Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4192 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. III, 22/02/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 22/02/2010), n.4192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13785/2005 proposto da:

COMUNE di TRINO (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore

Sig. R.G. elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato GROSSI Dante, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati POLLINI FRANCESCO,

CASALINI DARIO con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE di CRESCENTINO, COMUNE di BALZOLA, COMUNE di PALAZZOLO

VERCELLESE, COMUNE di FONTANETTO PO;

– intimati –

sul ricorso 17646/2005 proposto da:

COMUNE di CRESCENTINO, COMUNE di BALZOLA, COMUNE di FONTANETTO PO,

COMUNE di PALAZZOLO VERCELLESE, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA B. TORTOLINI 34, presso lo studio dell’avvocato PAOLETTI NICOLO’,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati MONTI PAOLO,

GREPPI GIUSEPPE con delega in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrenti –

contro

COMUNE di TRINO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2201/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Sezione Prima Civile, emessa il 10/12/2004; depositata il 30/12/2004;

R.G.N. 3060/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/11/2009 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato NICOLO’ PAOLETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale assorbimento del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 12 novembre 2002 il Tribunale di Vercelli, adito in opposizione ai decreti ingiuntivi emessi a favore del Comune di Trino, rigettava la opposizione ad essi proposta dai Comuni di Crescentino, Balzola, Palazzolo Vercellese, Fontanetto Po.

I decreti in questione erano stati richiesti dal Comune di Trino, il quale, premesso che aveva conferito l’incarico all’ing. T. nell’ambito una procedura amministrativa volta alla costituzione del consorzio idrico obbligatorio tra utenti della (OMISSIS), con l’adesione dei Comuni interessati, asseriva di essere creditore nei loro confronti delle somme indicate e versate per il compenso al professionista.

2. – Con sentenza del 30 dicembre 2004, su appello dei Comuni opponenti, la Corte di appello di Torino riformava la appellata sentenza, compensando tra le parti del spese del giudizio.

Avverso questa decisione propone ricorso il Comune di Trino con un unico articolato motivo.

Resistono con controricorso i Comuni interessati, che propongono ricorso, incidentale che sembra condizionato, affidandosi a tre motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..

1. – Osserva il Collegio che, come già ritenuto dal giudice dell’appello, il punto centrale della questione consiste nel decidere se nel caso in esame sussista un valido contratto di mandato tra i Comuni, attuali resistenti e il Comune di Trino.

Al riguardo, con un unico e articolato motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., art. 324 c.p.c., art. 112 c.p.c., art. 1703 c.c., e segg., art. 1299 c.c., art. 1203 c.c., art. 2036 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5) il Comune ricorrente assume che il giudice dell’appello non abbia tenuto conto che i Comuni, attuali resistenti, non avevano impugnato in appello la sentenza di primo grado laddove essa ha ritenuto valido e vincolante il contratto perfezionato dal Comune di Trino con l’ing. T. e, comunque, laddove la sentenza ha ritenuto essere vincolante sul punto la precedente pronuncia del Tribunale di Vercelli (sent. n. 220 R.G. 1048/92 emessa in data 18 aprile 1997), passata in giudicato.

In quella pronuncia il Tribunale aveva evidenziato “come il T. ben possa pretendere il pagamento dell’intero suo credito dall’opponente, salvo ovviamente il diritto di quest’ultimo (n.d.r.

il Comune di Trino, ingiunto dal decreto emesso a favore del T.) di – rivalersi nei confronti degli altri Comuni interessati per l’ammontare delle rispettive quote, come evidenzia nella stessa parcella per cui è causa” (p. 4 e p. 11 ricorso).

2. – In punto di fatto, il Comune di Trino incaricò il professionista per l’elaborazione di preliminare progetto onde attuare la costituzione del consorzio idrico obbligatorio della (OMISSIS).

I Comuni interessati aderivano alla proposta del Comune di Trino di nominare un tecnico, dando espressamente “atto che la spesa documentale sarà sostenuta dal Comune di Trino salva rivalsa dell’Amministrazione deliberante” (p. 3 ricorso).

La circostanza, in effetti, non risulta contestata (nemmeno in appello), ma ne fu contestata la sua incidenza giuridica, in quanto, secondo i Comuni opponenti, poi appellanti, gli atti da essi provenienti non erano idonei ad impegnare negozialmente i rispettivi enti, trattandosi di atti interni preparatori, mentre nessun atto formale era intervenuto da parte dell’organo (il Sindaco) istituzionalmente deputato a manifestare a terzi la volontà negoziale dell’ente territoriale (p. 5 sentenza impugnata, in narrativa).

Il Tribunale, invece, aveva qualificato il rapporto tra il Comune di Trino e gli altri Comuni come mandato senza rappresentanza e riteneva che, in mancanza di forma scritta richiesta a pena di nullità per i contratti della P.A., doveva ritenersi perfezionato il mandato in base all’incontro delle volontà esternate con le delibere, provenienti da organi diversi dal Sindaco, a loro volta accettate dal Comune di Trino (p. 4 sentenza impugnata, in narrativa).

3. – Il giudice dell’appello ha affermato, contrariamente a quanto deciso dal Tribunale, che le dichiarazioni di volontà onde consentire il perfezionamento del contratto di mandato devono “provenire dall’organo dotato di rappresentanza esterna, e cioè (trattandosi di Comuni) non dalla Giunta o dal Consiglio comunale, ma dal Sindaco, che non risulta avvenuto” (p. 6 sentenza impugnata).

Osserva il Collegio che il giudice dell’appello ha ricostruito, adeguatamente motivando, il rapporto giuridico intercorso tra le parti, per cui il richiamo al giudicato non è conferente sia laddove esso è riferito alla sentenza di primo grado, censurata dai Comuni appellanti proprio sull’inesistenza del vincolo negoziale, sia laddove esso è riferito alla sentenza precedente con cui il Tribunale aveva di fatto ed in sostanza accertato che l’ing. T. era creditore del Comune di Trino.

Infatti, la ragione della decisione impugnata si fonda sulla circostanza che “non risulta nè è addotto che l’incarico negoziale al Comune di Trino, necessariamente richiedente la forma scritta, trattandosi di un contratto concluso da enti pubblici, sia stato formalizzato attraverso un incontro di volontà intervenuto tra i rispettivi Sindaci” (p. 6 sentenza impugnata).

Al riguardo, ha precisato il giudice dell’appello che la “questione qui dibattuta è se il Comune di Trino Vercellese, il quale ha pagato l’intero compenso, abbia titolo a rivalersi pro quota nei confronti degli altri Comuni qui appellanti”, per cui tale titolo andava individuato in astratto in un mandato, “peraltro nullo per difetto di forma scritta o, in una qualche previsione normativa o in un legittimo atto amministrativo che consentisse ai Comuni attuali appellanti di utilizzare gli organi di altro Comune (Trino Vercellese) con diritto di quest’ultimo a rivalersi dei relativi costi ed esborsi: fondamento giuridico questo neppure concretamente indicato dagli appellanti e comunque inesistente, non potendo a tale fine valere la generica e programmatica previsione (che riguardava i rapporti tra Regione ed enti territoriali minori e non tra Comune e Comune) di cui al vecchio testo dell’art. 118 Cost., comma 3” (p. 7-8 sentenza impugnata).

Questa “ricostruzione” giuridica del rapporto, peraltro, è conforme a giurisprudenza di questa Corte, da cui non vi sono ragioni per discostarsi, secondo la quale, ed intervenendo su fattispecie analoghe, è irrilevante la esistenza di una deliberazione, con la quale l’organo esistenza di una deliberazione, con la quale l’organo collegiale dell’ente abbia autorizzato il conferimento di un incarico al professionista, in quanto detta deliberazione non si configura come proposta contrattuale nei confronti del professionista da parte dell’ente, ma come atto ad efficacia interna che ha solo natura autorizzatoria e ha quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimere la volontà dell’ente (Cass. n. 14570/04):

in questo caso il Sindaco, nè sono gli atti negoziali della P.A. surrogabili con comportamenti concludenti (Cass. n. 15296/07, proprio in una fattispecie relativa a contratto di opera professionale stipulato da un Comune Cass. n. 17650/07).

Quindi, il motivo sotto questo profilo va disatteso. Nè rileva l’istituto configurato dalla dottrina del c.d. avvalimento, in quanto esso concerne i rapporti tra gli enti territoriali, i quali, per l’espletamento della loro funzione, si avvalgono dell’attività compiuta dagli uffici di altro ente, trasferendo ad organo dell’ente “altro” non la competenza ma semplicemente l’esercizio della stessa.

Così come indicato dalla dottrina amministrativista, questo istituto, comunque, nei suoi elementi costitutivi-soggettivi ed oggettivi, formali e sostanziali, non può prescindere dal sistema, anche ulteriormente aggiornato, che è inderogabile nel prevedere che, comunque, vi deve legge legittimato ad impegnare all’esterno l’ente e, nel caso in esame, questo soggetto (il Sindaco ratione temporis) non si è affatto esposto.

Nè si può parlare che vi siano stati “delega”, “procura” o” mandato” da parte dei Comuni opponenti (tutti e tre gli istituti hanno bisogno di essere posti in vita da soggetti legittimati ad hoc, che, nella specie, ripetesi, non si rinvengono).

E ciò a prescindere dal fatto che questo ulteriore profilo del motivo non è auotosufficiente in riferimento ai Comuni (p. 17 ricorso), per cui è inammissibile, mentre sono ammissibili quello concernente l’azione di regresso o quella di surrogazione ex art. 1203 c.c., n. 3, del debitore solidale e quello dell’applicabilità dell’art. 2036 c.c., u.c..

4. – Questi ultimi profili, secondo i quali il Collegio dovrebbe scrutinare la sentenza di appello, vanno respinti per le seguenti argomentazioni.

Il profilo concernente l’eventuale azione di regresso e quello concernente l’azione di surrogazione ex art. 1203 c.c., n. 3, del debitore solidale vengono prospettati “nel caso in cui il Comune di Trino fosse stato effettivamente autorizzato a spendere il nome dei Comuni resistenti”.

Avendo respinto il primo profilo, ci si accorge facilmente che queste deduzioni non possono essere accolte, mentre il profilo dell’indebito arricchimento non viene coltivato nel testo del ricorso.

A nulla rileva, in proposito che sia passata in giudicato la sentenza del Tribunale di Vercelli, precedente a quella appellata, secondo cui la “debenza del Comune di Trino è stata ormai definitivamente accertata con sentenza passata in giudicato” (p. 11 e p. 12 ricorso), in quanto ciò di cui si è discusso in grado di appello attiene all’esistenza o meno di un valido mandato conferito al Comune di Trino da parte degli altri Comuni poi appellanti e non è stata oggetto di discussione l’ipotesi di indebito arricchimento (p. 7 sentenza impugnata).

Ne consegue che, rigettandosi il ricorso principale, deve dichiararsi assorbito il ricorso incidentale che il Collegio ritiene condizionato per come formalizzato a p. 9 del controricorso, e il Comune ricorrente va condannato alle spese del presente giudizio di cassazione, che si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale ritenuto condizionato, e condanna il Comune ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione che liquida per ciascuno dei Comuni resistenti in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

 

 

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