Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4197 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 19/02/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 19/02/2020), n.4197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29354-2014 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

85, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TALLADIRA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato TIZIANA SODANI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, quale successore ex

lege dell’INPDAP, in persona del Presidente e legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA

29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e

difeso dall’Avvocato PAOLA MASSAFRA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4755/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/06/2014 R.G.N. 825/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/12/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLA MASSAFRA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 4755 del 2014, la Corte d’appello di Roma accogliendo l’appello proposto dall’INPDAP (cui è succeduto nelle more del giudizio d’appello l’INPS D.L. n. 201 del 2011, ex art. 21 conv. in L. n. 914 del 9011) nei confronti di S.F. avverso la sentenza de locale Tribunale, ha rigettato la domanda dello stesso S. tesa al riconoscimento del diritto a proseguire il rapporto di lavoro per un biennio dalla data di raggiungimento dell’età prevista per il collocamento a riposo ai sensi del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16 (oggi abrogato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114).

2. La Corte territoriale, dopo aver ricordato che il S. era stato dipendente con mansioni di portiere dell’INPDAP e che il rapporto di lavoro era stato regolato dal c.c.n.l. di diritto privato per i dipendenti da proprietari di fabbricati, che prevedeva la risoluzione del rapporto di lavoro all’età di sessantacinque anni, ha ritenuto che il disposto del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16 laddove dava facoltà di rimanere in servizio per un biennio, si rivolgesse ai soli dipendenti che fossero risultati assicurati presso forme di previdenza esonerative o sostitutive del sistema di previdenza obbligatorio generale, come dimostrato dalla circostanza che la facoltà in esame era stata riconosciuta a decorrere dall’entrata in vigore della L. n. 421 del 1992 di delega per la privatizzazione dell’impiego pubblico.

3. Inoltre, la complessa procedura di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici non economici ed il nuovo inquadramento del personale adibito a servizi di custodia o portierato, di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, aveva comportato l’applicazione del contratto collettivo relativo agli enti pubblici solo a decorrere dal 31 dicembre 2003 a seguito della Delib. del commissario straordinario 24 maggio 2004, n. 261; pertanto, la nuova disciplina non influiva sulla questione dedotta in causa posto che il S. aveva compiuto 65 anni a (OMISSIS) ed aveva cessato di lavorare a (OMISSIS).

4. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione S.F. sulla base di due motivi. L’Inps resiste con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16 e della L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, in relazione all’art. 11 e 12 disp. prel., con riferimento al capo di sentenza che ha ritenuto applicabile alla concreta fattispecie la norma di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, nel testo modificato dal D.L. n. 106 del 2004, e non quello vigente ratione temporis, con conseguente inapplicabilità del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16.

1.1. In particolare, il ricorrente deduce l’erroneità della qualificazione in termini di rapporto di lavoro privato del rapporto di lavoro intercorso tra lo stesso e l’INPDAP in quanto il tenore dell’art. 16 cit. non richiedeva altro se se non la dipendenza da un Ente pubblico.

Inoltre, non si era considerato che la giurisprudenza di questa Corte, formatasi in tema di giurisdizione, aveva affermato la natura pubblicistica del rapporto di lavoro intercorrente tra INAIL ed i propri portieri. Peraltro, al momento in cui il ricorrente aveva proposto la domanda di trattenimento in servizio (13 febbraio 2003) era in vigore il testo della L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, secondo il quale “I lavoratori, già dipendenti degli enti previdenziali, addetti al servizio di portierato o di custodia e vigilanza degli immobili che vengono dismessi, di proprietà degli enti previdenziali, restano alle dipendenze dell’ente medesimo. Si applica quanto disposto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, artt. 33 e 34”. Aggiunge, inoltre, che in applicazione di tale previsione (dopo l’emanazione della Direttiva n. 3 del 2001 da parte del Comitato per l’attuazione dell’ordinamento INPDAP e la sottoscrizione di apposito contratto integrativo individuale di lavoro), allo stesso ricorrente furono assegnate le mansioni di ausiliario dell’Amministrazione presso la sede dell’archivio dell’INPDAP.

2. Con il comma 2 si deduce violazione e o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione alle previsioni contenute nel CCNQ stipulato il 18.12.2002 e del CCNL 2002- 2005, per avere la Corte ritenuto che il CCNL per il personale di portineria e di vigilanza dell’INPDAP sia confluito nei CCNL solo con decorrenza dal mese di ottobre 2003 e non dal 1.1.2002, senza attribuire rilevanza al CCNQ del 18 dicembre 2002 ed all’ipotesi di accordo nonchè alle dichiarazioni congiunte.

3. I motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.

4. Questa Corte di cassazione, come rilevato dalla difesa dell’istituto contro ricorrente, ha avuto modo di esaminare le vicende normative relative ai contratti di portierato con enti previdenziali, ed ha affermato che gli stessi aventi originaria natura privatistica, sono stati trasformati in rapporti di pubblico impiego privatizzato dalla L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, con conseguente assegnazione degli addetti, “ex lege”, alle mansioni proprie dell’attività istituzionale degli enti di riferimento e ciò sin dalla entrata in vigore di tale previsione.

5. In particolare, Cassazione n. 31090 del 27 novembre 2019, cui si intende dare continuità, ha dapprima ricordato il consolidato orientamento secondo cui, pur dopo la privatizzazione del pubblico impiego, non è impedita la stipula di contratti di lavoro con la P.A. destinati ad essere regolati dalla sola disciplina privatistica e non dalla normativa generale, da ultimo contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001 laddove vi sia una norma che lo preveda (v. Cass., S.U., 15 aprile 2010, n. 8985) e che non consente una diversa qualificazione del rapporto stesso perchè risulta essere prevalente la definizione normativa (da ultimo Cass. 22 novembre 201, n. 30271 in precedenza Cass. S.U. 8985/2010 cit.; Cass., S.U. 2424 novembre 2009, n. 24670).

5.1. Inoltre, ha ricordato che la disciplina generale sulla privatizzazione del pubblico impiego (qui da riferire ai D.Lgs. n. 29 del 1993 ed al D.Lgs. n. 165 del 2001) può non essere applicata allorquando i rapporti di lavoro – ritenuti afferire a casi “marginali e sostanzialmente anomali” – siano intrattenuti per ragioni non riconducibili alle specifiche finalità istituzionali dell’ente interessato (Cass. 27 giugno 2007 n. 14809).

5.2. Proprio con riferimento ai portieri degli enti previdenziali, ai fini del riparto di giurisdizione a favore del giudice amministrativo secondo le regole dell’epoca, si è affermato (tra le molte, Cass., S.U., 95 novembre 1990, n. 11459) che i relativi rapporti di lavoro possono essere riportati al pubblico impiego, ma si caratterizzano per l’eccezionale destinazione ad un regolamento negoziale di stampo esclusivamente privatistico (v., sempre rispetto ai portieri, Cass. 22 aprile 2010, n. 9555, in tema rapporto a tempo determinato di pubblico impiego ma soggetto a disciplina secondo le regole del rapporto privato, tra cui la conversione a tempo indeterminato).

5.3. Nella fattispecie in esame si è verificata ab origine la sottrazione della disciplina a quella propria dei rapporti di lavoro con l’ente pubblico di riferimento, per effetto del D.P.R. n. 411 del 1976, art. 51 secondo cui la disciplina del rapporto di lavoro pubblico, nell’ambito del c.d. parastato, non si applicava “ai dipendenti con rapporto di lavoro regolato da contratti collettivi di diritto privato e instaurato per lo svolgimento di attività privatistiche dell’ente o per servizi di istituto del tutto peculiari”.

5.4. Nel caso dei rapporti di lavoro dei portieri degli Enti previdenziali, è avvenuto che i rapporti di lavoro così instaurati, dopo l’assunzione, abbiano visto realizzarsi l’adibizione a mansioni diverse da quelle per le quali vi fu l’eccezionale instaurazione in forme privatistiche ed in particolare l’assegnazione a compiti inerenti all’attività amministrativa tipica dell’ente pubblico considerato.

Tale evenienza, in sè considerata, data la stretta relazione tra rapporti di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993 e D.Lgs. n. 165 del 2001, dotazione organica, (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4, già D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 6) e svolgimento di procedure concorsuali o selettive (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 già D.Lgs. n. 29 del 14993, art. 36) non avrebbe di per se rilevanza posto che affinchè un rapporto instaurato nelle forme esclusivamente privatistiche possa evolversi in un rapporto tipico di pubblico impiego privatizzato, occorre, come è avvenuto nel caso di specie, che una previsione normativa disponga in tal senso, anche in ragione dell’eventuale assenza di un originario concorso o selezione pubblica ed in linea con la previsione dell’art. 97 Cost., u.c., u.p..

5.5. Nel caso dei contratti di diritto privato di chi sia stato assunto come portiere di un ente previdenziale, tale previsione normativa, è da ravvisare nella L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, secondo cui “i lavoratori, già dipendenti degli enti previdenziali, addetti al servizio di portierato o di custodia e vigilanza degli immobili che vengono dismessi, di proprietà degli enti previdenziali, restano alle dipendenze dell’ente medesimo”.

Tale norma, prevedendo la prosecuzione dei rapporti di lavoro instaurati in torme esclusivamente privatistiche, pur con l’adibizione a mansioni diverse e dunque attinenti all’attività amministrativa propria dell’ente datore di lavoro, comporta il fuoriuscire dei rapporti stessi dall’ambito di quel riferimento ad attività “privatistiche dell’ente o servizi di istituto del tutto peculiari” che, come detto, ai sensi del D.P.R. n. 411 del 1976, art. 51 caratterizzava le eccezionali ipotesi di contratti di caratura esclusivamente civilistica.

Poichè non vi è dubbio che la disciplina del lavoro pubblico privatizzato, di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993 ed al D.Lgs. n. 165 del 2001, costituisca lex generalis, l’effetto dell’assegnazione ex lege a mansioni proprie dell’attività amministrativa tipica dell’ente di riferimento porta naturalmente con sè la corrispondente trasformazione del rapporto di lavoro, che resta dunque ricondotto alle forme comuni dell’impiego pubblico privatizzato.

5.6. Pertanto, anche la successiva aggiunta apportata all’art. 43, comma 19, cit. dalla L. n. 3 del 2003, art. 7, comma 4, secondo cui “si applica quanto disposto del D.Lgs. 20 marzo 2001, n. 165, art. 33 e 34” costituisce precisazione normativa di uno sviluppo già insito nella pregressa disposizione dell’art. 43 nella originaria formulazione.

Il riferimento della norma agli “addetti al servizio di portierato” ed al fatto della dismissione degli immobili, quale ragione della permanenza in servizio, non può escludere peraltro che gli effetti così delineati si verifichino anche rispetto a chi, già all’epoca non più addetto a quelle mansioni, fosse tuttavia titolare di un rapporto stipulato per il portierato ed in forme di diritto privato.

Orienta verso tale interpretazione estensiva sia il tatto che anche in tali casi si è di fronte all’allontanamento delle mansioni concrete da quelle rispetto alle quali eccezionalmente si è addivenuti all’utilizzazione del contratto privatistico, sia la comune ratio diretta al mantenimento in servizio dei titolari di contratti civilistici di portierato in sè non più utili come tali per la P.A.

5.7. I rapporti instaurati con contratti di portierato, comunque svoltisi nel corso del tempo, a partire dall’entrata in vigore dell’art. 43, comma 19, cit., sono dunque divenuti a tutti gli effetti rapporti di pubblico impiego privatizzato, con applicazione consequenziale di ogni previsione, anche retributiva, ad esso inerente.

6. A fronte di tale ricostruzione, che ha esaminato la peculiare vicenda dei rapporto di lavoro dei portieri degli enti previdenziali all’interno del generale sistema dell’impiego pubblico privatizzato, non residuano dubbi sulla fondatezza della pretesa del ricorrente ad ottenere, al momento in cui avanzò la relativa richiesta (13.2.2003) il riconoscimento del diritto a permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per esso previsto, come stabilito dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16 nel testo all’epoca vigente. Ciò anche ai fini della limitazione della domanda ai soli aspetti risarcitori, esplicitata dal medesimo ricorrente sin dal primo grado in ragione del raggiungimento del 67 anno di età in corso di causa.

La sentenza impugnata, che non si è attenuta ai principi sopra enunciati e sintetizzati nel superiore punto 5.7, va, dunque, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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