soluzione di continuità dell’articolo, si riproduce altro passo fra virgolette per metà della pagina cinque ed esso si chiude con quattro puntini sospensivi, di cui non si spiega la ragione. Immediatamente dopo si asserisce che all’interno dell’articolo figurerebbe un pezzo riquadrato dal titolo (OMISSIS) del tenore che si riproduce fra virgolette ed in corsivo fino a metà della pagina sei.

Ebbene, in relazione sia alle censure esposte nel primo motivo sia a quelle esposte nel secondo motivo, appare evidente che la valutazione cui questa Corte è sollecitata dovrebbe estrinsecarsi innanzitutto all’esito del riscontro di quanto riprodotto con quanto effettivamente risultante dal o dagli articoli. Non solo: è altrettanto evidente che ai fini della detta valutazione sarebbe essenziale – si badi ai fini della stessa valutazione di sussumibilità del contenuto del o degli articoli sotto la figura della diffamazione – la considerazione dell’esaurirsi del contenuto in quanto riprodotto sia per la copertina che per l’interno oppure dell’inserirsi di esso in altro contenuto più ampio dell’uno o dell’altro, nonchè della stessa veste grafica del detto contenuto ed inoltre delle fotografìe e della loro sequenza e collocazione.

La Corte, conseguentemente, avrebbe dovuto essere messa in grado di conoscere la rivista in quanto – evidentemente – prodotta nelle fasi di merito e come tale producibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1, in questa sede. Al riguardo, i ricorrenti avrebbero dovuto, pertanto, indicare se e dove essa fosse stata prodotta in questa sede di legittimità, mentre il ricorso tace completamente sul punto. In particolare, non indica: aa) se la rivista risulterebbe inserita e, quindi, presente direttamente nel fascicolo del giudice d’appello;

bb) oppure in quello del giudizio di primo grado, in ipotesi acquisito al giudizio di appello e presente nel detto fascicolo; cc) oppure ancora se essa sia presente nel fascicolo delle fasi di merito degli stessi ricorrenti eventualmente prodotto in questa sede; dd) oppure ancora se ad essa si sia inteso fare riferimento in quanto risultante fra le produzioni presenti nei fascicoli delle fasi di merito della controparte.

Tali alternative indicazioni sarebbero state necessarie in funzione del rispetto del principio di autosufficienza (si veda, in termini ed in generale, Cass. n. 12239 del 2007, seguita da numerose conformi).

Da qui l’inammissibilità dei primi due motivi.

p.3.1. Peraltro, nelle ipotesi sub aa), bb) e dd), sarebbe stato comunque onere dei ricorrenti produrre comunque l’articolo di cui trattasi, giusta la previsione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, trattandosi di documento su cui il loro ricorso si fonda. L’omissione della produzione determinerebbe di per sè – a prescindere dall’assolvimento dell’onere di indicazione della produzione quale espressione dell’autosufficienza – l’improcedibilità del ricorso.

Ed in effetti nel fascicolo dei ricorrenti detta produzione non si rinviene, nè nel fascicolo formato per il giudizio di legittimità, nè per quelli delle fasi di merito, in essi inseriti. Per la verità, nell’elenco documenti del fascicolo depositato l’11 febbraio 1999, come da attestazione del cancelliere, risulterebbe prodotto a suo tempo, al n. 3, dopo un “originale della memoria di costituzione con mandato a margine” e la “copia notificata della citazione”, un “originale copia della (OMISSIS) del (OMISSIS)”. Ma quest’ultimo non è presente dopo le prime due produzioni, la seconda delle quali è seguita dalla produzione n. 4 (copia articoli di (OMISSIS) e da altri articoli). La produzione n. 3 non è presente nemmeno successivamente.

Per mera completezza si rileva che dell’articolo non v’è traccia nemmeno nel fascicolo d’ufficio della Corte d’Appello, nel quale, peraltro, non è presente quello del Tribunale.

Il ricorso, dunque, sarebbe in via gradata improcedibile.

p.3.2. La mancanza dell’autosufficienza concerne, si rileva, anche gli ulteriori documenti cui fa riferimento la quarta censura del primo motivo: solo di alcuni di essi, infatti, si indica il luogo di produzione con l’espressione “documento prodotto in appello”, ma senza specificare la numerazione od altro elemento di individuazione della produzione. Di altri non si fornisce nemmeno tale insufficiente indicazione. Di tutti non si riproduce il contenuto.

p.4. Il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato.

Effettivamente, nell’atto di appello, la cui corrispondente parte è riprodotta – in ossequio al principio di autosufficienza – nel ricorso, si coglie come sollecitazione subordinata rivolta con il secondo motivo alla Corte napoletana quella di una riduzione oltre che dell’ammontare del risarcimento, della sanzione pecuniaria ad Euro 500,00.

Dall’esame dell’atto di appello, prodotto sia dai ricorrenti, sia presente nel fascicolo d’ufficio emerge che il motivo fu del seguente tenore, conforme a quanto riportato nel ricorso fra virgolette nei seguenti termini: “(riprodurre”.

La sentenza impugnata, invece, ha erroneamente affermato che la sanzione pecuniaria doveva rimanere ferma in L. 15.000.000 a carico solidale dei due giornalisti, perchè essa non era “stata oggetto di gravame”.

La sentenza impugnata, conseguentemente, va cassata sul punto, perchè è incorsa in omissione di pronuncia sul detto motivo di appello.

p.5. Ritiene il Collegio che, in ragione del tenore del motivo di appello sul punto e della sorte che gli altri due motivi hanno avuto quanto al risarcimento del danno vero e proprio, sussistano le condizioni per non far luogo a cassazione con rinvio, bensì ad una decisione sul merito quanto ad esso.

Sotto il primo aspetto va rilevato che con il ricordato motivo di appello, proposto in via subordinato al primo motivo tendente a censurare il carattere diffamatorio dell’articolo, non si era censurata la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui alla L. n. 47 del 1948, art. 12, ma si era postulata soltanto la riduzione di essa e dello stesso ammontare del danno risarcibile a cifre non superiori a 500,00 Euro ciascuno.

In tal modo si era stabilito un parallelismo fra l’ammontare del danno e quello della pena pecuniaria, nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto commisurarsi al minore importo liquidato per il risarcimento del danno.

Ne segue che, una volta preso atto che è stato ridotto l’ammontare del risarcimento del danno e che tale statuzione della sentenza di appello resta ferma, si deve ritenere, in sostanziale accoglimento parziale del motivo di appello, proprio in quanto postulante il detto parallelismo, che nella intenzione dei giornalisti appellanti si dovesse cogliere la volontà di ottenere comunque il rispetto della stessa proporzione stabilita fra danno e pena pecuniaria dalla sentenza di primo grado, che in essa era di uno a sei (90.000.000 :

15.000.000).

Risulta, pertanto, giustificato l’accoglimento parziale del motivo di appello con una riduzione della sanzione ad un sesto di quanto liquidato a titolo di risarcimento del danno e, quindi, all’ammontare di Euro 1.750,00 (importo arrotondato lievemente per eccesso).

In riforma della sentenza di primo grado, la pena pecuniaria dev’essere ridotta a tale importo, con gli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, cioè dal 19 novembre 2001, secondo il criterio di liquidazione applicato dal Tribunale e risultante dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza stessa, presenti nel fascicolo del giudizio di appello.

p.5.1. Quanto alle spese, nel rapporto fra la ricorrente s.r.l. ed il G. non v’è luogo a provvedere quanto al giudizio di cassazione e restano ferme le statuizioni delle sentenze di merito quanto alle spese dei due gradi.

Nel rapporto fra i due giornalisti e il G., possono compensarsi le spese del giudizio di cassazione per il ridotto accoglimento del ricorso e possono compensarsi anche integralmente quelle del giudizio di appello e per un sesto quelle del giudizio di primo grado (posto che l’appello è risultato fondato parzialmente quanto alla pena pecuniaria ed essa è stata ridotta ad un sesto del risarcimento del danno).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo motivo e cassa in relazione la sentenza impugnata nel rapporto fra i ricorrenti giornalisti e l’intimato.

Decidendo sul merito del secondo motivo di appello quanto a tale rapporto processale e riguardo alla censura rivolta alla statuzione sulla pena pecuniaria ai sensi della L. n. 47 del 1948, art. 12, lo accoglie parzialmente e riduce la pena pecuniaria a carico solidale dei due giornalisti ad Euro 1.750,00 (millesettecentocinquanta) con gli interessi legali dal 19 novembre 2001 al saldo effettivo.

Compensa le spese del giudizio di cassazione e quelle del giudizio di appello quanto al rapporto processuale fra i due giornalisti e l’intimato. Compensa per un sesto sempre quanto a tale rapporto processuale le spese del giudizio di primo grado siccome liquidate dal Tribunale di Napoli. Nulla per le spese del giudizio di cassazione quanto al rapporto fra società ricorrente ed intimato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

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