Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4200 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. III, 22/02/2010, (ud. 07/01/2010, dep. 22/02/2010), n.4200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4151/2005 proposto da:

BANCO DI SICILIA SPA (OMISSIS) in persona del proprio

Amministratore Delegato-legale, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA QUATTRO FONTANE 20, presso lo studio dell’avvocato PUSILLO Matteo

(Studio GIANNI, ORIGONI, GRIPPO & PARTENERS) che la

rappresenta e

difende unitamente agli avvocati PIAZZA NICOLA, SARASSO CARLO giusta

procura speciale del Dott. Notaio UGO SERIO in PALERMO, 3/2/2005,

rep. n. 66763;

– ricorrente –

contro

AEM TORINO AZIENDA ENERGETICA METROPOLITANA TORINO SPA (OMISSIS)

in persona del Presidente e legale rappresentante prof. R.

F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 20,

presso lo studio dell’avvocato FERRAIUOLO MADDALENA, rappresentata e

difesa dagli avvocati BONINI Attilio, RANUZZI LIVIA giusta delega in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

FUMAGALLI IMPIANTI SPA (OMISSIS), SUDIMPIANTI SPA, CAPITALIA SPA;

– intimati –

sul ricorso 7165/2005 proposto da:

FUMAGALLI IMPIANTI POWER OIL & GAS SPA (OMISSIS) in persona del

Presidente del Consiglio di Amministrazione Sig.ra R.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONIDA BISSOLATI 76, presso

lo studio TOSETTO WEIGMANN, rappresentata e difesa dall’avvocato

WEIGMANN MARCO giusta delega in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrente –

contro

BANCA SICILIA SPA, CAPITALIA SPA, AEM TORINO AZD: ENERGETICA

MUNICIPALE TORINO SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 968/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Sezione Prima Civile, emessa il 7/6/2004, depositata il 18/06/2004,

R.G.N. 108/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

07/01/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato MATTEO FUSILLO;

udito l’Avvocato MADDALENA FERRAIULO con delega dell’Avvocato LIVIA

RANUZZI;

udito l’Avvocato ALESSANDRA GIOVANNETTI per delega dell’Avvocato

MARCO WEIGMANN;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

con assorbimento dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 7-18 giugno 2004 la Corte di appello di Torino confermava la decisione del locale Tribunale del 26 febbraio 2002, la quale aveva rigettato la opposizione a due decreti ingiuntivi proposta dal Banco di Sicilia.

Osservavano i giudici di appello che correttamente il primo giudice aveva qualificato i contratti stipulati dalla ITIN (quale capo gruppo mandataria di associazione temporanea di imprese, formata dalla stessa ITIN, dalla spa Fumagalli s.p.a. e da Sudimpianti s.p.a.) con il Banco di Sicilia come contratti autonomi di garanzia, per gli obblighi di regolare esecuzione delle opere appaltate dalla committente AEM di Torino alla s.p.a. ITIN, e per la eventuale restituzione dell’anticipazione versate dalla committente sul corrispettivo dell’appalto.

Poichè gli appaltatori erano risultati inadempienti, la committente AEM aveva risolto, con apposita delibera, il contratto di appalto e disposto la esecuzione in danno, con un maggiore esborso di L. 1.162.618.400, richiedendo la restituzione della anticipazione versata, pari a L. 2.091.335.831, ai sensi del R.D. 18 novembre 2003, n. 2440, art. 12, comma 7.

Per questo motivo, la AEM aveva richiesto, ed ottenuto l’emissione di due distinti decreti ingiuntivi al Presidente del Tribunale di Torino per gli importi sopra indicati.

Il Banco di Sicilia aveva proposto opposizione avverso entrambi i decreti, proponendo domanda di rilievo, ai sensi dell’art. 1953 c.c., nei confronti dei debitori garantiti, s.p.a. ITIN, Fumagalli s.p.a. e Sudimpianti s.p.a., chiedendo in via subordinata la condanna delle stesse società alla rifusione degli eventuali importi dovuti sulla base dei decreti ingiuntivi, ex artt. 1949 e 1950 c.c..

Si costituivano in giudizio le tre società chiamate in garanzia, chiedendo la reiezione della domanda di manleva ed, in subordine, la riduzione della stessa “pro quota” previo, in ogni caso, scomputo di quanto già per altra via recuperato dalla banca.

Le due cause di opposizione erano riunite.

Con sentenza 26 febbraio 2002, il Tribunale di Torino decideva nei termini già indicati, rigettando le opposizioni del Banco e le domande di rilievo ex art. 1953 c.c., di manleva ex artt. 1949 e 1950 c.c., di rimborso di somme e di risarcimento dei danni proposte dal Banco di Sicilia nei confronti delle società chiamate in garanzia.

La sentenza di primo grado era confermata dalla Corte di Appello di Torino, che rigettava l’appello proposto dal Banco di Sicilia, provvedendo alla rettifica di alcuni errori materiali contenuti nella decisione del Tribunale.

La Corte territoriale confermava che i contratti in esame costituivano contratti autonomi di garanzia e che il Banco di Sicilia aveva prestato la propria garanzia unicamente a sostegno del debito della ITIN, per cui veniva meno il presupposto per l’esperita azione di manleva e di regresso nei confronti delle altre due società chiamate in causa, la Fumagalli s.p.a. e la Sudimpianti s.p.a..

La surrogazione legale ex art. 1203 c.c., comma 3, sottolineava la Corte territoriale, si era verificata in favore del Banco con subentro di esso nella posizione che AEM (creditore garantito soddisfatto) aveva nei confronti di ITIN (debitore garantito).

Una surroga legale del Banco nei confronti di Fumagalli e Sudimpianti avrebbe potuto ravvisarsi, solo qualora queste ultime avessero rivestito il ruolo di originarie “garanti” per la ITIN, nei confronti della AEM, in quanto impegnate in proprio per un debito altrui.

Tale circostanza, tuttavia, non ricorreva nel caso di specie, poichè la obbligazione da esse assunta non era nell’interesse di ITIN, ma era un debito contratto, sia pure attraverso la capo gruppo mandataria, nel personale interesse delle associate, che erano parti nel contratto di appalto.

La inesistenza di un credito, di rivalsa o in surroga, del Banco di Sicilia nei confronti della spa Fumagalli e Sudimpianti comportava il rigetto di ogni domanda (di liberazione dalla garanzia, di manleva, di rifusione di quanto nelle more pagato) proposta nei loro confronti dalla banca appellante.

Avverso tale decisione il Banco di Sicilia ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da cinque motivi.

Resistono con distinti controricorsi l’AEM Torino e la Fumagalli Impianti Power-Oil & gas s.p.a., la quale ha proposto ricorso incidentale condizionato, sorretto da un unico motivo (p. 40).

Il Banco di Sicilia e l’Iride s.p.a. (già Azienda energetica Metropolitana Torino s.p.a.) ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve innanzi tutto disporsi la riunione dei ricorsi, proposti contro la medesima decisione.

1.1. Con il primo motivo la ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1368, 1369, 1371 e 1945 c.c., nonchè del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art. 54, commi 1 e 2, come sostituito dal D.P.R. n. 1309 del 198, D.M. 25 novembre 1972, art. 1, comma 3, e D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 3, ultimo cpv., insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione alle succitate norme (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

I giudici di appello osservavano, innanzi tutto, che i contratti in esame costituivano contratti autonomi di garanzia, anzichè contratti di fideiussione.

Le espressioni utilizzate impedivano al Banco di Sicilia di avvalersi di eventuali eccezioni spettanti al debitore principale (ITIN) incidendo sulla natura dei negozi attraverso la deroga al principio della accessorietà insito nell’art. 1945 c.c..

Di fronte all’univocità del tenore letterale non era possibile ricorrere a criteri ermeneutici di natura extracontrattuale (dai quali comunque era perfettamente possibile trarre conclusioni diverse da quelle cui era pervenuta la stessa Corte).

Le espressioni utilizzate nei contratti “a prima richiesta” o “senza riserva alcuna”non potevano considerarsi in alcun modo decisive.

Infatti, all’interno dei testi in discussione, era più volte presente il termine “fideiussione”.

Il tenore letterale della clausola centrale di entrambe le scritture doveva considerarsi decisivo ai fini della qualificazione dei contratti come di fideiussione.

Sulla base degli elementi letterali in esse contenuti, i giudici di appello avrebbero dovuto qualificare le scritture come contratti di fideiussione.

Sotto altro profilo, qualora i giudici avessero ritenuto che la esegesi letterale non potesse condurre a risultati chiari, si sarebbe dovuto fare ricorso agli altri criteri ermeneutici indicati dalla legge (a torto sottovalutati dalla Corte torinese).

Giudicando sul solo dato letterale delle scritture private, i giudici di appello avevano finito per infrangere il canone della interpretazione complessiva del contratto, posto dall’art. 1363 cod. civ..

Gli svariati richiami operati dal Banco di Sicilia e da AEM alle vicende del sottostante rapporto di appalto ed agli eventi patologici dello stesso – elevati a presupposto del sorgere dell’obbligo di pagamento in capo al soggetto garante – erano sintomatici della volontà delle parti di legare in modo indissolubile le sorti dei doveri di garanzia del Banco a quelle delle prestazioni dedotte in appalto e facenti carico alle imprese riunite in associazione temporanea.

L’accoglimento di questo motivo – sottolinea la Banca ricorrente – sarebbe sufficiente a travolgere la decisione della Corte torinese, che aveva ritenuto superfluo l’esame delle ragioni di appello inerenti alla esecuzione del contratto.

1.2. Osserva il Collegio: il motivo è inammissibile ancor prima che infondato.

La società ricorrente sostiene, infatti, che nelle previsioni contrattuali debba ravvisarsi in sostanza la clausola del c.d. “solve et repete” con la conseguenza che il meccanismo del pagamento “a prima richiesta” non escluderebbe l’accessorietà della garanzia, che resterebbe a tutti gli effetti una fideiussione, anzichè un contratto autonomo di garanzia (Cass. 14 febbraio 2007 n. 3257).

1.3. Secondo più che consolidata giurisprudenza di questa Corte – dalla quale prescinde totalmente la difesa della parte ricorrente – in materia di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in una indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice del merito.

La possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è limitata al caso della violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi, peraltro, con la specifica indicazione – nel ricorso per cassazione – del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato.

In caso contrario, infatti, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di una interpretazione diversa.

In altri termini, il ricorso in sede di legittimità -riconducibile in linea generale al modello della argomentazione di carattere confutativo – laddove censuri l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità della interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) della inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta.

La censura non può invece affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue Cass. 23 agosto 2006 n. 18375).

In materia di interpretazione del contratto, quindi, la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica contrattuale esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denuncia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione della obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito.

Nessuna delle due censure può, invece, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione.

D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità – sotto entrambi i cennati profili – quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni;

sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni plausibili, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 2 maggio 2006 n. 10131).

1.4. Un ulteriore profilo di inammissibilità deriva dal fatto che la società ricorrente non riporta, integralmente, il contenuto delle clausole contrattuali delle quali denuncia la erronea interpretazione, richiamando solo alcune delle clausole.

1.5. Oltre che inammissibili, sotto il profilo suindicato, le censure svolte nei motivi in esame sono manifestamente infondate.

Per costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, alla c.d. “assicurazione fideiussoria” (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale) – che è una figura intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione, caratterizzata dall’assunzione dell’impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo in caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo – sono applicabili le norme contenenti la disciplina legale tipica delle fideiussione salvo che le stesse non siano espressamente derogate dalle parti (Cass. 10486 del 2004, 6728 del 2002, 3552 del 1998, 3940 del 1995, 11038 del 1991, 6499 del 1990, 3444 del 1988).

Portata derogatoria viene, invece, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte alla clausola con la quale sia espressamente prevista la possibilità per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito “a semplice richiesta” o “senza eccezioni” tutte le volte in cui una clausola siffatta, inserita in un contratto di assicurazione fideiussoria o cauzionale del tipo suindicato – ed in quanto precluda al garante l’opponibilità al beneficiario delle eccezioni spettanti al debitore principale ai sensi dell’art. 1945 c.c., secondo l’accertamento spettante al giudice di merito – risulti incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza la fideiussione e valga, per converso, a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (Cass. 27 giugno 2007 n. 14853, 28 febbraio 2007 n. 4661, 9 novembre 2006 n. 23900, 31 maggio 2006 n. 13001, 12 dicembre 2005 n. 27333, 1 giugno 2004 n. 10486).

1.6. Alla luce di tale giurisprudenza – esaminate nel loro complesso le censure formulate dalla ricorrente – deve rilevarsi che la ricostruzione, da parte dei giudici di appello, del rapporto contrattuale tra le parti come figura da ricondurre nell’ambito della garanzia autonoma a semplice richiesta (e perciò del tutto svincolata dalla figura ordinaria del contratto di fideiussione) risulta effettuata con un corretto procedimento logico-argomentativo, assolutamente esente da vizi logici ed errori giuridici.

Con interpretazione incensurabile in questa sede, i giudici di appello hanno rilevato che dal complesso delle espressioni utilizzate nelle scritture private, dalle quali scaturiva l’impegno del Banco di Sicilia, si desumeva la esistenza di due distinti contratti autonomi di garanzia.

Le clausole contenute nei contratti non indicavano affatto un obbligo del tipo “solve et repete” (come dedotto ora dalla attuale ricorrente) incidendo sulla stessa configurazione sostanziale del rapporto di garanzia, precludendo qualsiasi riserva, tra cui anche quella di ripetizione (“senza riserva alcuna”), all’atto del versamento, e dunque impedendo alla banca di valersi, sia prima che dopo, delle eventuali eccezioni spettanti al debitore garantito.

(pagg. 13-14).

La Corte territoriale ha dunque concluso sul punto rilevando che:

“Il riscontro del concreto contenuto della pattuizione negoziale (doveva) avere il sopravvento sulla sintetica enunciazione definitoria usata, la quale risente della mancanza di tipicità del c.d. contratto autonomo di garanzia e, pertanto, della mancanza di una apposita denominazione codicistica da utilizzare in luogo di quella dell’affine contratto di fideiussione”.

2.1. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 1957 c.c., comma 1, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione alla succitata norma (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Fin dalla opposizione a decreto ingiuntivo, la ricorrente aveva dedotto che AEM era decaduta dal diritto di escutere le garanzie resa dal Banco, essendo spirato il termine di sei mesi dalla scadenza delle obbligazioni, senza che la società creditrice avesse proposto le sue istanze contro il fideiussore.

AEM aveva notificato i due ricorsi per ingiunzione solo il 9 dicembre 1996 quanto il termine semestrale era ampiamente decorso.

La decisione dei giudici di appello, inoltre, non teneva conto del fatto che la garanzia era stata rilasciata in relazione ad un rapporto di appalto pubblico, regolato da apposita normativa, e che la posizione di AEM – che aveva concesso ad un altro raggruppamento di imprese l’effettuazione delle opere – doveva considerarsi incompatibile con la sopravvivenza del rapporto negoziale a suo tempo stipulato.

2..2.Anche questo motivo è privo di fondamento.

Una volta stabilito che i contratti in esame recano contratti autonomi di garanzia, sulla base della accertata impossibilità per il garante di opporre eccezioni in ordine alle vicende del rapporto principale (v., ex plurimis, Cass. 13 maggio 2008 n. 11890, 27 giugno 2007 n. 14853, 28 febbraio 2007 n. 4661, 9 novembre 2006 n. 23900, 31 maggio 2006 n. 13001, 12 dicembre 2005 n. 27333, 1 giugno 2004 n. 10486, 1 febbraio 1998 n. 1420; 25 febbraio 1994 n. 1933), da ciò derivava automaticamente la impossibilità di eccepire la sopravvenuta estinzione dell’obbligazione, assunta dal debitore principale verso il committente delle opere.

La motivazione della sentenza della Corte di appello deve considerarsi, sul punto, giuridicamente corretta.

I giudici di appello hanno richiamato la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: “Al contratto autonomo di garanzia, in difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, non si applica la norma dell’art. 1957 cod. civ., sull’onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del debitore principale, poichè la norma citata si collega al carattere accessorio della obbligazione fideiussoria” (Cass. n. 3964 del 1999).

Ed invero l’art. 1957 c.c., rientra, secondo il comune orientamento dottrinale, tra le disposizioni su cui si fonda l’accessorietà dell’obbligazione fideiussoria, poichè instaura un collegamento tra la scadenza dell’obbligazione di garanzia e quella dell’obbligazione principale (in questi termini: Cass. 18 aprile 2007 n. 9245, 13 aprile 2007 n. 8839).

Infatti, se la norma dell’art. 1957 c.c., appare coerente con il carattere accessorio della fideiussione, deve dirsi che la stessa non si applica, almeno in linea di principio, all’obbligazione autonoma di garanzia (che, come si è detto, non presenta detto carattere), salvo che sia contrattualmente richiamata dai contraenti (Cass. n. 13078 del 2008).

Nel caso di specie, come hanno rilevato i giudici del merito, detto richiamo mancava del tutto; il che è sufficiente per rendere inapplicabile l’invocato art. 1957 c.c., a prescindere da ogni indagine circa la presenza nel contratto di una clausola incompatibile con quest’ultimo articolo.

La decisione della Corte torinese è conforme all’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, secondo il quale: “Al contratto autonomo di garanzia, in difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, non si applica la norma dell’art. 1957 cod. civ., sull’onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del debitore principale, poichè la norma citata si collega al carattere accessorio della obbligazione fideiussoria” (Cass. 21 aprile 1999 n. 3964, cfr. Cass. 19 luglio 2005 n. 15199).

3.1. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè dell’art. 633 c.p.c., comma 1, n. 1 e comma 2, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione alle succitate norme (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

La sentenza impugnata aveva, senza motivazione, disatteso l’exceptio doli generalis, sollevata dal Banco, per essersi da parte della società beneficiarla delle garanzie fideiussorie (AEM) utilizzato in modo abnorme e contrario a buona fede il diritto in astratto riconosciuto al medesimo.

La eccezione si basava sulla malafede di AEM, che aveva escusso le fideiussioni pur essendo a conoscenza della intervenuta decadenza, ai sensi dell’art. 1957 c.c. (per essere la obbligazione principale scaduta oltre il termine indicato nel comma 1). Inoltre, la società aveva richiesto la emissione dei due decreti ingiuntivi, pur in assenza dei prescritti requisiti di legge, non costituendo idonea prova scritta del diritto azionato la Delib. 13 maggio 1996 e Delib.

22 ottobre 1996.

Da ultimo, AEM non avrebbe tenuto in alcun conto la fondatezza delle eccezioni sollevate dalla società facenti parte della ATI in ordine alla esecuzione del contratto di appalto.

3.2. Il motivo è del tutto infondato.

Va preliminarmente rilevato che, secondo là giurisprudenza di questa Corte, in materia di contratto autonomo di garanzia, il garante ha l’obbligo di proporre l'”exceptio doli” – nell’ambito del dovere di protezione del garantito da possibili abusi del beneficiario e pena la perdita del diritto di rivalsa solo in presenza di una pretestuosa escussione di una garanzia bancaria “a prima richiesta” e che l’eccezione è legittima solo in quanto sussistano prove sicure della malafede del beneficiario (Cass. 1 ottobre 1999 n. 10864).

Ed, ancora, che: “l’arbitrarietà della pretesa del creditore e, correlativamente, il potere – dovere del fideiussore di rifiutare il pagamento, sono configurabili, per effetto di quella clausola, esclusivamente in presenza di un evidente, certo e incontestabile venir meno del debito garantito, cioè di una pretestuosità di detta intimazione “prima facie” (Cass. 3 febbraio 1999 n. 917).

La proponibilità di tale eccezione è stata motivatamente esclusa dai giudici di appello.

Per ciò che riguarda la inapplicabilità dell’art. 1957 c.c., al caso di specie, si richiama quanto già rilevato a proposito del motivo che precede.

Per quanto riguarda, poi, la dedotta mancanza di prova scritta, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, non resta che rinviare alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale:

“l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, inteso ad accertare la pretesa fatta valere e non se l’ingiunzione fu legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge, onde eventuali vizi della procedura monitoria potrebbero essere fatti valere solo ai fini di un diverso regolamento delle spese della suddetta fase processuale” (Cass. 25 marzo 2000 n. 3591).

Ed ancora: “Costituisce prova scritta, atta a legittimare la concessione del decreto ingiuntivo, a norma degli artt. 633 e 634 cod. proc. civ., qualsiasi documento proveniente non solo dal debitore, ma anche da un terzo, purchè idoneo a dimostrare il diritto fatto valere, anche se privo di efficacia probatoria assoluta (quale, avuto riguardo alla sua formulazione unilaterale, la fattura commerciale), fermo restando che la completezza della documentazione esibita va accertata nel successivo giudizio di opposizione, a cognizione piena, nel quale il creditore può provare il suo credito indipendentemente dalla legittimità, validità ed efficacia del provvedimento monitorio, allo stesso modo in cui il debitore può dimostrare la insussistenza del preteso diritto” (Cass. 24 luglio 2000 n. 9685).

Infine, correttamente la Corte territoriale non si è pronunciata in ordine alle eccezioni sulla esecuzione del contratto di appalto, avendo ritenuto che le scritture per cui è causa costituissero contratti autonomi di garanzia.

Le censure proposte con questo mezzo di impugnazione sono, pertanto, del tutto infondate.

4.1. Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 1362 c.c., e segg. (capo 4^ del titolo 2^ del libro quarto: “della interpretazione del contratto”) nonchè degli artt. 1299, 1950 e 1951 c.c. e del D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 23, comma 9, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione alle succitate norme (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

La Corte territoriale aveva premesso che – almeno in linea di principio – nulla esclude che le imprese riunite possano essere solidalmente obbligate verso il terzo garante, a titolo di regresso o di surroga, ove questi abbia prestato garanzia a sostegno di tutte quante per un loro debito solidale.

Poichè, nel caso di specie, il Banco di Sicilia aveva prestato la propria garanzia unicamente a sostegno di debiti della ITIN – e non era stato garante per la Fumagalli Impianti e la Sudimpianti – veniva meno anche il presupposto per la esperita azione di manleva e regresso nei confronti di queste ultime.

In tal modo, ad avviso della società ricorrente, i giudici di appello avrebbero del tutto ignorato le premesse in fatto contenute nei contratti prodotti ed, in particolare, l’avvenuta spendita, in essi, del nome delle imprese associate nell’ATI, per i debiti delle quali il Banco si era reso garante in proprio e per conto del pool di banche.

Sulla base di tali considerazioni, non poteva certo negarsi che Fumagalli Impianti e Sudimpianti fossero debitori principali garantiti dal Banco, a nulla rilevando la scorporabilità delle opere affidate in appalto a ciascuna di esse.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorda ancora la ricorrente, la fideiussione prestata ad una associazione temporanea di imprese garantisce l’adempimento delle obbligazioni che gravano sulle imprese riunite, le quali devono considerarsi solidalmente responsabili.

In casi del genere, deve pertanto, trovare applicazione l’art. 1951 c.c., secondo cui se vi sono più debitori principali in solido, il fideiussore che ha garantito per tutti ha regresso contro ciascun debitore principale per ripetere integralmente quanto pagato.

4.2. Anche questo motivo si rivela del tutto inammissibile.

Con esso si ripropongono, infatti, questioni di interpretazione del contratto, in tutto analoghe a quelle già esaminate a proposito del primo motivo di ricorso (e ritenute, sotto vari profili, inammissibili).

I giudici di appello hanno sottolineato che le censure proposte riguardavano la corretta interpretazione delle due scritture private, da effettuarsi attraverso la ricerca della volontà negoziale delle parti, desumibile dal complesso degli atti (non essendo sufficiente la sola interpretazione del dato letterale).

Con motivazione adeguata, la Corte territoriale ha concluso che il “Banco di Sicilia prestò la propria garanzia unicamente a sostegno del debito della ITIN e che il Banco non fu invece garante per la Fumagalli Impianti e la Sudimpianti”.

Con il conseguente venir meno del presupposto per la azione di manleva e di regresso nei confronti di queste ultime (proposta, in base agli artt. 1951 e 1953 c.c., norme entrambe dettate in materia di fideiussione, dalla Corte ritenute applicabili al contratto autonomo di garanzia).

Si tratta di un accertamento logicamente motivato, che sfugge a qualsiasi censura di violazione di norme di legge e di vizi motivazionali.

Quanto alla violazione di norme di legge, la ricorrente non indica specificamente quale di queste disposizioni sarebbe stata violata.

Alla enunciazione iniziale della violazione di una rilevante pluralità di norme non fa seguito una trattazione puntuale nella quale, per ciascuna di esse, vengano prospettati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 366 c.p.c., n. 4, perchè al motivo di ricorso, proposto ai sensi del primo articolo, possa essere riconosciuto il requisito della specificità, imposto dall’altro.

La odierna ricorrente non ha sviluppato, nell’esposizione del motivo, argomento alcuno in diritto, inteso nel senso sopra precisato, per contestare, con specifico riferimento a ciascuna delle norme denunciate, in relazione a quale determinato convincimento espresso dal giudice del merito possa essere ravvisata una altrettanto determinata applicazione erronea o falsa applicazione di quella singola norma; sicchè le varie doglianze sono da considerare inammissibili per assoluto difetto della necessaria specificità.

Il D.Lgs. n. 406 del 1991,. art. 23, comma 9, richiamato nel mezzo di impugnazione, si limita a riservare al mandatario della associazione temporanea di impresa (dunque nel caso di specie all’ITIN) la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti del soggetto appaltatore. (Cass. 4 febbraio 2001 n. 77;

cfr. Cass. 18 aprile 2001 n. 5669).

Il richiamo a tale disposizione appare, pertanto, del tutto fuor di luogo con riferimento alla azione di manleva e di regresso, proposta dal Banco.

5.1. Con il quinto, ed ultimo, motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 1203 c.c., n. 3, artt. 1204 e 1949 c.c., insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione alle succitate norme (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

I giudici di appello avevano respinto la domanda di surroga sul rilievo che il disposto dell’art. 1204 c.c., non sarebbe applicabile nei confronti della Fumagalli Impianti e della Sudimpianti, in quanto queste società non poteva considerarsi originarie garanti per la ITIN nei confronti della AEM. I giudici di appello non avevano considerato che il Banco aveva agito in surrogazione legale, ex artt. 1949 e 1203 c.c., senza invocare la norma di cui all’art. 1204 c.c..

Le prime due disposizioni, ora richiamate, sottolinea la ricorrente, costituiscono norme di generale applicazione, a prescindere dalla qualificazione del contratto come autonomo di garanzia ovvero di garanzia fideiussoria.

Del resto, la stessa Corte territoriale aveva ritenuto estensibili al contratto autonomo di garanzia regole come quella di cui all’art. 1951 c.c., dettata in materia di fideiussione, proprio in virtù della (ingiustificatamente disconosciuta) veste di condebitori principali delle due società predette, mentre la diversa norma (art. 1204 c.c.) esaminata dai giudici di appello risultava non pertinente al caso di specie.

Anche queste censure si rivelano inammissibili.

Con esse, infatti, la ricorrente censura la valutazione di merito compiuta dai giudici di appello, i quali hanno osservato che una surroga legale del Banco con effetti nei confronti delle società Fumagalli Impianti e Sudimpianti poteva essere ravvisata solo qualora queste ultime potessero intendersi come garanti originarie per la ITIN nei confronti dell’AEM: ipotesi questa da escludersi per le ragioni indicate nella sentenza impugnata.

Sotto altro profilo, ha precisato la Corte territoriale, la qualità di associate in lavori scorporabili delle due società Fumagalli e Impianti e Sudimpianti, “ne escludeva una corresponsabilità con la ITIN per le obbligazioni non attinenti a tali lavori”.

Sotto altro profilo, con riferimento alla parte di debito ITIN, per il quale poteva, in ipotesi, configurarsi una concorrente responsabilità, in via solidale, delle associate, la obbligazione assunta da queste ultime non era nell’interesse della ITIN, intesa quale debitore principale – per il quale le predette impegnandosi in proprio, avevano dato garanzia – bensì un debito contratto (sia pure attraverso la capo gruppo mandataria) nel diretto interesse delle associate, che erano parti nel contratto di appalto, per la parte di opere di propria competenza.

Per tali motivi, hanno rilevato i giudici di appello, doveva escludersi la esistenza di qualsiasi credito, di rivalsa o in surroga, del Banco di Sicilia nei confronti delle due società Fumagalli Impianti e Sudimpianti.

La decisione della Corte torinese sfugge, pertanto, a qualsiasi censura di vizi di motivazione e di violazione di legge.

Conclusivamente il ricorso principale deve essere rigettato.

Il ricorso incidentale condizionato deve essere dichiarato inammissibile, considerato che con esso la Fumagalli Impianti propone, in via tuzioristica, censure in ordine a questioni sulle quali la Corte torinese non si è affatto pronunciata, ritenendole assorbite, come del resto ha riconosciuto (a pag. 40) la stessa ricorrente incidentale.

Si richiama il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, per il quale:

“Nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, avendo il giudice di merito attinto la “ratio decidendi” da altre questioni di carattere decisivo, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio” (Cass., 15 febbraio 2008 n. 3796, 19 ottobre 2006 n. 22501, 23 maggio 2006 n. 12153, Cass. S.U. 8 ottobre 2002 n. 14382).

Infatti, presupposto della dichiarazione di assorbimento del ricorso incidentale condizionato conseguente al rigetto del ricorso principale è pur sempre l’ammissibilità del ricorso incidentale medesimo, in quanto la dichiarazione di assorbimento, che deriva dall’accertamento dell’infondatezza del ricorso principale, comporta un apprezzamento del merito dell’impugnazione condizionata, il quale, a sua volta, ne implica l’ammissibilità, che deve essere accertata dalla corte di cassazione indipendentemente dalla proposizione di una eccezione “ad hoc” (Cass. 28 febbraio 2007 n. 4787).

Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi.

Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato.

Compensa le spese. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 15.200,00 (quindicimiladuecento) di cui Euro 15.000,00 per onorari in favore di AEM e in Euro 10.200,00 di cui Euro 10.000,00 per onorari d’avvocato, (in favore di Fumagalli) oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

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