Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4193 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. I, 21/02/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 21/02/2011), n.4193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24038-2008 proposto da:

B.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 35, presso l’avvocato D’AMATI

DOMENICO, rappresentato e difeso dagli avvocati CAMPESAN ALDO, MONDIN

CLAUDIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositato il

23/04/2008, n. 692/07 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2011 dal Presidente Dott. SALVAGO Salvatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. ZENO Immacolata che ha concluso per improponibile,

inammissibilità, in subordine accoglimento del ricorso per quanto di

ragione.

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Venezia, con decreto del 23 aprile 2008 ha respinto la domanda di B.G. di indennizzo L. n. 89 del 2001, ex art. 2 per la durata irragionevole del processo di equa riparazione intrapreso davanti alla Corte dei Conti con ricorso del 17 dicembre 1997 e definito con sentenza di rigetto del 7 giugno 2006: ciò perchè il ricorrente era consapevole dell’infondatezza della sua pretesa trattandosi di un’iniziativa collettiva per ottenere alcuni benefici retributivi introdotti per il personale in servizio, azionata quando già la questione era stata ripetutamente risolta dalla giurisprudenza amministrativa in senso a lui sfavorevole ed al solo scopo di ottenere un intervento legislativo.

Che il ricorrente, deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione CEDU, nonchè artt. 102 e segg.

Cost., art. 111 Cost. ha censurato la decisione per 9 motivi con i quali ha insistito per la durata irragionevole del precedete giudizio di equa riparazione e per il proprio diritto ad ottenere l’indennizzo non pregiudicato dall’essere in detta controversia rimasto soccombente. E che il Ministero della Economia e Finanze ha resistito con controricorso,osserva:

a) che il ricorso è ammissibile essendo i quesiti di diritto conformi al disposto dell’art. 366 bis c.p.c.;

b) che nel merito è fondato,avendo questa Corte ripetutamente affermato in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo,che il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni coinvolte nel processo, ad eccezione del caso in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza. Dell’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve dare prova puntuale l’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – nella specie di richiesta di riconoscimento di un trattamento pensionistico – sia stata dichiarata manifestamente infondata (Cass. 3938/2010; 8513/2009; 25595/2008);

c) che la Corte di appello si è invece limitata a ritenere l’infondatezza o la manifesta infondatezza della pretesa fatta valere dal ricorrente davanti alla Corte dei Conti traendo questo risultato soprattutto dal fatto che identica questione era stata definita già da qualche anno dalla stessa Corte dei Conti con numerose decisioni,emesse anche dalle Sezioni Unite, le quali avevano sistematicamente negato la spettanza del beneficio richiesto; che la domanda era stata proposta unitamente, a numerose altre nello stesso periodo con modalità seriali, su di un modulo prestampato e veicolato dalle associazioni di categoria; nonchè nell’inerzia dimostrata dal ricorrente che non risulta avere sollecitato la trattazione del giudizio.

d) il decreto impugnato va pertanto cassato e non essendo necessari ulteriori accertamenti il Collegio deve decidere il giudizio nel merito:confermando il termine di durata ragionevole del procedimento di primo grado individuato dalla CEDU in tre anni, poichè nè le parti nè la sentenza impugnata hanno prospettato la sussistenza di specifiche ragioni per discostarsene; sicchè la durata eccedente tale termine, essendo nel caso il giudizio presupposto iniziato il 17 dicembre 1997 e definito il 7 giugno 2006, deve essere determinata in un 5 anni, mesi 5, g. 20.

Questa Corte, poi, considera che la modestia della posta in giuoco ed il mancato sollecito della trattazione o della definizione del processo presupposto da parte dell’interessato,giustifichi uno scostamento rispetto al parametro di mille Euro per anno di non ragionevole durata del processo predicato dalla CEDU, ma non al di sotto della soglia di 750 Euro, che appare invece alla Corte generalmente adeguato in particolare nei casi – come quello in considerazione – in cui la domanda di giustizia risulti accolta in modo definitivo in un ulteriore periodo che non superi quello di altri tre anni, oltre il quale sia invece giustificato ritenere che l’irragionevole durata del processo abbia comunque provocato un pregiudizio risarcibile come danno non patrimoniale nella misura di almeno mille per ogni anno di ulteriore irragionevole protrazione del processo.

Al B. va conclusivamente liquidato un indennizzo che dati gli elementi avanti evidenziati dalla Corte di appello, viene determinato nella misura complessiva di Euro 4.700 con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione,cassa il decreto impugnato e,decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere a B.G. la somma di Euro 4.700,00 con gli interessi dalla data della domanda; lo condanna inoltre al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito in complessivi Euro 875,00, di cui Euro 380,00 per diritti e 445,00 per onorari, e delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 600,00, di cui Euro 500,00 per onorari, unitamente al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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