Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4201 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 09/02/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 09/02/2022), n.4201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19293/2021 R.G. proposto da:

M.N. (in proprio e in qualità di amministratore di

sostegno di M.M.), F.M.D. e

M.A., rappresentati e difesi dall’Avv. Antonia Vetro, con domicilio

eletto in Roma, via Ennio Quirino Visconti, n. 99, presso lo studio

dell’Avv. Maria Grazia Vivinetto;

– ricorrenti –

contro

Società Cattolica di Assicurazione Cooperativa a r.l., rappresentata

e difesa dall’Avv. Gaetano Scalise, con domicilio eletto presso il

suo studio in Roma, Piazzale delle Belle Arti, n. 3;

– controricorrente –

e contro

D.V.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Piro;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, n. 389/2020,

pubblicata il 28 aprile 2020;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 gennaio

2022 dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.N. (in proprio e n. q. di amministratrice di sostegno di M.A. e di M.M.), nonché F.M.D. e M.A., convennero in giudizio avanti il Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Maglie, D.V.F. e la di lui compagnia assicuratrice Duomo UniOne Assicurazioni S.p.a., chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro stradale occorso in data 11 novembre 2008, alle ore 7,30 circa, allorquando M.A., alla guida del suo veicolo Ape 50 Piaggio, procedendo lungo la via Traversa Gallipoli in Scorrano (LE), con direzione incrocio S.S. Maglie – Gallipoli, mentre si accingeva ad effettuare una svolta a sinistra verso una strada laterale interpoderale, entrava in collisione con l’autovettura Nissan Micra, di proprietà e condotta dal D.V., proveniente dall’opposto senso di marcia, conseguendone il ribaltamento del mezzo del M. sul lato del conducente, il quale ne derivava gravi lesioni con altrettanto gravi postumi permanenti.

All’esito dell’istruzione condotta (attraverso l’assunzione di prova orale, l’acquisizione del verbale redatto dai carabinieri intervenuti sul luogo del sinistro e l’espletamento di c.t.u. medico-legale) il tribunale rigettò la domanda avendo ritenuto, sulla scorta dei rilievi fotografici, che l’impatto si fosse verificato nella corsia di pertinenza della Nissan Micra e che, dunque, fosse stato causato dall’invasione da parte del conducente dell’Ape 50 Piaggio proveniente dall’opposta corsia, in violazione dell’obbligo di dare la precedenza, ciò giustificando il superamento della presunzione di concorso di colpa, ex art. 2054, comma 2, c.c., e il convincimento dunque della esclusiva responsabilità del M..

2. Il gravame interposto da M.N., in proprio e n. q. predetta, nonché da F.M.D. e M.A. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe.

La corte pugliese ha, infatti, ritenuto corretta la valutazione degli elementi istruttori operata dal primo giudice, osservando in particolare che:

– in base alle fotografie allegate dagli stessi appellanti, nonché in base alla prova orale, doveva escludersi che lo stato dei luoghi fosse stato alterato prima dell’arrivo dei carabinieri (fatta eccezione per il sollevamento dell’Ape 50 Piaggio, effettuato allo scopo di prestare soccorso alla vittima, cui, però, non aveva fatto seguito alcuno spostamento del mezzo);

– la posizione post-urto dei due mezzi, risultante dal verbale di accertamento, risultava pertanto del tutto compatibile con la ricostruzione del sinistro ivi contenuta, nonché con i danni riportati dai mezzi stessi;

– era dunque da considerarsi pacifico che il M., nell’effettuare una manovra di svolta a sinistra verso una strada interpoderale, avesse omesso di dare la dovuta precedenza al D.V. ed avesse invaso la corsia opposta, provocando l’impatto;

– per contro la prossimità del punto di arresto dei due mezzi rispetto a quello di impatto individuato dai carabinieri (o, in ogni caso, rispetto all’intersezione in cui il M. stava effettuando una manovra di svolta a sinistra), unitamente all’assenza di qualsivoglia segno di scarrocciamento, rendeva evidente che il D.V. viaggiava, negli istanti precedenti all’impatto, ad una velocità assai moderata, idonea ad integrare il rispetto delle previsioni degli artt. 141 e 145 C.d.S., non potendosi pertanto addebitare allo stesso alcuna condotta colposa e, quindi, alcuna percentuale di responsabilità nella causazione dell’evento;

– la deposizione del teste P. (che aveva affermato di avere assistito al sinistro e lo aveva descritto come causato da impatto frontale sulla corsia di marcia dell’Ape) era inattendibile in quanto contrastante con la posizione di quiete dei mezzi e con i danni riportati dagli stessi, oltre che con quanto attestato dai militi nel verbale di accertamento circa il mancato reperimento in loco di testimoni oculari dell’accaduto.

3. Avverso tale sentenza M.N. (in proprio e in qualità di amministratore di sostegno di M.M.), F.M.D. e M.A., tutte anche nella qualità di eredi di M.A., deceduto nelle more del giudizio di appello, propongono ricorso per cassazione articolando tre motivi, cui resistono gli intimati, depositando controricorsi.

Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, “violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, e art. 61 e art. 191 c.p.c.; nullità della sentenza mancata applicazione del principio di disposizione della prova di cui all’art. 115 c.p.c.”.

Lamentano che la ricostruzione dei fatti è stata effettuata sulla base di un assunto di fatto – il mancato spostamento dei veicoli dopo l’impatto – non provato in alcun modo ed anzi contraddetto dalle risultanze istruttorie ed in mancanza dell’espletamento di c.t.u. cinematica che era stata chiesta al fine della esatta ricostruzione della dinamica del sinistro, secondo criteri scientifici e tenendo conto dei punti d’urto, dell’interazione delle forze cinetiche coinvolte, della “misura della stabilità dei mezzi” e dell’effettiva velocità tenuta dagli stessi.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di “violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. – motivazione insussistente e comunque apparente”.

Lamentano che, a fronte della specifica articolazione di un motivo di gravame, la corte d’appello non ha chiarito le ragioni per cui, in presenza di prove ritenute di direzione contrastante, non è stata disposta una c.t.u. necessaria al fine di risolvere i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione.

3. Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano, infine, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2.

Sostengono che una corretta applicazione di detta norma non avrebbe consentito una completa e totale esclusione di responsabilità del D.V., in assenza di elementi, anche presuntivi, che consentissero di affermare che nessun profilo di colpa era ascrivibile a quest’ultimo; ciò né sotto il profilo della regolazione della velocità, né sotto il profilo della prudenza genericamente richiesta agli utenti della strada, considerato anche che la motoape non può considerarsi un veicolo né veloce né agile e che, dunque, pure se si fosse immesso repentinamente a sinistra, avrebbe avuto bisogno di un certo tempo di manovra, così da rendere il pericolo prevedibile ed evitabil per chi dal senso opposto sopraggiungesse.

4. Il primo motivo è inammissibile.

4.1. La censura di violazione della regola sull’onere della prova non è dedotta nei termini in cui può esserlo secondo Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598 (principio affermato in motivazione, pag. 33, p. 14, secondo cui “la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni”; v. anche Cass. n. 23594 del 2017; Cass. n. 15107 del 2013).

La contestazione, nella specie, attiene piuttosto al merito della valutazione operata circa l’assolvimento di tale onere e come tale impinge nel diverso piano della sufficienza e della intrinseca coerenza della motivazione adottata, non certo in quello del rispetto delle regole di riparto dell’onere probatorio.

4.2. Non diversamente deve dirsi quanto alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., anch’essa non articolata nel modo in cui pacifica giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, lo dice deducibile.

Occorre infatti rammentare che “per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”” (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 20/10/2016, n. 21238).

Devesi altresì ricordare che “se spetta indubbiamente alle parti proporre i mezzi di prova che esse ritengono più idonei ed utili, e se il giudice non può fondare la propria decisione che sulle prove dalle parti stesse proposte (e su quelle eventualmente ammissibili d’ufficio), rientra però nei compiti propri del giudice stesso stabilire quale dei mezzi offerti sia, nel caso concreto, più funzionalmente pertinente allo scopo di concludere l’indagine sollecitata dalle parti, ed è perciò suo potere, senza che si determini alcuna violazione del principio della disponibilità delle prove, portato dall’art. 115 c.p.c., ammettere esclusivamente le prove che ritenga, motivatamente, rilevanti ed influenti al fine del giudizio richiestogli e negare (o rifiutarne l’assunzione se già ammesse: v. art. 209 c.p.c.) le altre (fatta eccezione per il giuramento) che reputi del tutto superflue e defatigatorie” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 21238 del 2016; Cass. n. 2141 del 1970).

4.3. Eccentrico, infine, si appalesa, rispetto alle esposte censure, il riferimento, tra le norme processuali asseritamente violate, agli artt. 61 e 191 c.p.c..

Varrà in proposito rammentare che in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra Di

istituzionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (v. ex multis Cass. n. 22799 del 2017; n. 17693 del 2013; n. 20227 del 2010).

5. Il secondo motivo è infondato.

5.1. Occorre rammentare che una nullità della sentenza per mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (error in procedendo per difetto di attività del giudice) può ammettersi solo in quattro casi:

– quando la motivazione manchi del tutto finanche “sotto l’aspetto materiale e grafico”;

– quando contenga un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”;

– quando sia “perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;

– quando, infine, sia puramente apparente.

Si tratta di acquisizioni risalenti nella giurisprudenza di legittimità, significativamente ribadite nella esegesi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Di tale riformulazione si è detto, infatti, come noto, che “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come “riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione”, e che “pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053). Nella specie non è ravvisabile alcuna di tali ipotesi limite.

Non può dubitarsi che la motivazione consenta di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata, il che e’, del resto, dimostrato dal fatto che le ricorrenti la colgono perfettamente, tanto da porla ad oggetto della successiva censura.

5.2. In particolare deve escludersi che il vizio dedotto possa ravvisarsi con riferimento alla mancata nomina di c.t.u..

La giustificazione di tale determinazione è implicita nella ritenuta sufficienza delle prove raccolte a formare il convincimento raggiunto circa la dinamica del sinistro; la motivazione esibita al riguardo non esprime alcuna perplessità o intrinseca contraddittorietà tale da renderla inidonea ad assolvere detto onere motivazionale.

Per il resto va ribadito che, come già detto con riferimento al primo motivo, la nomina dell’ausiliario costituisce esercizio di potere discrezionale del giudice di merito.

L’esercizio arbitrario di tale potere potrebbe bensì, in astratto, risolversi in violazione del dovere di motivare e, più in generale, del diritto della parte di agire e difendersi in giudizio attraverso un giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.; art. 6, p. 1, CEDU) allorquando il giudice del merito rilevi decadenze o preclusioni insussistenti (cfr. Cass. 05/03/1977, n. 910) ovvero affermi tout court l’inammissibilità del mezzo richiesto per motivi che prescindano da una valutazione, di merito, della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite.

Ove invece ci si muova in tale seconda prospettiva – come certamente accade nella specie – ancorché la decisione del giudice di merito si risolva pur sempre nel rifiuto di ammettere il mezzo di prova richiesto, non viene in rilievo una regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore ma piuttosto – come è stato rilevato – “il potere (del giudice) di operare nel processo scelte discrezionali, che pur non essendo certamente libere nel fine, lasciano tuttavia al giudice stesso ampio margine nel valutare se e quale attività possa o debba essere svolta” (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077).

In tal caso, “la decisione si riferisce, certo, ad un’attività processuale, ma è intrinsecamente ed inscindibilmente intrecciata con una valutazione complessiva dei dati già acquisiti in causa e, in definitiva, della sostanza stessa della lite. Il che spiega perché siffatte scelte siano riservate in via esclusiva al giudice di merito e perché, quindi, pur traducendosi anch’esse in un’attività processuale, esse siano suscettibili di essere portate all’attenzione della Corte di cassazione solo per eventuali vizi della motivazione che le ha giustificate, senza che a detta corte sia consentito sostituirsi al giudice di merito nel compierle” (Cass. Sez. U. n. 8077 del 2012, cit.).

La mancata ammissione della prova pone, dunque, in tale ipotesi, solo un problema di coerenza e completezza della ricostruzione del fatto in rapporto agli elementi probatori offerti dalle parti e può pertanto essere denunciata in sede di legittimità (solo) per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. 20693 del 2015; n. 66 del 2015; n. 5377 del 2011; n. 4369 del 1999).

Nel caso di specie, come detto, il giudice a quo non ha “omesso” di considerare il fatto che si chiedeva di accertare attraverso una c.t.u. cinematica (ovvero la dinamica del sinistro) ma, ben diversamente, lo ha ritenuto univocamente dimostrato dagli elementi già desumibili dalle prove acquisite, di tale convincimento dando ampia e congrua motivazione.

6. Il terzo motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

6.1. Non vi è contrasto tra la regola di giudizio applicata dalla corte territoriale e il principio evocato in ricorso, secondo cui “in tema di responsabilità civile da circolazione dei veicoli, anche se dalla valutazione delle prove resti individuato il comportamento colposo di uno solo dei due conducenti, per attribuirgli la causa determinante ed esclusiva del sinistro deve parimenti accertarsi che l’altro conducente abbia osservato le norme sulla circolazione e quelle di comune prudenza, perché è suo onere dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, altrimenti dovendo presumersi anche il suo colpevole concorso” (v. e pluribus Cass. 08/01/2016, n. 124).

La Corte d’appello non si è affatto fermata alla valutazione del carattere colposo e dell’efficacia causale della condotta di guida della vittima, ma ha espressamente valutato anche quella tenuta dal conducente dell’altro veicolo, ricostruita in fatto sulla scorta di attenta considerazione degli elementi di prova raccolti.

Peraltro, come in più occasioni chiarito da questa Corte, la prova che uno dei conducenti si è uniformato alle norme sulla circolazione dei veicoli ed a quelle di comune prudenza può essere acquisita anche indirettamente, tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso con il comportamento dell’altro conducente (Cass. 21/05/2019, n. 13672; 22/04/2009, n. 9550; 10/03/2006, n. 5226).

E’ stato bensì anche affermato che l’infrazione, pur grave, come l’invasione dell’altra corsia commessa da uno dei conducenti, non dispensa il giudice dal verificare anche il comportamento dell’altro conducente al fine di stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell’evento dannoso (Cass. 15/01/2003, n. 477; 17/01/1996, n. 343).

Ciò non esclude tuttavia che, anche in tali circostanze, possa comunque ritenersi raggiunta la prova liberatoria anche indirettamente, in base alla valutazione, in concreto, della assorbente efficacia eziologica della condotta dell’altro conducente.

La valutazione di merito, in definitiva, si sottrae alla svolta censura, non esprimendo essa né una erronea ricognizione della norma come interpretata dalla costante giurisprudenza di questa norma (la corte di merito non ha affermato che è sufficiente accertare in positivo la colpa di uno dei conducenti per superare la presunzione di colpa concorrente in capo all’altro), né un vizio di sussunzione (non avendo accertato, né “non escluso”, ma anzi al contrario avendo espressamente “escluso” l’esistenza di profili di colpa addebitabili all’altro conducente).

6.2. Nella specie, il giudice di appello, sulla scorta di una complessiva valutazione delle risultanze istruttorie e condividendo il convincimento raggiunto dal primo giudice, ha accertato – come detto – l’esclusiva responsabilità del M., evidenziando l’assorbente valenza causativa della sua condotta colposa nella dinamica del sinistro, per l’improvvisa svolta a sinistra inosservante dell’obbligo di dare la precedente al veicolo sopraggiungente da destra.

Al riguardo, è appena il caso di ribadire il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito, in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente ed al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta insindacabile in sede di legittimità, quando sia adeguatamente motivato ed immune da vizi logici e da errori giuridici, e ciò anche per quanto concerne il punto se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c. (v. Cass. 15/09/2020 n. 19115; 19/07/2018, n. 19203; 22/09/2015, n. 18609; 12/10/2012, n. 17409; 02/03/2004, n. 4186; 25/02/2004, n. 3803; 30/01/2004, n. 1758; 05/04/2003, n. 5375).

Le censure che sono volte a contestare tale valutazione impingono, dunque, nel piano della delibazione riservata al giudice del merito, non essendo neppure dedotti idoneamente fatti ad oggetto di doglianza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna delle ricorrenti, in solido, alla rifusione, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro 6.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

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