Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4195 del 21/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4195 Anno 2014
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: FALASCHI MILENA

Progettazione Compenso
SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3893/08) proposto da:
MAGNI MARCO, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avv.to Daniela Anna Enrica Maurelli del foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo
studio della stessa in Roma, Lungotevere dei Mellini n. 10;
– ricorrente contro
DE PONTI MARIANGELA e DE PONTI MARIA LUISA, rappresentate e difese dall’Avv.to
Beniamino Aliberti del foro di Bergamo, in virtù di procura speciale per atto notaio Giovanni
Vacirca di Bergamo del 26.1.2012 rep. n. 137059, ed elettivamente domiciliate presso lo studio
dell’Avv.to Roberto Cefaloni in Roma, viale Parioli n. 67;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

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Data pubblicazione: 21/02/2014

e contro
MARIANI CARLO, domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Rocco Mangia e dell’Avv.to Stefano
Quadrio in Milano, Corso Magenta n.45;
– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 426 depositata il 14 febbraio 2007.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 7 novembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Dario La Torre (con delega dell’Avv.to Daniela Anna Enrica Maurielli), per
parte ricorrente, e Beniamino Aliberti, per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto
Celeste, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’inammissibilità di quello
incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 15 ed il 18 gennaio 2001 Maria Angela e Maria Luisa DE PONTI
evocavano, dinanzi al Tribunale di Monza, l’architetto Marco MAGNI e Carlo MARIANI esponendo
che essendo quest’ultimo interessato ad acquistare terreno di loro proprietà, sito in Sesto San
Giovanni, presentava loro l’arch. MAGNI per studiare le opportunità edificatorie del fondo,
precisando che erano intervenute fra le parti trattative in base alle quali era previsto che il
compenso professionale di detto architetto sarebbe stato corrisposto dal promissario acquirente;
aggiungevano che successivamente, sebbene altri soggetti (Finteco s.p.a., Crea Immobiliare e P.
Romano) si fossero dichiarati interessati ad acquistare l’area, venivano dissuasi dalle eccessive
pretese dell’architetto per l’attività professionale svolta per £. 450.000.000/500.000.000, per
favorire il Mariani; proseguivano le attrici di essersi in seguito dichiarate disponibili a rifondere i

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nonché sul ricorso incidentale (R.G. n. 9963/08) proposto dalle DE PONTI

costi vivi per gli studi di massima e progettuali, nella misura inizialmente indicata di £. 10.000.000
e poi di £. 20.000.000, accordo che non si perfezionava anche per i contrasti in ordine al
corrispettivo, nel frattempo, nel 2000, il terreno in questione veniva venduto alla società New
Building s.r.I., acquirente che non si faceva carico del costo professionale di progettazione. Tanto

determinato con la sua condotta la rottura delle trattative con la Finteco, la Crea Immobiliare e
Romano, nonché l’accertamento dell’obbligo assunto dal MARIANI di remunerare il MAGNI ed in
subordine, che le stesse erano tenute a remunerarlo solo nella misura di £. 20.000.000.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del MAGNI, il quale spiegava domanda
riconvenzionale per ottenere la condanna delle attrici al pagamento del compenso a lui spettante,
quantificato in £. 460.498.965, il giudice adito, rigettava le domande attoree, accertando che le
DE PONTI erano le committenti dell’attività svolta dal professionista e le condannava al
pagamento della somma richiesta, pari ad €. 237.827,87, ritenuta non contestata.
In virtù di rituale appello interposto dalle DE PONTI, con il quale affermavano che erroneamente
erano state ritenute obbligate al pagamento del compenso in questione, oltre a non essere stata
accertata la congruità della parcella, la Corte di appello di Milano, nella resistenza del MAGNI,
con sentenza non definitiva, confermava le pronunzie di rigetto delle domande delle originarie
attrici svolte nei confronti di entrambi i convenuti. Rimessa la causa sul ruolo disponendo c.t.u.
per la quantificazione del compenso, il giudice del gravame a conclusione dell’accertamento, con
sentenza definitiva, determinava l’ammontare della prestazione in €. 37.646,18.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che erroneamente il giudice di
prime cure aveva ritenuto pacifica l’entità del compenso, non avendo le DE PONTI riconosciuto in
alcun modo la congruità dell’importo preteso dal professionista, dimostrata la disponibilità a
corrispondergli il solo importo di £. 20.000.000, per cui la determinazione doveva essere fatta con
riferimento alla tariffa professionale degli ingegneri e degli architetti, in tal senso dovevano essere

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premesso, chiedevano la condanna del MAGNI al risarcimento dei danni loro causati per avere

interpretate le richieste formulate dalle appellanti in via subordinata, ribadite nella comparsa
conclusionale.
Aggiungeva che gli onorari spettanti al professionista per l’attività di progettazione in questione
andavano conteggiati sul costo delle opere preventivabile e non già sul valore dell’immobile

professionale, precisando che l’incarico non ricomprendeva le attività di direzione dei lavori, di
collaudo e di liquidazione. Infine l’importo preventivabile veniva accertato sulla base del progetto
depositato dallo stesso professionista al Comune di Sesto San Giovanni, stante il carattere
ufficiale dello stesso.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano ricorre il MAGNI sulla base di sei
motivi. Resistono con controricorso le DE PONTI, illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c.,
con il quale propongono anche ricorso incidentale affidato a due motivi, cui replica il ricorrente
principale.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art.
335 c.p.c., in quanto attengono al medesimo provvedimento.
Precede nella trattazione il ricorso incidentale in quanto concerne la sentenza non definitiva che
ha accertato il soggetto obbligato al pagamento dell’obbligazione de qua, e quindi ancor prima
l’eccezione di tardività sollevata dal ricorrente principale – per il suo carattere logicamente
pregiudiziale – che, ad avviso della Corte, non è fondata.
Il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, che è alla base
del sistema adottato dal codice di rito allo scopo di eliminare la possibilità di giudicati
contraddittori in una stessa causa, comporta invero che, una volta avvenuta la notificazione della
prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso

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realizzando, come sostenuto dal MAGNI, come previsto dall’art. 18, comma 3 della tariffa

processo (art. 333 c.p.c.) e perciò, nel caso del ricorso per cassazione, con l’atto contenente il
controricorso (art. 371 c.p.c.).
Ed anche se questa modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al
primo si converte, a prescindere dalla forma assunta, e pur se proposto con atto a sè stante, in

comunque, condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni risultante dal combinato
disposto delle due norme su citate, indipendentemente dai termini – abbreviato od annuale – di
impugnazione. Dal che la conseguenza che, mentre è ammissibile l’impugnazione tardiva che
abbia rispettato il termine (relazionale) ex artt. 370/371 c.p.c., tale invece non è quella, pur
tempestiva ai sensi degli artt. 325 e 327 c.p.c., che non risulti però osservante del predetto
termine decadenziale di quaranta giorni (ancora cfr. Cass. n. 3738 del 1985).
In applicazione del richiamato orientamento giurisprudenziale, va rilevato che nella specie,
ricevuta la notifica del ricorso principale proposto dal MAGNI il 21.2.2008, le DE PONTI hanno
notificato il controricorso contenente il ricorso incidentale nei quaranta giorni a decorrere da tale
data, perchè spedito l’atto a mezzo posta il 31 marzo 2008, come risulta dalla relata. Dalle
annotazioni di cancelleria risulta, altresì, che in conformità a costante giurisprudenza, il difensore
delle controricorrenti (nonché ricorrenti incidentali) ha provveduto a costituirsi mediante iscrizione
a ruolo del controricorso con ricorso incidentale, notificato al ricorrente principale, il 18 aprile
2008, come da annotazione del cancellerie, giacchè alla data del 19.5.2008 risulta (ri)depositata
la copia notificata del controricorso, contente il ricorso incidentale.
Ne consegue l’ammissibilità e la procedibilità del ricorso incidentale.
Venendo ora all’esame del ricorso incidentale, con il quale — come già detto – viene impugnata la
sentenza non definitiva (fatta riserva dalle ricorrenti a verbale dell’udienza successiva alla
pronuncia: pag. 6 del ricorso incidentale), il primo motivo lamenta l’erroneo riferimento alle DE
PONTI del conferimento del mandato professionale, che di converso recava in calce la sola firma

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ricorso incidentale (cfr. già Cass. n. 3293 del 1992), la sua ammissibilità resta appunto,

di Carlo Mariani (doc. 3 del fascicolo di primo grado) e culmina nel seguente quesito di diritto:

“obbligato al pagamento delle parcelle professionali è colui che conferisce il mandato e nel cui
interesse viene compiuta l’attività professionale e non necessariamente colui il quale sottoscrive
l’incarico”.

giudici di merito abbiano ignorato la domanda delle DE PONTI, volta ad ottenere il risarcimento
dei danni per avere il professionista dissuaso potenziali acquirenti degli immobili, determinando
l’interruzione delle trattative. A corollario del mezzo è posto il seguente quesito di diritto: “coloro i

quali tengono comportamenti tali da dissuadere o allontanare dei potenziali acquirenti di un
complesso immobiliare, del quale sono a loro volta interessati all’acquisto (anche per realizzare
opere e edificatorie e conseguire il relativo compenso), commettono un fatto illecito ex art. 2043
c.c. nei confronti della proprietà”.
Osserva il collegio che al ricorso proposto avverso sentenza pubblicata, come nella specie, il 14
febbraio 2007, devono essere applicate le disposizioni di cui al capo 1 del D.Lgs. 2 febbraio 2006,
n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla
stregua della quale l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1 – 2
– 3 – 4, deve concludersi a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto.
I motivi nei quali si articola il ricorso incidentale, denunzianti violazioni di legge sostanziale e
processuale, non adempiono al citato obbligo, non si riportano al paradigma logico della
formulazione del quesito da parte del difensore (esperto della materia e portatore della soluzione
illustrata nel motivo), ma alla semplice sollecitazione all’esercizio della funzione nomofilattica e
cioè a quella generica istanza di decisione sulla esistenza della violazione denunziata nel motivo
che costituiva l’incombente del difensore ricorrente nella previsione anteriore alla novella del
2006.
La novità introdotta dalla riforma di cui al D.L. n. 40 del 2006, allo scopo di innestare un circolo

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Il secondo motivo del ricorso incidentale censura la sentenza non definitiva ritenendo che i

selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, sta invece nella
imposizione al patrocinante in cassazione dell’obbligo di sottoporre alla Corte – in forma di
interpello conclusivo della illustrazione del motivo – la propria finale, conclusiva, valutazione della
avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico-

E dall’adempimento di tale onere il ricorrente si è totalmente sottratto, là dove ha inteso
semplicemente, quanto inutilmente, richiedere alla Corte di pronunziare la retta interpretazione
delle norme in tema di adempimento dell’obbligazione nascente da mandato ovvero da
responsabilità per interruzione delle trattative, abdicando al proprio compito centrale, quello di
offrire alla Corte la propria interrogazione giuridica sulla cui correttezza sollecitare il “sì od il no”
della Corte stessa. In altri termini i quesiti posti sono tautologici risolvendosi in un
interrogativo circolare, che già presuppongono la risposta (in tal senso, cfr Cass. SS.UU. n. 28536
del 2008), in quanto dà per accertata una ricostruzione della fattispecie concreta — ossia che la
Corte abbia accertato che l’incarico al MAGNI fosse stato conferito dal MARIANI e che il primo si
fosse adoperato per fare fallire le trattative con potenziali acquirenti – difforme da quella accolta
dai Giudici del gravame che sul punto hanno confermato la decisione di primo grado (che aveva
ritenuto le DE PONTI le sole committenti dell’attività svolta dal professionista e non provata la
responsabilità precontrattuale del MAGNI); eventualmente, i motivi avrebbero dovuto piuttosto
censurare l’accertamento in fatto compiuto dai giudici che in sede di legittimità è denunciabile
sotto il profilo del vizio di motivazione e, ai sensi del citato art. 366 bis, deve concludersi con la
indicazione del fatto controverso e del vizio di motivazione denunciato, non essendo sufficiente
che il fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua esposizione.
Il ricorso incidentale non può, dunque, trovare ingresso per essere le censure inammissibilmente
dedotte.

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giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

Passando all’esame del ricorso principale, il primo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 190 c.p.c., in particolare circa il termine perentorio per il deposito delle
memorie conclusionali e le repliche in primo grado, in quanto pur non avendo le DE PONTI mai
obiettato alcunché sul quantum della parcella del MAGNI, limitata la loro domanda (oltre alla

professionali in capo ad un terzo, il MARIANI, o in subordine, la condanna al pagamento di £.
20.000.000, sulla base di un’offerta formulata dalle originarie attrici, mai accettata dal
professionista, il giudice del gravame, non richiesto dalle DE PONTI un accertamento sul valore
della prestazione dell’architetto, aveva determinato il compenso sulla base di conclusioni dalle
stesse assunte solo nella memoria ex art. 190 c.p.c., peraltro depositata tardivamente, tant’è che
il giudice di prime cure, correttamente, non ne aveva tenuto conto. In altri termini, la richiesta di
c.t.u. per la quantificazione dell’opera prestata dal MAGNI e la conseguente congruità della
parcella risultano formulate per la prima volta in sede di conclusionale, tardivamente depositata. Il
mezzo culmina nel seguente quesito di diritto: “Sono da ritenersi ammissibili comparse
conclusionali e di replica di parte depositate in atti oltre il termine disposto ex art. 190 c.p.c.?”.
Il secondo motivo del ricorso principale — con il quale è dedotta la violazione e falsa
applicazione delle norme in tema di presentazione delle domande tardive ex artt. 184 e 189 c.p.c.
per avere le DE PONTI solo in sede di comparsa conclusionale richiesto per la prima volta nuovi
mezzi di prova, in particolare una c.t.u. per quantificare l’opera dell’arch. MAGNI, senza
provvedere ad effettuare la istanza in sede di memoria istruttoria ovvero in sede di precisazione
delle conclusioni — pone il seguente quesito di diritto: “E’ da ritenersi ammissibile la proposizione
di nuovi mezzi istruttori introdotti per la prima volta solo in sede di comparsa conclusionale e
quindi oltre l’udienza di precisazione delle conclusioni?”.
Il terzo motivo del ricorso principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345
c.p.c. sui termini per la presentazione di domande nuove per avere le DE PONTI in primo grado

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richiesta di risarcimento danni) ad un accertamento dell’obbligo al pagamento delle prestazioni

contestato solo l’an debeatur della prestazione del MAGNI e mai il quantum debeatur, per cui
doveva ritenersi nuova — e come tale inammissibile con rilievo d’ufficio — la domanda proposta sul
punto dalle originarie attrici — al pari dei nuovi mezzi di prova articolati — nel secondo grado di
giudizio. Avrebbe, quindi, la corte di merito errato due volte, prima nell’ammettere nel fascicolo di

non poteva essere configurata come mera riduzione della originaria pretesa, ma come vera e
propria domanda nuova ex art. 345 c.p.c.. A corollario del motivo viene posto il seguente quesito
di diritto: “E’ da ritenersi ammissibile in sede di appello la proposizione di domande nuove, non

presenti negli atti di primo grado?”.
Con il quarto motivo del ricorso principale viene denunciata omessa, errata, contraddittoria
e perplessa motivazione su punto decisivo della controversia, in particolare per avere le DE
PONTI limitato le richieste iniziali ad ottenere la condanna di terzi al pagamento delle prestazioni
o, in subordine, sentirsi dichiarare tenute a pagare £. 20.000.000 sulla base di un presunto
accordo, che non era però rimasto dimostrato. Di tutto ciò il giudice di secondo grado non aveva
fornito alcuna motivazione, del tutto ignorato che la parcella non fosse stata mai contestata
ovvero fosse difforme da quanto prestato, oltre ad essere stata asseverata dall’Ordine degli
architetti. Prosegue il ricorrente che l’art. 2233 c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale
riguardo ai criteri di liquidazione del compenso spettante al professionista attribuendo rilevanza, in
primo luogo, alla convenzione che sia intervenuta tra le parti, in difetto, alla tariffa o agli usi e, in
ulteriore subordine, rimettendone la determinazione al giudice, previo parere dell’associazione
professionale e nella specie era stata depositata copia della parcella, vistata dall’Ordine, di cui il
giudice del gravame non aveva tenuto conto, senza fornirne alcuna motivazione.
I quattro mezzi sopra illustrati sono da trattare congiuntamente in quanto, seppure sotto diversi
profili, si tratta di doglianze che presuppongono l’analisi del tenore della originaria domanda

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causa atti e documenti ritenuti inammissibili in primo grado e poi nell’accogliere una domanda che

attorea, ai fini della ammissibilità delle domande (ri)proposte nei gradi successivi. Essi non sono
da accogliere.
Nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice del merito
non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tenere conto, piuttosto, del

dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonché del provvedimento richiesto in
concreto, senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia
alla richiesta, e di non sostituire d’ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta. Ove
tale principio sia violato – e, quindi, venga denunziato un errore in procedendo, quale la pronunzia
su di una domanda che si afferma diversa da quella inizialmente proposta – la Corte di cassazione
ha il potere – dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali
e, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti (da ultimo, Cass. SS.UU. n. 8077 del
2012).
Ciò precisato, nella specie, secondo la tesi prospettata da parte ricorrente le difese articolate dalle
DE PONTI sul quantum della prestazione, pacificamente da lui resa, costituirebbero domanda
nuova, avanzate solo con il deposito di una tardiva comparsa conclusionale, per cui non avrebbe
dovuto essere esaminata neanche in appello: ciò non corrisponde al vero.
Nell’atto di citazione le DE PONTI hanno agito nei confronti del MAGNI chiedendo in principaliter
l’accertamento che nulla era al medesimo da loro dovuto ed — in via subordinata — riconoscere il
compenso nell’importo di £. 20.000.000.
Dunque, non risponde al vero quanto assume la parte odierna ricorrente, secondo cui le originarie
attrici non avrebbero contestato il conteggio fatto dal professionista, giacchè la stessa
connessione di tale difesa con la domanda subordinata rende, semmai, implicita la contrarietà
delle stesse al computo del compenso preteso dal MAGNI; deve ritenersi formalmente e
sostanzialmente corretta la soluzione interpretativa fornita nella sentenza impugnata, la quale va

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contenuto sostanziale della pretesa così come desumibile dalla situazione dedotta in causa e

giudicata esente da vizi in procedendo nell’attività d’interpretazione e di qualificazione della
domanda (in tal senso, Cass. 9 novembre 2012 n. 19502).
Tanto essendosi accertato in fatto, le conseguenze che con la sentenza impugnata se ne sono
tratte in diritto risultano senz’altro corrette, alla luce dei principi enunciati nella sentenza suddetta.

sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito,
che evidentemente, nel caso in esame, ne ha ravvisato la necessità, andando sul punto di
contrario avviso rispetto al giudice di prime cure, in considerazione delle reciproche contestazioni
delle parti, alla luce del materiale probatorio già acquisito; ed una tale valutazione non è
censurabile in questa sede (Cass. 21 aprile 2010 n. 9461; Cass. 5 luglio 2007 n. 15219). La
consulenza tecnica, inoltre, non soggiace al regime delle preclusioni previsto dal codice di rito per
l’assunzione di mezzi istruttori sicché può essere ammessa senza che sia indicata specificamente
negli scritti difensivi o comunque nell’atto introduttivo (così già Cass. n. 11169 del 1993 e Cass. n.
3650 e n. 5702 del 1985 in materia di rito del lavoro); in altri termini, può essere disposta d’ufficio
dal giudice in qualsiasi momento, ed anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, quale quello
della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, di cui all’ari 2697 c.c. (Cass. n. 310
del 1998); il giudizio sulla necessità ed utilità di farvi ricorso e, quindi, sulla deduzione del fatto
posto a fondamento della domanda e sulla necessità dell’intervento del consulente per le sue
cognizioni tecniche, rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, il cui esercizio si
sottrae al sindacato di legittimità anche quando manchi un’espressa motivazione al riguardo,
dovendo ritenersi implicita nell’ammissione del mezzo istruttorio la valutazione della sua
opportunità (Cass. n. 10739 del 1996 e 10658 del 1999 sul potere del giudice del lavoro, in
genere, di ammettere mezzi di prova in deroga).
Indiscussa e indiscutibile tale premessa, va rilevato, nella specie, che la liquidazione d’ufficio d’un
corrispettivo d’opera non corrispondente a quello domandato (quand’anche in via riconvenzionale)

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Infatti la consulenza tecnica d’ufficio è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria),

ma inferiore ad esso, non deve essere oggetto di una specifica richiesta della parte attrice, sol
che si consideri: che le parti non hanno l’onere di domandare che il giudice eserciti i propri poteri
d’ufficio (per l’ovvia considerazione che proprio in quanto tali detti poteri sono esercitabili senza
necessità di domanda); che in ogni caso il giudice ha il potere di accogliere la domanda per un

pari del difetto della relativa prova, impone non già il rigetto della domanda, ma la liquidazione del
compenso officio iudicis, in base all’art. 2225 c.c..
D’altra parte, la motivazione della sentenza impugnata, secondo la quale il giudice deve accertare
la fondatezza della domanda anche alla stregua del materiale probatorio che egli è in grado di
acquisire, pur al di fuori dell’iniziativa della parte, e può fare ricorso alla consulenza tecnica sia su
istanza della parte che d’ufficio, non è, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, nè illogica
nè contraddittoria.
Di qui dunque la infondatezza dei motivi di ricorso, avendo peraltro nella specie correttamente il
giudice fatto ricorso alle tariffe professionali per la determinazione del compenso, in assenza di
una convenzione delle parti, la cui congruità è stata accertata a mezzo di consulenza tecnica di
ufficio, non avendo rilievo alcuno il parere di congruità dell’Ordine professionale.
Con il quinto motivo il ricorrente principale lamenta violazione e falsa applicazione di
legge, nonché omessa, errata, contraddittoria e perplessa motivazione, relativamente alla
determinazione del compenso professionale con riferimento al criterio computo metrico estimativo
dell’opera. In particolare, assume il ricorrente che il giudice di appello avrebbe confuso il concetto
di cubatura con quello di computo metrico estimativo e quello di costi di costruzione prevedibili
con quello di contributo ai costi di costruzione richiesto dall’amministrazione comunale. Aggiunge
che nel progetto depositato presso l’Amministrazione comunale — contenente un computo metrico
estimativo ai fini fiscali – non aveva conteggiato nei costi di costruzione i cc.dd. spazi meramente
tecnici, nonché altri, per favorire il committente, che invece andavano calcolati in parcella, oltre ad

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importo minore rispetto a quello richiesto; che la mancanza di convenzione sul corrispettivo, al

essere stata attribuita diversa considerazione al piano interrato da utilizzare per la realizzazione
dei posti auto, che non pagano oneri, ma hanno un costo di costruzione reale.
Con il sesto motivo il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione di
legge, nonché omessa, errata, contraddittoria e perplessa motivazione in ordine ai principi relativi

individuato il costo di costruzione di riferimento in £. 1.500.000.000, in alcun modo esplicitato ì
calcoli che avrebbero portato all’importo riconosciuto. Lamenta il MAGNI che il giudice di secondo
grado non abbia tenuto in alcun conto tutta l’attività svolta dal professionista precedentemente,
mediante redazione di progetti che sono stati protocollati presso l’amministrazione pubblica, di cui
poi fa seguire l’elencazione, per la complessiva somma che calcola in €. 54.996,95.
I mezzi cinque e sei — da trattare congiuntamente, per la loro stretta connessione, vertendo sulla
medesima questione dell’asserita erronea applicazione della tariffa professionale – sono
inammissibili.
Come già esposto con riferimento al ricorso incidentale, essendo la sentenza impugnata
depositata il 14.2.2007, il presente ricorso per cassazione è soggetto al regime dei quesiti di
diritto delineato dall’allora vigente ad. 366 bis c.p.c.. Posta tale premessa, la denuncia di
violazione di legge a conclusione dell’illustrazione di dette censure non riporta alcun quesito di
diritto, per cui sono da ritenere inammissibilmente dedotte perché non delimitate dalla concreta
formulazione del quesito stesso.
Ciò posto, quanto al vizio dì motivazione, si osserva che la Corte territoriale, con riferimento ai
criteri di liquidazione delle prestazioni del professionista che non seguono lo sviluppo completo
dell’opera, ma si limitano solo ad alcune funzioni, nella specie la progettazione al fine
dell’ottenimento dell’autorizzazione amministrativa alla realizzazione del complesso edilizio — non
comprese le attività di direzione dei lavori, di collaudo e liquidazione – ha ritenuto corretta
l’interpretazione dell’ad. 18, comma 3, della tariffa professionale (legge n. 143 del 1949), resa dal

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all’applicazione del tariffario professionale di settore per non avere il giudice distrettuale,

c.t.u. che ha determinato gli onorari del professionista sulla base del prevedibile costo delle
opere, e non già sul valore dell’immobile una volta realizzato (come richiesto dal Magni),
applicando le percentuali fissate (dalle tabelle), in mancanza di consuntivo dell’opera, a detto
importo, ridotto, rispetto a quello ottenuto dal c.t.u., tenendo conto della cubatura quantificata per

San Giovanni, che era notevolmente inferiore rispetto a quella riportata in parcella, tale da
comportare costi di costruzione preventivabili in £. 1.500.000.000. Orbene il convincimento della
Corte distrettuale è del tutto conforme all’orientamento consolidato di questa Corte, al quale si
aderisce pienamente, secondo cui in caso di prestazioni parziali dell’ingegnere o dell’architetto,
relative ad opere per le quali il compenso è dovuto a percentuale, la liquidazione va fatta, a norma
dell’art. 18 della L. n. 143 del 1949, calcolando le aliquote della tabella B allegata, relativa alle
opere parziali, non già in relazione diretta al valore dell’opera (Cass. 26 gennaio 1982 n. 505;
Cass. 7 febbraio 1989 n. 736). Il giudice del gravame, inoltre, con apprezzamento di fatto
congruamente motivato e privo di vizi logici, ha escluso che il valore preventivabile dei costi di
costruzione fosse da riferire alla ‘nota pro forma’ redatta dal MAGNI, come da questi sostenuto, in
assenza di una specifica prova al riguardo della realizzazione dell’opera nei termini di cui al
progetto in questione ed atteso che la volumetria del complesso edilizio era difforme rispetto a
quella indicata nel progetto depositato presso il Comune.
Premesso quindi che tali statuizioni non sono state specificatamente censurate dal ricorrente, si
osserva che la tesi di quest’ultimo in ordine al reale valore dell’opera progettata si risolve in una
diversa prospettazione di una circostanza di fatto, come tale inammissibile in questa sede.
Conclusivamente sia il ricorso principale sia quello incidentale vanno respinti.
La reciproca soccombenza determina l’integrale compensazione delle spese tra tutte le parti.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta;

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gli oneri urbanistici nel progetto depositato dallo stesso professionista presso il Comune di Sesto

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 7 novembre 2013.

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