Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4201 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. III, 21/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 21/02/2011), n.4201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34637-2006 proposto da:

R.A. (OMISSIS), A.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI

6, presso lo studio dell’avvocato LIO SERGIO, rappresentati e difesi

dall’avvocato PIRRONE LIBORIO BALSAMO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

RU.MI. (OMISSIS), C.E.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 12, presso lo studio dell’avvocato CAPRIOLO SIMONA,

rappresentati e difesi dall’avvocato CAMPAGNUOLO NICOLA, giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 966/2006 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, 2^

Sezione Civile, emessa il 30/06/2006, depositata il 15/09/2006,

r.g.n. 1773/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. BARRECA Giuseppina Luciana;

udito l’Avvocato LIO SERGIO (per delega dell’avvocato BALSAMO Pirrone

Liborio);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.G. e R.A. proposero impugnazione dinanzi alla Corte d’Appello di Palermo avverso la sentenza del Tribunale di Palermo, con la quale era stata parzialmente accolta la domanda avanzata da M.C. (dante causa di Ru.Mi.

e C.E.) nei confronti dei coniugi A. – R. con condanna di questi ultimi alla restituzione all’attrice della somma di Euro 86.764,76 (L. 168.000.000), mentre era stata disposta la separazione delle domande riconvenzionali proposte dai convenuti (volte ad ottenere, in via principale, sentenza costitutiva del diritto di proprietà su due immobili di pertinenza dell’attrice; in subordine, l’accertamento dell’obbligo di M.C. di corrispondere loro una somma corrispondente al valore attuale dei medesimi immobili; ovvero, in alternativa alla domanda riconvenzionale subordinata, di versare loro tutte le somme erogate per l’assistenza prestata in favore dell’attrice e delle sorelle, i corrispettivi per l’attività domestica, i contributi assicurativo- previdenziali, le spese per la ristrutturazione e i miglioramenti apportati ai detti immobili) e, quindi, era stata rigettata l’eccezione di compensazione sempre proposta dai convenuti.

La Corte d’Appello di Palermo, nel rigettare l’appello, ha rivalutato gli elementi di prova posti a fondamento della domanda dell’attrice, confermandone l’accoglimento di cui alla sentenza di primo grado; ha rigettato la richiesta di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., avanzata dagli appellanti per la contemporanea pendenza di una controversia di lavoro, ritenuta pregiudiziale, dinanzi al Tribunale di Termini Imerese; ha rilevato che correttamente il tribunale aveva ritenuto che le domande riconvenzionali proposte nel presente giudizio dai coniugi A. – R. fossero coincidenti o quanto meno strettamente connesse con quelle spiegate nella causa n. 9059/96 R.G. pendente dinanzi allo stesso Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria e ne aveva disposto la separazione e la rimessione a tale giudice, essendo stato detto giudizio – già dichiarato estinto – riproposto nel 1998 e non trattandosi di ipotesi di litispendenza; ha confermato il rigetto dell’eccezione di compensazione.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo propongono ricorso per cassazione A.G. e R.A., a mezzo di tre motivi. Resistono con controricorso Ru.Mi. e C.E., eredi testamentari di M.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Sebbene col primo articolato motivo del ricorso sia dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 273 c.p.c., comma 2, e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la censura riguarda un error in procedendo nel quale sarebbe incorso il tribunale nel disporre la separazione delle domande riconvenzionali dei convenuti onde consentirne la riunione ad altro giudizio pendente tra le medesime parti dinanzi allo stesso Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria.

1.1 I ricorrenti, nell’illustrare il primo profilo del motivo (sub a), esplicitamente premettono che non intendono censurare l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito, bensì lamentare l’insussistenza dei presupposti per la separazione della domanda:

secondo la prospettazione dei ricorrenti, sarebbe, infatti, mancato il presupposto della contemporanea pendenza dei due giudizi, in quanto il giudizio inizialmente instaurato dinanzi alla sezione distaccata di Bagheria, con atto di citazione del 1 febbraio 1996 (precedente quindi l’atto introduttivo del presente giudizio), sarebbe stato dichiarato estinto per essere “riproposto” soltanto nel 1998, quando già il presente giudizio era in trattazione dinanzi al Tribunale di Palermo. Aggiungono i ricorrenti che la separazione della domanda riconvenzionale e la successiva riunione ad altro giudizio, li avrebbe privati del diritto di difesa, poichè le loro ragioni non sarebbero state affatto esaminate nel merito.

Il motivo, sebbene ammissibile, sotto il profilo appena detto, è infondato.

L’ammissibilità consegue alla considerazione che, con riguardo al profilo in esame, l’impugnazione non investe l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito nel decidere per la riunione, nè l’insussistenza, di per sè, dei presupposti della riunione, bensì il vizio di omessa pronuncia sulle domande riconvenzionali, in cui sarebbe incorso il giudice di merito disponendone la separazione in violazione degli artt. 273 e 274 c.p.c. e del diritto di difesa dei ricorrenti; ciò, che avrebbe comportato la nullità del giudizio per violazione dei doveri decisori di cui all’art. 112 c.p.c..

E’ errata l’affermazione dei ricorrenti secondo cui non vi sarebbe stata una contemporanea pendenza di due giudizi, aventi ad oggetto le medesime domande (o domande connesse), perchè il presente giudizio venne introdotto in primo grado nel periodo in cui il giudizio preventivamente instaurato dinanzi alla sezione distaccata di Bagheria era stato dichiarato estinto per essere “riproposto” successivamente. I presupposti per la riunione di due giudizi, in particolare la pendenza dinanzi al medesimo giudice ovvero dinanzi a due giudici o a due sezioni diverse dello stesso ufficio della medesima causa o di cause connesse, vanno valutati al momento in cui il provvedimento di riunione viene adottato, essendo del tutto irrilevanti le pregresse vicende di ciascuno dei due giudizi: nel caso di specie, la separazione è stata disposta al momento della pronuncia della sentenza di primo grado da parte del Tribunale di Palermo, con ordinanza in data 29 giugno 2001, quando era pendente il giudizio tra le medesime parti dinanzi alla sezione distaccata di Bagheria dello stesso Tribunale, introdotto nel 1998. Non ha rilevanza alcuna che il medesimo giudizio fosse stato dichiarato estinto in data precedente: ciò che rileva, con riguardo alla censura dei ricorrenti valutata sotto il profilo dell’omessa pronuncia, è che tale pronuncia fosse comunque ancora possibile dinanzi alla sezione distaccata di Bagheria.

1.2. Deve altresì escludersi che si sia avuta violazione del diritto di difesa dei ricorrenti, con specifico riguardo alle domande riconvenzionali separate dal presente giudizio: il provvedimento di riunione non ha sottratto le domande alla delibazione giudiziale, in modo che sia stata per sempre omessa la relativa pronuncia; nè, in sè, ne ha pregiudicato le sorti, affidate ad altro giudizio. Qualora poi i ricorrenti intendessero lamentare che le loro domande riconvenzionali, a seguito della riunione, non sarebbero state correttamente delibate, non è certo questa la sede per le relative doglianze, proponibili soltanto nel giudizio nel quale quelle domande sono alfine confluite.

1.3. Inammissibile è invece il primo motivo di ricorso con riguardo al profilo illustrato sotto la lettera b), laddove si contesta la sussistenza dei presupposti per fare luogo alla riunione non essendovi, secondo i ricorrenti, identità oggettiva tra le domande spiegate nei due diversi giudizi, nè connessione, quanto a petitum e causa petendi. Allo scopo è sufficiente richiamare il dictum delle S.U. del 27 maggio 1994 n. 5210 (cui ha fatto seguito copiosa giurisprudenza di legittimità, tra cui, da ultimo, Cass. 4 settembre 2002 n. 12865, Cass. 18 febbraio 2004 n. 3193), nel senso che “la riunione in un unico procedimento di più procedimenti pendenti davanti al medesimo ufficio giudiziario è insindacabile in sede di legittimità, ancorchè disposta fuori dei casi previsti dall’art. 274 c.p.c. norma che disciplina non una fase dell’iter formativo della decisione, ma solo l’ordine del procedimento, sicchè la sua violazione non determina nullità della sentenza”.

2. Col secondo motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., sotto il triplice profilo della mancata sospensione del giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo in pendenza del giudizio dinanzi alla sezione distaccata di Bagheria dello stesso Tribunale; della mancata sospensione del giudizio di appello in pendenza, ancora in primo grado, di tale ultimo processo;

nonchè della mancata sospensione del presente giudizio in pendenza di altro giudizio introdotto dai medesimi coniugi A. – R. dinanzi al giudice del lavoro.

Il motivo è inammissibile con riguardo a tutti e tre i profili illustrati.

2.1. La sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra le due cause di cui si tratta sia non solo concreto, ma anche attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale sia tuttora pendente, non avendo altrimenti il provvedimento alcuna ragion d’essere, e traducendosi anzi in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione: pertanto, ove una sentenza venga censurata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, incombe al ricorrente l’onere di dimostrare che quest’altra causa è tuttora pendente, e che presumibilmente lo sarà anche nel momento in cui il ricorso verrà accolto. In difetto, manca la prova dell’interesse concreto ed attuale che deve sorreggere il ricorso, non potendo nè la Corte di Cassazione nè un eventuale giudice di rinvio disporre la sospensione del giudizio in attesa della definizione di un’altra causa che non risulti più effettivamente in corso (così Cass. 1 agosto 2007 n. 16992; nello stesso senso Cass. 16 settembre 2008 n. 23720).

Nel caso di specie, i ricorrenti, non solo non hanno fornito la prova dell’attuale pendenza delle cause che assumono pregiudiziali, ma nemmeno hanno dedotto che dette cause siano tuttora in corso; non ne sono noti le vicende processuali ed il relativo esito. Non avendo i ricorrenti provato che la censura in esame sia sorretta da un interesse attuale, diviene superflua la verifica della sussistenza in concreto della dedotta pregiudizialità, peraltro esclusa dal giudice d’appello con motivazione sufficiente, congrua e logica.

3. Col terzo motivo del ricorso si lamenta vizio di motivazione in merito alla quantificazione della somma alla cui restituzione i ricorrenti sono stati condannati in favore di M.C., oggi dei suoi eredi.

Il motivo è inammissibile poichè richiede un nuovo esame della prova documentale sulla quale le sentenze di merito hanno ampiamente e congruamente motivato. Nè il ricorso evidenzia quale parte della motivazione della sentenza di secondo grado sarebbe illogica o contraddittoria, risultando sostanzialmente criticata la valutazione in fatto che il giudice d’appello ha dato delle stesse prove documentali delle quali i ricorrenti pretenderebbero un nuovo esame;

esame che, attenendo alla ricostruzione del fatto, è evidentemente precluso a questa Corte. Giova richiamare il principio per il quale “non può essere considerato vizio logico della motivazione la maggiore o minore rispondenza alle aspettative della parte della ricostruzione del fatto nei suoi vari aspetti, o un miglior coordinamento dei dati o un loro collegamento più opportuno e più appagante in quanto tutto ciò rimane all’interno delle possibilità di apprezzamento dei fatti e, non contrastando con la logica e con le leggi della razionalità, appartiene al convincimento del giudice senza renderlo viziato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5” (così Cass. 1 marzo 2001 n. 2948, nonchè Cass. 24 luglio 2001 10052).

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti A. G. e R.A. al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dei resistenti Ru.Mi. e C. E. nella somma di Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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