Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4198 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. III, 21/02/2011, (ud. 21/10/2010, dep. 21/02/2011), n.4198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24023-2006 proposto da:

V.W. (OMISSIS), V.C.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 88, presso lo studio dell’avvocato VITALONE WILFREDO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PRIORESCHI MAURILIO

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.N., M.G., L’UNITA’ S.P.A. IN

LIQUIDAZIONE in persona del liquidatore e legale rappresentante Dr.

F.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI

134, presso lo studio dell’avvocato FIORE IGNAZIO, che li rappresenta

e difende unitamente agli avvocati MATTEUZZI GIAN LUCA, VACIRCA

SERGIO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2695/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA 1^

SEZIONE CIVILE, emessa l’11/5/2005, depositata il 13/06/2005, R.G.N.

1112/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2010 dal Consigliere Dott. CHIARINI Maria Margherita;

udito l’Avvocato VITALONE WILFREDO;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

W. e V.C. convenivano in giudizio, nel 1998, A.N., M.G. e il giornale l’Unità chiedendo la loro condanna al risarcimento dei danni cagionati dall’averli diffamati, il 13 luglio 1993, in un articolo che li coinvolgeva ingiustamente nell’omicidio di P.M. e li collegava ai S..

Il Tribunale dichiarava prescritta la domanda e la Corte di merito la rigettava sulle seguenti considerazioni: 1) sussistevano i requisiti di pertinenza, stante il pubblico interesse alla conoscenza di fatti attinenti alla nota famiglia V.; di continenza perchè la notizia di cronaca riportava il contenuto di atti e provvedimenti penali (omicidio P., il P.M. vuole indagare sui rapporti tra i V. e i S.) e chiariva che il coinvolgimento dei V. era derivato dall’interrogatorio di B.E., mentre d’altro canto era stato dato spazio sul giornale alle dichiarazioni di V.C.; 2) il giornalista non aveva l’obbligo di compiere una parallela attività di indagine ed un minuzioso controllo sulle dichiarazioni rese dai soggetti inquisiti e sulle successive vicende processuali.

Ricorrono per cassazione i V., cui resistono l’Unità, M.G. e A.N.. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Deducono i ricorrenti: “Violazione degli artt. 595 e 596 bis c.p.; art. 651 c.p.p.; L. n. 47 del 1948, art. 13, artt. 2043 e 2059 c.c.; in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” perchè nel 2000 la Corte di appello, con sentenza confermata in cassazione, ha accertato che le accuse del B. si rivelarono, sin dal primo momento delle indagini preliminari, intrinsecamente contraddittorie e smentite dagli stessi assegni che egli aveva indicato a prova delle denunciate estorsioni, e perciò in difetto di alcun riscontro, fin dall’inizio esse si prospettarono come calunniose. Tale giudicato non è stato considerato dalla Corte di merito che si è limitata ad affermare che lo sviluppo delle ulteriori indagini non rileva, ma la suddetta sentenza penale ha affermato che la falsità delle dichiarazioni del B. era originaria tant’è vero che la stessa ha accertato che nel corso delle indagini non vi sono state svolte clamorose, ma soltanto la conferma dell’insussistenza di elementi per la denunciata estorsione e quindi non assume rilevanza la circostanza che un magistrato abbia utilizzato tali dichiarazioni calunniose per le indagini preliminari.

Il motivo è infondato.

La valutazione sulla inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie del B. fin dall’avvio delle indagini preliminari è un giudizio di merito della Corte penale, emesso nel 2000 – come evidenziato nella sentenza impugnata – e quindi a distanza di anni dall’articolo dell’Unità (1993). Perciò correttamente i giudici di appello hanno escluso qualsiasi responsabilità del giornalista nell’aver dato conto della notizia giudiziaria delle indagini disposte dal P.M. a seguito della denuncia effettuata dal B. – fonti espressamente indicate nell’articolo – sì da consentire al lettore di percepire la fase del processo a cui essa si riferiva e la conseguente necessità di provarne la fondatezza nelle successive fasi, con esclusione di parallelo onere del giornalista di verificare se fosse veritiera, o se il dichiarante interrogato dal magistrato fosse attendibile (Cass. 1205/2007, 5727/2009, 5657/2010).

2.- Con il secondo motivo deducono: “Altra violazione degli artt. 595 e 596 bis c.p.; art. 651 c.p.p.; L. n. 47 del 1948, art. 13; artt. 2043 e 2059 c.c.; in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La Corte di merito, pur affermando che il diritto di cronaca sussiste se i fatti sono veri, non trae le dovute conseguenze in relazione alla falsità ab origine delle dichiarazioni del B., in tal modo violando i relativi giudicati sui fatti storici: assoluzione dei ricorrenti nel 1994 e condanna del B. per bancarotta fraudolenta, passata in giudicato nel 2002, e per calunnia in danno dei V. nel 1998, passata in giudicato nel 2005. In tali sentenze non si menzionano i rapporti tra i V. e i D. s., nè erano state avviate indagini al riguardo, nè i convenuti hanno chiesto di provare le loro asserzioni basate sulle dichiarazioni di B., non verificate e calunniose, mentre non sussiste il diritto di propalarle soltanto perchè rese dinanzi ad un giudice, avendo viceversa il giornalista il dovere di controllarne la verità o la verosimiglianza.

Il motivo, per la parte non reiterativa delle doglianze innanzi esaminate, è infondato.

Infatti non sussiste la lamentata violazione del giudicato sui fatti storici accertati in sede penale innocenza dei V., colpevolezza del B. essendo diversi da quello oggetto di questo giudizio e cioè il contenuto diffamatorio o meno delle notizie di cronaca giudiziaria, da valutare in relazione alla verità storica di essa – e cioè l’avvio di un’ indagine da parte del P.M. sulla base della denuncia del B. rapportato al momento della pubblicazione dell’articolo, con esclusione dell’onere del giornalista di accertare la verità intrinseca posta a fondamento dell’inchiesta, secondo il principio applicabile in tema di cronaca giudiziaria in cui il criterio della verità sostanziale della notizia non riguarda il contenuto di una dichiarazione resa in sede giudiziaria e l’attendibilità del dichiarante poichè la verità va riferita al fatto rappresentato, cioè al fatto che vi sia stata effettivamente quella dichiarazione, con indicazione del contesto giudiziario nel quale è stata resa, sì che il giornalista si pone quale semplice intermediario tra i fatti e le situazioni realmente accaduti nell’attività giudiziaria da un lato e l’opinione pubblica dall’altro, e non è tenuto a svolgere specifiche indagini sull’attendibilità del dichiarante. (Cass. 12358/2006).

Quanto poi al brano riportato tra virgolette dai ricorrenti a pag. 16 (“… I fratelli V. e i cugini S.: quali rapporti legavano i vicerè della Sicilia i protagonisti di tante vicende di mafia?… I fratelli V. erano legati ai cugini S…. I S… intrattenevano., rapporti con i fedelissimi di Andreotti, primi fra tutti i fratelli V…. “Il Presidente della Corte… aveva chiamato in causa C. e V.W….

in cambio delle pressioni., che permettevano a B. di accedere a prestiti e ai V. di incrementare le loro casse private..”), in relazione al quale deducono la responsabilità del giornalista per aver esorbitato dal limite della oggettiva pubblicazione della mera notizia della denuncia del B. all’autorità giudiziaria, i giudici di appello hanno applicato al giornalista la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca quale estrinsecazione della libertà di pensiero previste dall’art. 21 Cost. e dall’art. 10 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ritenendo che la pubblicazione delle dichiarazioni del B., ancorchè oggettivamente lesiva dell’altrui reputazione, era volta a soddisfare l’interesse pubblico all’informazione, prevalente sulla posizione soggettiva soggetti coinvolti attesa la loro i qualità, la materia in discussione ed il contesto in cui le dichiarazioni erano state rese. Circa infine il requisito della continenza del fatto narrato – correttezza formale dell’esposizione – in relazione agli interrogativi e alle asserzioni del giornalista, che secondo i ricorrenti lo rendevano dissimulato coautore delle dichiarazioni trascritte, la censura di omessa valutazione di tale profilo da parte dei giudici di merito è inammissibile non avendo i predetti ottemperato all’onere non solo di trascrivere l’articolo per intero, ma altresì di indicare la fase della relativa allegazione e censura nei giudizi di merito di primo grado e secondo grado, atteso che nella sentenza impugnata non vi è riferimento alcuno a detta doglianza.

3.- Con il terzo motivo deducono: “Altra violazione degli artt. 595 e 596 bis c.p.; L. n. 47 del 1948, art. 13, artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

I convenuti hanno indicato come fonte informativa non gli atti giudiziari, ma il B., presidente della coop. Coate, le cui dichiarazioni avevano l’obbligo di controllare sia per la qualità del personaggio, raffrontata a quella dei soggetti calunniati, sia alla luce degli atti delle indagini preliminari depositati prima della 1 pubblicazione dell’articolo. Infatti gli atti per il rinvio a giudizio erano stati depositati il 6 luglio 1993, sì che avevano la possibilità di esaminarli e rilevare le contraddizioni del B. prima di pubblicare il 13 luglio 1993 l’articolo e così si sarebbero accorti fin dall’inizio della calunniosità delle notizie che andavano a propalare, anzichè farle passare per fatti veri e storicamente accertati. Inoltre nessun altro, oltre il B., aveva accusato i fratelli V. e quindi erroneamente la Corte di merito ha raffermato che vi erano dichiarazioni di soggetti implicati nelle indagini.

La censura, per la parte che non reitera il contenuto di quelle precedenti, che attribuiscono al giornalista l’onere di vagliare il contenuto del materiale istruttorio prima di darne la notizia, si sostanzia in un nuovo accertamento e ad una nuova valutazione dei fatti cristallizzati nell’accertamento di merito “… l’articolo chiariva che il coinvolgimento dei V. era derivato dall’interrogatorio di B.E.” – ed è perciò inammissibile.

4.- Con il quarto motivo deducono: “Altra violazione degli artt. 595 e 596 bis c.p.; L. n. 47 del 1948, art. 13, artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” per non aver affrontato la sentenza di appello la questione del risarcimento dei danni patrimoniali e morali derivati ai ricorrenti dalla vicenda giudiziaria di cui è causa a cui le pubblicazioni giornalistiche avevano contribuito pesantemente dando risonanza nazionale ai fatti.

Il motivo, dipendente dalle censure che precedono, e che sono state respinte, va anch’ esso respinto.

5.- Concludendo il ricorso va rigettato. Si compensano le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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