Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4198 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 09/02/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 09/02/2022), n.4198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18038/2021 R.G. proposto da:

A.V., + ALTRI OMESSI tutti rappresentati e difesi

dall’Avv. Marco Tortorella, con domicilio eletto presso il suo

studio in Roma, via Domenico Chelini, n. 5;

– ricorrenti –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute,

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e

Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi ex

lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici

domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 15476/2019, depositata

il 24 luglio 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 gennaio

2022 dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Numerosi medici specializzati, fra i quali gli odierni ricorrenti, convennero davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri, il M.I.U.R., il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive Europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione in anni per alcuni compresi nel – per altri invece anteriori o successivi al – periodo 1983-1991.

Con sentenza n. 15476/2019, depositata il 24 luglio 2019, il tribunale rigettò le domande, ritenendo prescritto il dedotto credito risa rcitorio.

2. La Corte d’appello di Roma, con ordinanza depositata in data 22 aprile 2021, ha dichiarato inammissibile l’appello, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c..

3. A.V. e gli altri venticinque medici indicati in epigrafe propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza del tribunale con unico mezzo, cui resistono le amministrazioni intimate depositando controricorso.

Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata e la successiva ordinanza della Corte d’appello sono state rese anche nei confronti di altri medici nei cui confronti nessuno dei ricorsi è stato notificato.

Tuttavia, trattandosi di litisconsorti facoltativi ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 c.p.c., non occorre far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essi preclusa.

2. Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie nonché degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, dell’art. 10 Cost.; dell’art. 19, comma 1, seconda parte, del Trattato sull’Unione Europea; dell’Art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, cd. Carta di Nizza (approvata il 7 dicembre 2000); delle Dir. CEE 82/76, 75/363 e 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25 febbraio 1999 (procedimento C131/97) e del 3 ottobre 2000; violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU; degli artt. 1, 10, 11 e 12 preleggi; degli artt. 2934,2935 e 2938 c.c., del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6…, nonché della L. n. 370 del 1999, art. 11”.

Sostengono in sintesi, che la L. n. 370 del 1999 non può assumere rilievo ai fini della determinazione del danno risarcibile e, conseguentemente, neanche ai fini della individuazione della data di decorrenza del termine di prescrizione.

Il tribunale avrebbe quindi errato, mancando di considerare che la prescrizione non avrebbe potuto farsi decorrere se non da quando sarebbero state elise le incertezze giurisprudenziali di settore, ovvero, quanto meno, nel 2005 sulla giurisdizione, nel 2009 sull’azione esperibile e la stessa sua prescrizione, nel 2011 sulla legittimazione passiva unica dello Stato, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria, se del caso da investire con rinvio pregiudiziale, attesa la necessità di assicurare la piena ed effettiva attuazione della normativa sovranazionale.

3. La censura è inammissibile, a norma dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c..

Come noto, infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati, dopo l’applicabilità del regime Eurounitario ed entro l’anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente, per quanto osservato dalla corte territoriale, dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, laddove, al contempo, in riferimento a detta situazione, nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43 – secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace alla disciplina dell’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato – trattandosi di norma che, in difetto di espressa previsione, non può che spiegare la sua efficacia rispetto a quanto verificatosi successivamente alla sua entrata in vigore, ossia al 10 gennaio 2012 (Cass., 09/02/2012, n. 1917, che riprende Cass., nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011, evocate nei ricorsi, ed è confermata da innumerevoli successivi arresti, come, ad esempio, Cass., 19/07/2019, n. 16452 e Cass., 24/01/2020, n. 1589).

Ne’ potrebbe sostenersi che il leading case del 2011 abbia preso in considerazione un termine prudenziale in ottica di conformità comunitaria, in ragione di quanto allora esaminabile, e tale da essere comunque sufficiente a respingere, in quel tempo, l’eccezione di prescrizione, e che, invece, solo successivamente al 1999 la giurisprudenza di questa Corte ha escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, relative ad aspetti quali: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa; la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana; il termine di prescrizione; l’individuazione del legittimato passivo della domanda, se solo lo Stato o meno.

Detti argomenti – come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare (v., tra le pronunce più recenti, Cass. 31/03/2021, n. 8843) -sono del tutto infondati e inidonei a indurre a un ripensamento della stabile nomofilachia richiamata e, infatti, per un verso confermata in tempi ben susseguenti al 2011, per altro verso tale da non potersi più riferire solo al rigetto dell’eccezione di prescrizione allora effettuato secondo quanto obiettato dal patrocinio oggi ricorrente.

E’ appena il caso di osservare che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso dell’estinzione prescrizionale che, come noto, non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale.

Per lo stesso motivo non ha alcun rilievo l’individuazione della natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale della stessa, quale ricostruita, fa sì che la sua determinazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa.

Quanto alla legittimazione passiva – premesso che è dello Stato in persona della Presidenza del consiglio dei Ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale, qui in ogni caso contestuale alla prima, non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi della L. n. 260 del 1958, art. 4 (Cass., Sez. U., 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta nei confronti della sola Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass., 25/07/2019, n. 20099) – nella fattispecie non emerge, né è dedotta, un’eventuale attività interruttiva nei confronti dell’ente universitario o altri soggetti, fermo restandoche dalla stessa normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria.

E’ opportuno ribadire, quanto alla remunerazione, che a seguito dell’intervento con il quale il legislatore – dettando la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 – ha effettuato una aestimatio del danno, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione satisfattiva avente natura di debito di valuta, iscritta in una cornice di disciplina comunitaria nella quale non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa, come ribadito – ferma, pure in chiave CEDU, la non irrisorietà della quantificazione nazionale anche dalla pronuncia, evocata in ricorso, della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16 (Cass., 24/01/2020, n. 1641, cui si rimanda per una più ampia ricostruzione giurisprudenziale).

Quanto sopra è in linea con ciò che si deve dire per la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, applicabile, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che, ove a regime secondo la normativa statale di recepimento, restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché, in particolare, la direttiva n. 93/16, rispetto alla quale quella n. 2005/36 nulla sposta, non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio (Cass. 14/03/2018, n. 6355, e le moltissime successive conformi, quale, solo a titolo esemplificativo, Cass., 24/05/2019, n. 14168).

Ciò per dire che non è individuabile alcun momento in cui si è stabilita una remunerazione adeguata da valutarsi come la sola recettiva della disciplina unionale, tale da poter concludere, anche in tesi, che esclusivamente a far data da allora avrebbe potuto decorrere la prescrizione.

Non vi è alcuna violazione della normativa sovranazionale, e alcuna irragionevolezza o disparità di trattamento posto che l’incremento previsto nell’esercizio della discrezionalità legislativa per i corsi di specializzazione collocati in tempi successivi, non escludendo l’adeguatezza della remunerazione precedente, è stato espressione di una scelta che rientra nelle opzioni legislative di regolare diversamente situazioni successive nel tempo (cfr., anche, di recente, Cass., 19/02/2019, n. 4809; 18/02/2021, n. 4307).

4. Come desumibile dai rilievi appena fatti, non vi è alcuna incertezza, sulla questione qui in scrutinio, che imponga il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Al riguardo va rilevato che, nella illustrazione del motivo, i ricorrenti hanno chiesto che sia sottoposta alla C.G.U.E. la seguente questione pregiudiziale: “se alla stregua del diritto dell’unione, un rimedio giurisdizionale possa considerarsi effettivo prima che sia definita la natura giuridica dell’azione spendibile, con le conseguenti ricadute sui termini di prescrizione, prima che sia identificato il soggetto legittimato passivamente e prima che sia individuata la giurisdizione interna competente a conoscere la domanda”.

Si tratta di una istanza che, al di là dei termini generici in cui è formulata, è da ritenersi manifestamente infondata.

Per quanto già detto, infatti, non solo a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinamento interno impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie; deve ora aggiungersi che nessun dubbio poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno (lo Stato), e che qualsiasi eventuale incertezza circa l’individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva impedire il decorso della prescrizione, dal momento che qualsiasi eventuale errore poteva essere rimediato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione (v. in termini, da ultimo, Cass. 02/12/2021, n. 38109, in motivazione, p. 20.1, pagg. 1920).

5. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione, in favore delle amministrazioni resistenti, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Quanto al valore in base al quale parametrare gli importi va precisato che “non ricorrendo l’identità di posizione processuale dei… soggetti assistiti dal medesimo avvocato, non trova applicazione il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2” (Cass. n. 6110 del 04/03/2021).

Il valore della causa, ai fini della liquidazione del compenso, è pertanto di Euro 765.389,16 risultante dalla somma dei seguenti tre addendi:

i) Euro 167.848,50 (prodotto della moltiplicazione di Euro 33.569,70 (pari all’importo unitario di Euro 6.713,94 dell’indennizzo annuale che sarebbe spettato, se del caso, ove non prescritto, moltiplicato per cinque) per i n. 5 ricorrenti specializzati dopo 5 anni di corso);

ii) Euro 375.980,64 (prodotto della moltiplicazione di Euro 26.855,76 (risultante dalla moltiplicazione di detto importo unitario per quattro anni di corso) per i n. 14 ricorrenti specializzati dopo 4 anni di corso);

iii) Euro 221.560,02 (importo annuo unitario moltiplicato per tre anni di corso) per gli undici altri ricorrente specializzato dopo 3 anni di corso.

Va precisato al riguardo che per tre ricorrenti la domanda introduttiva e l’odierno ricorso sono riferiti alla frequentazione di due diversi corsi di specializzazione, seguiti uno successivamente all’altro.

6. Non si ravvisano i presupposti per la sollecitata condanna dei ricorrenti al pagamento di somma ex art. 96 c.p.c., comma 3.

7. Va invece dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore delle amministrazioni controricorrenti, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

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