Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4195 del 20/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 4195 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA
sul ricorso 14100-2010 proposto da:
SCHIN1NA’ SALVATORE SCHSVT56A0311163V, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo
studio dell’avvocato PALLINI MASSIMO, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2012
4260

REGIONE SICILIANA

ASSESSORATO REGIONALE ALLA

PRESIDENZA,

DIPARTIMENTO DEL

SICILANA

ASSESSORATO REGIONALE AGRICOLTURA E

FORESTE, in persona

dei

PERSONALE;

REGIONE

legali rappresentanti pro

Data pubblicazione: 20/02/2013

tempore,

rappresentati

e difesi

dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano
in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI, 12 (atto di
costituzione del Z5/07/2010);
– resistenti con mandato – –

di CATANIA, depositata il 19/06/2009 R.G.N. 519/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/12/2012 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato PALLINI MASSIMO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

avverso la sentenza n. 440/2009 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Schininà Salvatore, premesso di avere lavorato alle dipendenze
della Regione Siciliana – Assessorato Agricoltura e Foreste, impugnò

fatti di rilevanza penale in ordine ai quali era intervenuta sentenza
penale di patteggiamento, instando per la declaratoria di nullità ed
illegittimità del provvedimento impugnato, con conseguente
applicazione della tutela reale.
Il Giudice adito respinse le domande.
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 21.5 – 19.6.2009,
nel radicato contraddittorio con la Regione Siciliana – Assessorato
Regionale Agricoltura e Foreste e con la Regione Siciliana Assessorato Regionale alla Presidenza, Dipartimento del Personale,
rigettò il gravame proposto dallo Schininà, osservando, per quanto
ancora qui specificamente rileva, quanto segue:
– poteva ritenersi che, proprio con l’accettazione della pena da
parte del dipendente, era derivata all’Amministrazione la certezza
circa la riferibilità allo stesso dei fatti, anche in considerazione della
nuova rilevanza attribuita anche ai fini civili alla sentenza di
patteggiamento, sia perché nel caso di specie la pronuncia emessa
ai sensi dell’art. 444 cpp aveva svolto una puntuale disamina dello
svolgimento del fatto;
– dalle acquisizioni istruttorie era emersa la esistenza di elementi
univocamente idonei a comprovare la incidenza diretta della gravità
del fatto attribuito al dipendente nel rapporto di fiducia tra lo stesso e

la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio irrogatagli per

il datare di lavoro; andava infatti rilevata la gravità del fatto
contestato e tenuto conto che, neanche in sede disciplinare, il
lavoratore aveva fornito alcuna adeguata e convincente

era stato trovato in possesso, deducendo soltanto argomentazioni
generiche e, come tali, inidonee a scriminare la condotta posta in
essere e attribuitagli;

non poteva dubitarsi della estrema gravità del fatto attribuito,

anche penalmente, allo Schininà, in ordine al quale lo stesso aveva
del resto prestato il consenso alla sentenza emessa ai sensi dell’ad.
444 cpp;

non poteva ritenersi superato il termine legislativamente previsto

per la conclusione del procedimento disciplinare, che doveva essere
determinato sommando quello previsto per l’inizio del procedimento
disciplinare (180 giorni in base alla legge n. 97/01) e quello previsto
per la conclusione del procedimento medesimo (180 giorni ex ad. 5
legge n. 97/01); nella specie i 360 giorni complessivamente risultanti
andavano fatti decorrere dal 27.10.2001 (data di trasmissione
all’Amministrazione, da parte della cancelleria del giudice che aveva
emesso la sentenza penale, del testo integrale di detta sentenza con
l’attestazione del suo passaggio in giudicato), cosicché il
procedimento doveva ritenersi tempestivamente concluso alla data
del provvedimento di destituzione, emesso il 1°,8.2002.

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giustificazione in ordine al possesso della somma di denaro di cui

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale Schininà
Salvatore ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi
e illustrato con memoria.

Foreste e con la Regione Siciliana — Assessorato Regionale alla
Presidenza, Dipartimento del Personale si sono costituiti a mezzo
dell’Avvocatura Generale dello Stato al fine dell’eventuale
partecipazione all’udienza di discussione, nella quale peraltro non
hanno preso parte.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 5,
comma 4, e 10, comma 3, legge n. 97/01, deducendo che
erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che dovesse tenersi
conto della sommatoria del termine entro cui il procedimento
disciplinare deve essere iniziato (termine peraltro erroneamente
ritenuto di 180 giorni anziché di 90) con quello di conclusione del
procedimento medesimo, laddove l’ad. 5, comma 4, legge n. 97/01
fa riferimento, quale dies a quo, al termine di inizio o proseguimento;
per contro, calcolandosi il termine finale con decorrenza dalla data di
notifica della contestazione disciplinare (1° dicembre 2001), lo stesso
avrebbe dovuto ritenersi ampiamente decorso alla data del
provvedimento di destituzione (1° agosto 2002).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1, 2
e 10, comma 1, legge n. 97/01, nonché dell’ad. 55, comma 4, dl.vo
n. 165/01, deducendo che la Corte territoriale aveva valutato la

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Gli intimati Regione Siciliana — Assessorato Regionale Agricoltura e

censura relativa alla non conformità della sanzione disciplinare ai
criteri di proporzionalità ed adeguatezza dei fatti addebitategli non in
base agli elementi probatori rinvenuti all’esito dell’istruttoria

patteggiamento; e ciò benché, alla stregua della sentenza della
Corte Costituzionale n. 394/2002, non potessero essere attribuite nel
procedimento disciplinare efficacia probatoria e diretta opponibilità
alle sentenze di patteggiamento emanate, come nella specie, prima
dell’entrata in vigore della legge n. 97/01.
2. In ordine al primo motivo di ricorso giova ricordare che l’art. 10,
comma 3, legge n. 97/01 aveva previsto che “l procedimenti
disciplinari per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in
vigore della presente legge devono essere instaurati entro centoventi
giorni dalla conclusione del procedimento penale con sentenza
irrevocabile”; la Corte Costituzionale, con sentenza n. 186 del 24

giugno 2004, ha tuttavia dichiarato l’illegittimità costituzionale del
suddetto comma, nella parte in cui prevedeva, per i fatti commessi
anteriormente alla data di entrata in vigore della legge,
l’instaurazione dei procedimenti disciplinari entro centoventi giorni
dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile
di condanna, anziché entro il termine di novanta giorni dalla
comunicazione della sentenza all’amministrazione o all’ente
competente per il procedimento disciplinare.
Pertanto, per effetto della suddetta sentenza della Corte
Costituzionale,

la

disciplina

inerente

all’instaurazione

del

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disciplinare, ma esclusivamente sulla base della sentenza di

procedimento disciplinare, anche per fatti commessi anteriormente
alla data di entrata in vigore della legge n. 97/01, risulta analoga
quella dettata dall’art. 5, comma 4, della medesima legge; tale ultima

e che costituisce la fonte normativa di riferimento, nel testo vigente
all’epoca dei fatti di causa, stabilisce che “Salvo quanto disposto
dall’articolo 32-quinquies del codice penale, nel caso sia pronunciata
sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei
dipendenti indicati nel comma 1 dell’articolo 3, ancorché a pena
condizionalmente sospesa, l’estinzione del rapporto di lavoro o di
impiego può essere pronunciata a seguito di procedimento
disciplinare. Il procedimento disciplinare deve avere inizio o, in caso
di intervenuta sospensione, proseguire entro il termine di novanta
giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione o
all’ente competente per il procedimento disciplinare. 11 procedimento
disciplinare deve concludersi, salvi termini diversi previsti dai
contratti collettivi nazionali di lavoro, entro centottanta giorni
decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento, fermo quanto
disposto dall’articolo 653 del codice di procedura penale”.

La questione sollevata con il motivo all’esame è già stata affrontata
dalla giurisprudenza di questa Corte, che l’ha risolta con
l’affermazione del principio secondo cui, in tema di provvedimento
disciplinare (nella specie, destituzione) nei confronti di dipendenti
pubblici condannati con sentenza penale irrevocabile per i medesimi
fatti addebitati nel procedimento disciplinare, la disposizione dell’ad.

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disposizione, della quale il ricorrente lamenta l’erronea applicazione

5, comma 4, della legge n. 97 del 2001, secondo la quale “il

procedimento disciplinare deve concludersi entro 180 giorni
decorrenti dal termine di inizio o proseguimento”, si interpreta nel

disciplinare è stato concretamente iniziato o proseguito, e non dal
momento successivo in cui sarebbe venuto a maturazione il diverso
termine di giorni 90 previsto per l’inizio o il proseguimento (cfr, Cass.,
n. 15320/2007; conf. Cass., n. 15270/2012).
Al riguardo è stato infatti osservato che la ricordata disposizione
richiamata prevede, anzitutto, un termine per l’avvio o per il ripristino
del procedimento disciplinare, assegnando all’amministrazione 90
giorni dalla comunicazione della sentenza per provvedervi,
stabilendo poi un diverso termine per la conclusione del
procedimento.
Ognuno di tali termini riflette i contrapposti interessi delle parti: quello
dell’amministrazione ad un ponderato esame delle risultanze del
giudicato penale prima di iniziare (o riavviare) il procedimento e
quello del lavoratore a non essere assoggettato all’iniziativa
disciplinare oltre un periodo ritenuto congruo dalla legge; pertanto
l’amministrazione è libera di muoversi nell’ambito temporale del
termine di avvio del procedimento utilizzandolo interamente, ma, in
ogni caso, nel momento in cui assume (o riprende) l’iniziativa
disciplinare mostra di aver ritenuto sufficiente il tempo trascorso ai
fini dell’esame di tutti gli elementi rilevanti; pertanto può affermarsi
che, aperto il procedimento disciplinare, gli interessi alla cui

senso che detto termine decorre dal momento in cui il procedimento

soddisfazione mira la previsione del termine per avviarlo sono
interamente soddisfatti.
Il tipo di interessi alla cui realizzazione mira il termine di conclusione

termini si cumulassero l’amministrazione, al fine di concludere il
procedimento disciplinare, si gioverebbe non solo del termine
espressamente previsto a tale scopo, ma anche del periodo da essa
già utilizzato (o che le sarebbe stato possibile utilizzare) al diverso
fine di decidere sull’avvio della procedura. La sommatoria dei due
termini non risponderebbe in definitiva alle diverse rationes delle
rispettive norme di previsione.
La norma prevede che il procedimento debba concludersi entro
centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento
e tale espressione linguistica non è chiarissima; parlare di decorso
dal termine di inizio (o di proseguimento) può significare infatti che il
decorso coincida con l’inizio o il proseguimento dell’iniziativa
disciplinare, ma può anche significare che esso coincida con
l’esaurimento del termine per l’inizio o il proseguimento; parlare di
decorso “da” un termine di durata è espressione ambigua, proprio
perché non consente di fissare con esattezza il punto del tempo a
cui agganciare la partenza del termine di cui si vuoi stabilire il
momento iniziale.
Ma, proprio perché l’interpretazione letterale non consente risultati
appaganti, occorre utilizzare il criterio sistematico, che interroga la
ragione (nel senso di ratto) della disposizione e permette di estrarne,

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del procedimento sono invece sostanzialmente diversi; se i due

nei termini di cui s’è detto, il principio regolatore; alla luce del quale
non può esservi dubbio, per quanto chiarito in precedenza circa la
loro diversa funzione, che i due termini di 90 e 180 giorni previsti

Né a diverse conclusioni potrebbe condurre l’orientamento
ermeneutico formatosi con riferimento alle disposizioni della
precedente normativa di cui alla legge n. 19/90, posto che, in
relazione a quest’ultima, la sommatoria dei due termini era
chiaramente desumibile dal testo legislativo.
Il Collegio condivide la suddetta interpretazione della normativa di
riferimento, dalla quale la Code territoriale si è invece discostata,
seguendo un difforme orientamento ermeneutico; il motivo all’esame
è dunque fondato.

3. Alla luce del già avvenuto accertamento nelle fasi cautelare e di
merito della data di inizio del procedimento disciplinare (nota del
12.11.2001, notificata all’interessato il 1°.12.2001) e di conclusione
del medesimo (provvedimento emesso il 1°.8.2002 e comunicato
all’interessato il 13.8.2002), l’errore in diritto da parte della Code
territoriale risulta decisivo, posto che il termine di 180 giorni (nella
specie abbondantemente decorso alla data di irrogazione della
sanzione), è di carattere perentorio, stante l’inequivoca locuzione
utilizzata (“il procedimento disciplinare deve concludersi . “), e la
sua inosservanza comporta quindi l’estinzione del procedimento e
l’inefficacia del provvedimento successivamente adottato; il che
determina l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.

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dall’ad. 5, comma 4, legge n. 97101 non sono cumulabili.

4. In definitiva il ricorso merita accoglimento nei termini anzidetti,
con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione
alla censura accolta e rinvio al Giudice designato in dispositivo, che

provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il
secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura
accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Catania
in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2012.

pronuncerà conformandosi ai suindicati principi di diritto e

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