Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4196 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. III, 21/02/2011, (ud. 21/10/2010, dep. 21/02/2011), n.4196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19008/2006 proposto da:

B.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA V, VENETO 7, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DONATO,

che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

VITROCISET S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 21079/2006 proposto da:

VITROCISET S.P.A. in persona del Presidente e legale rappresentante

pro tempore Gen. A.M., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA A. CADLOLO 118, presso lo studio dell’avvocato LIPARI NICOLO’,

che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

controricorso;

– ricorrente –

contro

B.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2138/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA 1^

SEZIONE, emessa il 14/4/2005, depositata il 16/05/2005, R.G.N.

11046/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica;

udienza dei 21/10/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA

CHIARINI;

udito l’Avvocato CHIMENTI STANISLAO (per delega dell’Avv. BRUNO

DONATO);

udito l’Avvocato NICOLO’ LIPARI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16 maggio 2005 la Corte di appello di Roma rigettava il gravame principale di B.P. e dichiarava inammissibile quello incidentale della società p.a. Vitrociset sulle seguenti considerazioni: 1) il B. non aveva provato che a causa della domanda di risarcimento danni per diffamazione, proposta nei suoi confronti dalla Vitrociset e respinta dai Tribunale, egli aveva subito un danno all’immagine in conseguenza del quale non era stato rieletto, non avendo neppure provato di essersi ricandidato alle elezioni del 2001, mentre il M., anch’egli citato in giudizio per la stessa causa petendi, era stato rieletto incrementando i voti; 2) l’appello incidentale era inammissibile avuto riguardo alla data di comparizione fissata nell’appello principale, non essendo a tal fine utile quella a cui la causa è stata rinviata d’ ufficio ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c..

Ricorre in via principale B.P. cui resiste la s.p.a.

Vitrociset che ha altresì proposto appello incidentale e depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1.1 – Con il primo motivo del ricorso principale – ammissibile pur in carenza dei quesiti essendo applicabile il D.Lgs. n. 40 del 2006, alle sentenze pubblicate successivamente al 1 marzo 2006 – il B. deduce: “Sulla violazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., n. 3”.

La citazione in giudizio del B. per presunta diffamazione consistita nell’aver presentato un’interrogazione parlamentare su un contratto con la società Vitrociset comporta una lesione della reputazione personale, consapevole ed intenzionale, poichè detta società sapeva che le dichiarazioni di un parlamentare nell’esercizio delle funzioni non sono sindacabili, e comunque la prova del danno derivatone può esser fornita anche attraverso elementi idonei a dimostrare il discredito. Inoltre i soggetti che ricoprono cariche pubbliche devono potersi difendere dagli attentati alla loro reputazione in senso ampio e perciò anche se mettono in pericolo il loro stile o coerenza di uomo politico.

Il motivo è infondato.

Il fatto costitutivo della domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da diffamazione per essere illecito, come richiede l’art. 2043 c.c., deve essere offensivo dell’onore e decoro della persona altrui e tale non è la citazione in giudizio di un parlamentare affinchè il giudice valuti se il fatto da lui commesso, pur se a contenuto diffamatorio, sia da considerare scriminato ai sensi dell’art. 68 Cost., comma 1, – in base al quale “i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse” (tra cui rientrano le interpellanze e le interrogazioni parlamentari). Infatti tale causa soggettiva di esclusione della punibilità non incide sull’oggettiva illiceità dell’atto e perciò è inidonea a costituire il presupposto per la configurabilità della diffamazione per colui che ha agito in giudizio nei confronti del parlamentare chiedendo di esser risarcito dei danni che assume derivati dall’offesa alla sua reputazione espressa nell’interpellanza o interrogazione di costui.

2.- Con il secondo motivo deduce; “Sull’insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. Art. 360 c.p.c., n. 5”.

L’assenza del danno è stata ritenuta dalla Corte di merito in base alla circostanza che l’altro convenuto, on. M., è stato rieletto e sulla ritenuta mancanza di danno dell’azione civile esperita nei confronti di un parlamentare. Invece l’on. M. non è stato rieletto ed ha perso voti rispetto alla precedente tornata e quindi tale elemento è stato falsamente valutato, mentre apoditticamente la Corte non ha ravvisato nella citazione in sede civile di un parlamentare un danno alla sua reputazione e quindi il procedimento logico è viziato.

Il motivo è infondato.

Ed infatti la lesione all’onore e alla reputazione costituisce una eventuale conseguenza del comportamento idoneo a recare offesa. E poichè, come innanzi detto l’inammissibilità dell’azione civile risarcitoria nei confronti di un parlamentare per le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni non elide in sè la portata diffamatoria delle stesse, la speciale causa soggettiva di non punibilità non può trasformare in fatto lesivo dell’onore del parlamentare l’esperimento dell’azione volto ad acclarare, da parte del giudice di merito, se sussiste lo stretto collegamento tra le opinioni espresse e l’esercizio del mandato parlamentare tale da non consentire l’esercizio dell’azione risarcitoria.

3.- Con il ricorso incidentale la s.p.a. Vitrociset deduce:

“Violazione e falsa applicazione dell’art. 166 c.p.c., nei richiamo all’art. 168 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In subordine, si solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 166 c.p.c., nella parte in cui richiama solo il quinto e non anche l’art. 168 bis, comma 4, per contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost., art. 111 Cost. comma 2”, in relazione alla affermata decadenza dalle riconvenzionali non proposte nel termine di venti giorni dalla data fissata nell’atto di appello anzichè di quella stabilita ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4, (rinvio d’ufficio dell’udienza). Nella specie l’atto di citazione in appello aveva fissato la data di comparizione al 15 marzo 2003, l’udienza era stata rinviata d’ufficio al 19 marzo 2003, e la costituzione è avvenuta il 26 febbraio 2003, e poichè sia il rinvio d’ ufficio che quello per provvedimento del giudice – art. 168 bis c.p.c., comma 5, – sono appresi dall’appellato con la medesima modalità inserzione della notizia nel terminale – atteso che la cancelleria comunica il rinvio dell’udienza ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 5, soltanto all’appellante se l’appellato non si è ancora costituito, e poichè nessuna lesione dei diritti di difesa ne derivano a quegli se la costituzione dell’appellato avviene nei venti giorni antecedenti all’udienza rinviata d’ufficio anzichè fissata dall’appellante, una diversa interpretazione è priva di ragionevolezza e quindi incostituzionale.

Il motivo è infondato.

Per principio ormai consolidato il rinvio d’ufficio dell’udienza, a norma dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4, non determina la riapertura dei termini per il deposito della comparsa e per la proposizione dell’appello incidentale, poichè l’art. 166 c.p.c., coordinato con il successivo art. 167, contempla, quali ipotesi utili ad escludere la decadenza dalla proposizione della domanda riconvenzionale o dell’appello incidentale, a norma dell’art. 343 c.p.c., soltanto quella connessa al termine indicato nell’atto di citazione, ovvero, nel caso in cui abbia trovato applicazione l’art. 168 bis, quinto comma, quella relativa alla data fissata dal giudice istruttore;

conseguentemente è inammissibile, perchè tardivo, l’appello incidentale, quando sia stato proposto con comparsa di risposta depositata successivamente all’udienza fissata nell’atto di citazione in appello, anche se questa sia stata rinviata d’ufficio ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4, (Cass. 15705/2006, 1188/2007, 17032/2008) e tale principio è quello applicato dalla Corte di merito.

Nè tale interpretazione può esser sospettata di incostituzionalità, recentemente di nuovo – precedenti ordinanze nn. 461 del 1997 e 164 del 1998 ù esclusa dalla Corte Costituzionale (Corte Costit. 134/2009) in relazione alle espresse indicazioni contenute nel nuovo testo dell’art. 166 c.p.c. – secondo cui “deve aversi riguardo in via esclusiva all’udienza indicata in atto di citazione e non anche a quella, eventualmente successiva, cui la causa sia stata rinviata d’ufficio ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4, in ragione del calendario delle udienze del giudice designato” (artt. 69 bis e 80 disp. att. c.p.c.), ribadita la diversità di ratio rispetto all’ipotesi di differimento della data della prima udienza di comparizione disposta dal giudice istruttore a norma del quinto comma del citato art. 168 bis, perchè correlata alla fondamentale esigenza di porre il giudice in condizione di conoscere l’effettivo thema decidendum fin dal momento iniziale della trattazione della causa, mentre le medesime esigenze non sussistono in relazione al rinvio previsto dal detto art. 168 bis, comma 4.

Conseguentemente il giudice delle leggi ha escluso qualsiasi irragionevolezza del legislatore nell’ancorare il termine per la costituzione del convenuto all’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, o a quella fissata a norma dell’art. 168 bis c.p.c., comma 5, nell’intento di perseguire esigenze di certezza essenziali, in presenza di termini stabiliti a pena di decadenza (art. 167 c.p.c.), per assicurare il carattere effettivo dei diritto di difesa, non ritenuto adeguatamente tutelato dal differimento automatico all’udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato la cui conoscenza è affidata soltanto al calendario delle udienze, ed ha conseguentemente escluso il contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., non essendo configurabile alcuna “compressione” nell’esercizio delle attività difensive.

Concludendo i ricorsi vanno respinti.

Si Compensano le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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