Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4202 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. III, 21/02/2011, (ud. 20/12/2010, dep. 21/02/2011), n.4202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10180-2006 proposto da:

REGIONE MOLISE (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso gli. Uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende per legge;

– ricorrenti –

contro

D.C.F. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 87/2005 del GIUDICE DI PACE di CAROVILLI,

emessa il 13/12/2005, depositata il 13/12/2005 R.G.N. 24/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2010 dal Consigliere Dott. D’AMICO Paolo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.C.F. conveniva in Giudizio la Regione Molise chiedendo che la stessa fosse condannata al risarcimento dei danni che asseriva di aver subito a seguito della collisione tra la sua autovettura ed alcuni caprioli di proprietà della suddetta Regione.

Quest’ultima si costituiva in giudizio contestando quanto ex adverso dedotto.

Il Giudice di Pace dichiarava l’esclusiva responsabilità della Regione Molise e la condannava al risarcimento dei danni in favore dell’attore.

Proponeva ricorso per cassazione la Regione Molise con tre motivi.

Parte intimata non svolgeva attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 157 del 1992, artt. 1, comma 3 e L. n. 19 del 1993, artt. 18, 29 e 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Ritiene parte ricorrente che la statuizione del Giudice di Pace si ponga in contrasto con la delega delle funzioni amministrative alle Province avvenuta per effetto della L.R. 10 agosto 1993, n. 19, art. 8, comma 1.

Il motivo è infondato.

La L. 27 dicembre 1977, n. 968 contenente “Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia”, stabilisce, all’art. 1, che “la fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale”; l’art. 5 della stessa legge prevede che “le regioni esercitano le funzioni amministrative in materia di caccia normalmente mediante delega alle province,alle comunità montane, ai comuni, singoli o associati”;

l’art. 6 stabilisce che “per gli interventi nel settore della caccia le regioni predisporranno, articolandoli per province o per zone venatorie, piani annuali o pluriennali”; l’art. 15 disciplina la “Gestione sociale del territorio” che le regioni esercitano anche tramite gli enti delegati di cui al precedente art. 5.

La L. 8 giugno 1990, n. 142, sull'”Ordinamento delle autonomie locali”, stabilisce all’art. 14, comma 1, che “spettano alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale” nel settore della: “protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali” (lettera e)) e della caccia e pesca delle acque interne (lettera f)).

La L. 11 febbraio 1992, n. 157 stabilisce all’art. 1, comma 1 che “La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello stato (…)” ed all’art. 1, comma 3 che “Le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (…) . Le province attuano la disciplina regionale ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 14, comma 1, lett. f)”. La L. n. 157 del 1992, art. 9, comma 1, stabilisce che “Alle province spettano le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna secondo quanto previsto dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, che esercitano nel rispetto della presente legge”.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte la Regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex art. 2043 c.c. dei danni cagionati da un animale selvatico a persone o cose il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme (Cass., 24 ottobre 2003, n. 16008; Cass., 24.9.2002, n. 13907).

Si è in particolare affermato che sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la L. 11 febbraio 1992, n. 157 attribuisce alle regioni a statuto ordinario i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando invece alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna ad esse delegate ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 9, comma 1. Ne consegue che la Regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvaggia arrechi danni a terzi, è responsabile ex art. 2043 c.c. dei danni provocati da animali selvatici a persone od a cose il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme (Cass., 14.10.2003, n. 16008; Cass., 24.9.2002, n. 13907).

Si ritiene pertanto che accanto alla responsabilità della Regione non è configurabile una responsabilità della provincia, atteso che, già alla stregua delle norme di cui alla L. 27 dicembre 1977, n. 968, artt. 5, 6 e 15, sono tenute le regioni ad esercitare le funzioni amministrative in materia di caccia, dovendo predisporre piani annuali o pluriennali relativi, fra l’altro, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica e provvedere alla gestione sociale del territorio.

Poichè a norma della L. 27 dicembre 1977, n. 968, artt. 5, 6, e 15 le regioni esercitano le funzioni amministrative in materia di caccia, predispongono piani annuali o pluriennali che prevedono, tra l’altro, oasi di protezione destinate al rifugio, alla riproduzione, ed alla sosta della fauna selvatica, passivamente legittimata rispetto all’azione di risarcimento dei danni derivanti a terzi dalla fauna selvatica, è la Regione, anche se abbia delegato i relativi poteri alla provincia, in quanto la delega non fa venir meno la titolarità di tali poteri e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive dell’ente delegante (Cass., 1.8.1991, n. 8470).

La L.R. Molise 10 agosto 1993, n. 19, contenente “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Ecologia” stabilisce all’art. 8, “Delega delle funzioni amministrative”, che “In attuazione della L. Stato n. 142 del 1990, L. n. 157 del 1992 (…) sono delegate alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna, salvo quelle che la legge dello stato riserva e-spressamente alla Regione”.

Poichè la responsabilità per i danni derivanti a terzi dalla fauna selvatica fa capo alla Regione, anche se quest’ultima abbia delegato i relativi poteri alla provincia (Cass., 1.8.1991, n. 8470), parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare, in questo processo, che all’ente delegato (provincia) sia stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi inerenti all’esercizio dell’attività stessa e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni (Cass., 8.1.2010, n. 80).

Tale prova non è stata offerta da parte ricorrente.

Con il secondo motivo, in via gradata, la Regione Molise denuncia:

“Violazione dei principi regolanti la materia del danno da fatto illecito, ex art. 113 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Sostiene parte ricorrente che la sentenza de qua, ai sensi e per i fini dell’art. 113 c.p.c., comma 2, come risultante dall’intervento della sentenza della Corte Cost. n. 206 del 6.7.2004, viola i seguenti principi informatori della materia nella responsabilità da fatto illecito:

a) Comportamento illecito, in quanto il Giudice di prime cure ha tralasciato di appurare l’esistenza di una condotta censurabile, ascrivibile alla Regione. Un siffatto accertamento comporta indagini in fatto che nella specie sono mancate del tutto;

b) Nesso causale. Non è stata allegata nè provata dall’attore la concreta esistenza del nesso causale fra il danno patito e l’ipotizzato comportamento illecito della regione Molise.

I motivo è inammissibile in quanto sia l’accertamento del comportamento illecito sia l’accertamento del nesso causale comportano indagini di fatto effettuate dal Giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità in quanto congruamente, seppur sinteticamente motivate.

Con il terzo motivo si denuncia “Omessa motivazione (sub specie di motivazione apparente) sull’attendibilità del teste, in relazione all’art. 360, n. 4)”.

Si afferma che, in virtù del legame di parentela tra il teste (padre) e l’attore (figlio) e dell’assenza di altri elementi probatori circa la ricostruzione dei fatti di causa, l’attendibilità del primo avrebbe imposto puntuale vaglio e motivazione apposita.

Anche in questo caso non è sindacabile in sede di legittimità la valutazione circa l’attendibilità del teste. In materia di prova testimoniale non sussiste infatti, con riguardo alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti alcun principio di necessaria inattendibilità connessa al vincolo di parentela o coniugale, siccome privo di riscontri nell’attuale ordinamento, considerato che, venuto meno il divieto di testimoniare previsto dall’art. 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 248 del 1974, l’attendibilità del teste legato dai uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il giudice del merito reputi inficiarne la credibilità, per la sola circostanza dell’esistenza dei detti vincoli con le parti (Cass., 20.1.2006, n. 1109).

In conclusione, per le ragioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato e in mancanza di attività difensiva di parte intimata non v’è luogo a disporre sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e nulla dispone per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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