Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4190 del 21/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 4190 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 13324-2007 proposto da:
FALLIMENTO

INGROSSO CAR STEREO

S.R.L.

(C.F.

09434120151), in persona del Curatore avv.

Data pubblicazione: 21/02/2014

FRANCESCO CRISTINA, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso l’avvocato CAMICI
2014
61

GIAMMARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato
GUELI GIOVANNI AURELIO, giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente –

4

1

contro

INTESA

SANPAOLO

S.P.A.

(C.F.

00799960158),

denominazione assunta a seguito della fusione per
incorporazione del SANPAOLO IMI S.P.A. in BANCA
INTESA S.P.A., in persona del legale rappresentante

LAZIO 6, presso l’avvocato LA SCALA GIUSEPPE F.M.,
che la rappresenta e difende, giusta procura in
calce al controricorso;

avverso la sentenza n.

controricorrente

707/2006 della CORTE

D’APPELLO di MILANO, depositata il 20/03/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 14/01/2014 dal Consigliere
Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato GUELI GIOVANNI
AURELIO che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

rigetto del ricorso.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.La Corte d’appello di Milano ha accolto l’appello
proposto dall’Istituto Bancario San Paolo di Torino- IMI
spa avverso la sentenza del Tribunale di Milano con la

quale era stata, a sua volta, accolta la domanda

Ingrosso Car Stereo srl,

revocatoria proposta dalla curatela del fallimento
e la prima condannata al

pagamento della somma di £ 222.395.502, previa
dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 67,
comma 2, 1.f., delle rimesse effettuate dalla società
fallita, nell’anno anteriore alla dichiarazione di
fallimento, sul conto corrente da essa intrattenuto con
la predetta Banca:

secondo la Corte territoriale, nella

specie sarebbe mancato l’elemento soggettivo dell’azione
proposta dalla curatela fallimentare.

2,1-

Infatti, più che dai testi escussi (che avrebbero reso
dichiarazioni fra di loro contrastanti), dall’esame del

conto corrente bancario si sarebbe ricavato che lo stesso
non era stato affatto “congelato”, con l’accettazione
solo di prestazioni “al rientro”, ma mantenuto operativo
con il pieno operare dell’affidamento concesso; i decreti
ingiuntivi, in numero di tre, erano stati rilasciati in
tempi non influenti: due, oltre l’ultima rimessa
revocabile e, uno, a ridosso di questa.

3

Neppure dai due bilanci considerati dalla Curatela e dal
primo giudice (l’uno, chiuso al 31 dicembre 1991 e

,

l’altro, al 31 dicembre 1992), potevano trarsi elementi
sfavorevoli alla Banca, atteso che del secondo non si
poteva tener conto, essendo stato depositato in data (30

luglio 1993) successiva all’ultima rimessa revocabile; e
del primo non emergevano elementi dai quali desumere lo
stato d’insolvenza della società, emergendo un utile di
esercizio (di oltre 33 milioni di lire).
In relazione all’esame degli stessi bilanci, non si
sarebbero potuti tenere in considerazione neppure gli
indici, così come elaborati dalla dottrina economicofinanziaria, atteso che l’oggetto di un tale esame non
era ancora prassi comune nei primi anni ’90 (periodo a
cui risalgono i fatti di causa), neppure per gli
operatori professionalmente qualificati, come gli
istituti di credito, potendo essi rivestire un valore
soltanto indicativo della situazione della società.
Pertanto, non avendo la

Banca avuto

conoscenza di uno

stato di decozione dell’impresa, andava respinta la
domanda svolta nei suoi confronti e di conseguenza
accolto l’appello, con la condanna della Curatela al
pagamento delle spese dei due gradi.
Avverso tale decisione la curatela fallimentare ha
proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
4

-

La Banca resiste con controricorso.
In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno
depositato,

ai sensi dell’art.

378 c.p.c., memoria

contenente note illustrative.

2.1.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo di ricorso (con il quale si

lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 67,
comma 2, 1.f., in riferimento all’art. 116 c.p.c. circa
la sussistenza del presupposto soggettivo dell’azione
revocatoria fallimentare

art. 360 n. 3 c.p.c.

Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio – art. 360
n. 5 c.p.c.

) la curatela censura la sentenza

impugnata formulando il seguente quesito di diritto:

se

la cd. scientia decoctionis, richiesta dall’art. 67,
comma 2, 1.f. al fini della revocatoria ivi prevista,
possa ritenersi sussistente, potendosi la stessa desumere
dall’esame dei bilanci della società fallita, relativi al
due esercizi precedenti la sua declaratoria di
fallimento, e dal correlati indici di consistenza
patrimoniale e finanziaria; esame che la Banca era in
grado di effettuare, quale soggetto professionalmente
qualificato e dotato di specifiche competenze in materia,
secondo le regole di ordinaria prudenza ed avvedutezza
che connota l’operare delle banche.
5

Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe
errato non compiendo una complessiva valutazione degli
indici rivelatori della

sci entia decoctionis,

in

relazione alla particolare qualità e alle specifiche
conoscenze tecniche del creditore (una Banca), con

particolare riferimento ai due bilanci considerati e
relativi agli esercizi chiusi in data 31 dicembre 1991 e
1992, il primo con un avanzo ed il secondo con una
perdita di esercizio.

Gi7

A tale proposito, già dall’omesso esame della relazione
dell’Amministratore unico, accompagnatoria del primo dei
due bilanci indicati, si sarebbe dovuto inferire (come
segnalato alle pp. 17/8 della comparsa conclusionale di
1 0 grado), che la società fallita, almeno dalla primavera
del 1992, non godeva più di credito presso il ceto
bancario, neppure nella forma dello “sconto di
portafoglio”.
Inoltre, dall’esame dello stato patrimoniale e del conto
profitti e perdite si sarebbe dovuto rilevare uno
sbilancio negativo rilevante (per oltre tre miliardi di
lire) ed un’evidente insufficienza del margine operativo
lordo a causa dell’aumento dei principali costi certi, a
cominciare da quelli finanziari.

6

In particolare,

dall’esame

del

bilancio

relativo

dell’esercizio 1992 si sarebbe evidenziata una corsa al
rientro dell’intero sistema bancario.
Non aveva pregio l’affermazione, contenuta nella sentenza
impugnata, circa l’inutilizzabilità di quel documento, in

quanto depositato e perciò reso pubblico solo oltre le
date relative alle operazioni revocabili, in quanto era
prassi notoria quella della comunicazione alle banche
finanziatrici delle bozze dei bilanci redatti dalle
imprese finanziate e da approvare nell’anno.
Con riferimento agli indici di consistenza patrimoniale e
finanziaria

(per tali intendendo il rapporto di

indebitamento, la garanzia dei debiti a medio termine, il
rapporto di liquidità, gli indici di disponibilità,
l’incidenza degli interessi passivi sul fatturato), al
cui tenore analitico il ricorso fa espresso rinvio (a p.
17) e dal cui esame si sarebbe dovuto evincere la
sussistenza della
accipiens,

scientia decoctionis della creditrice

la curatela ricorrente ha, anzitutto,

osservato che, in ordine alla illustrazione di tali
elementi indiziari (fatta alle pp. 13/15 della
conclusionale di 1 ° grado e alle pp. 21-23 di quella
d’appello), la Banca non aveva sollevato alcuna
eccezione, non senza rimarcare la natura confessoria del
silenzio da essa tenuto al riguardo.
7

A tale proposito, sarebbe stata errata la motivazione del
giudice di appello circa l’inesistenza di

“una prassi

comune nel primi anni 90, neppure per … gli istituti di
credito”

in quanto tale affermazione era apodittica ed

espressione dell’uso di una “scienza privata”, vietata al

giudice dal combinato disposto di cui agli artt. 115
c.p.c. e 97 disp. att. c.p.c.
Al contrario, trattandosi, nella specie, di una Banca cd.
“d’affari” e cioè di un operatore particolarmente
avveduto e professionalmente dotato, essa avrebbe avuto
la capacità di compiere ogni valutazione per mezzo di
tali indici, dei quali offrirebbe conferma il sostanziale
“rientro” del conto della società fallita nell’ambito del
fido concesso, così come ricostruito dal CTU nella
tabella Bl della propria relazione, anche senza alcuna
formale intimazione, proprio per evitare l’esplicito
riconoscimento dell’insolvenza e per non provocare
l’avvio delle azioni di recupero da parte delle altre
banche creditrici.
Insomma,

il disconoscimento dell’esistenza del cd.

presupposto soggettivo per l’utile esperimento
dell’azione revocatoria da parte della Curatela, si
baserebbe su una motivazione insufficiente e
contraddittoria, facendo emergere la lamentata violazione
di legge.
8

2.2.

Con il secondo mezzo di ricorso (con il quale si

lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116
c.p.c. – art. 360 n. 3 c.p.c. – Omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso la cd. scientia decoctionis

e decisivo per il giudizio –

art. 360 n. 5 c.p.c. – ), con riferimento alle altre
risultanze probatorie acquisite in causa (prove
testimoniali, decreti ingiuntivi, domanda di ammissione
al concordato preventivo), la curatela censura la
sentenza impugnata formulando il seguente quesito di
diritto:

se la valutazione delle risultanze probatorie,

operata dal giudice di appello, possa ritenersi assunta
nel rispetto del principio del prudente apprezzamento di
cui all’art. 116 c.p.c., con procedimento esente da
lacune e trascuratezze, che faccia apparire

le scelte

compiute giustificate e coerenti con quelle complessive.
In particolare, i giudici dell’appello avrebbero compiuto
un esame atomistico degli elementi di prova senza un loro
raccordo che rendesse intellegibili le relative
risultanze.
Tale errore avrebbe colpito,

in particolare,

la

valutazione delle testimonianze rese dai testi Tresoldi e
Fumagalli, in ordine all’intimazione al rientro data alla
società da parte delle Banche (inclusa la resistente),
riscontrata dalla CTU, rispetto alle dichiarazioni rese
9

dal teste Barzaghi, avente una posizione marginale
nell’organizzazione della Banca resistente.
L’errore si sarebbe ripetuto a proposito dei documenti,
quali i decreti ingiuntivi e la domanda di ammissione
alla procedura di concordato preventivo, avanzata dalla

società fallita.
Con riferimento ai primi, si deduce, a proposito del
riscorso monitorio della Banca Popolare di Intra, che lo
stesso sarebbe stato necessariamente preceduto, secondo
le istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, dalla
collocazione a sofferenza del relativo credito e della
sua segnalazione alla Centrale rischi; che esso sarebbe
stato giustificato da una precedente iscrizione
ipotecaria a carico dei garanti, sicuramente conosciuta
dalla Banca resistente; che anche l’altro ricorso
monitorio (della Panasonic spa) riguarderebbe effetti
ritirati dal creditori e, pertanto, essendo annotati sui
movimenti del conto corrente, anche conosciuti dalla
Banca.
Con riguardo alla seconda, le confessioni relative alla
propria insolvenza contenute nell’istanza di ammissione
al concordato, e i dati riportati nella situazione
patrimoniale riclassificata, allegata alla domanda,
smentendo i bilanci già depositati, non sarebbero potute

10

sfuggire all’attenzione delle Banche, compresa l’odierna
resistente.

***
3.1.Passando all’esame delle censure e, cominciando per

comodità espositiva dall’esame dell’ultimo motivo, lo
stesso va dichiarato inammissibile.
Infatti, con tale mezzo il ricorrente sollecita, sotto le
mentite spoglie del vizio di motivazione, per la sua
omissione, insufficienza e per la sua contraddittorietà,
anche in relazione alla ipotizzata violazione dell’art.
116 c.p.c., una diversa valutazione del risultanze
probatorie suggerendo criteri ermeneutici alternativi a
quelli fatti propri dal giudice di merito.
Come di recente hanno ribadito le Sezioni Unite di questa
Corte (con la sentenza n. 24148 del 2013), la motivazione
omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora
dal ragionamento del giudice di merito, come risultante
dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione
di elementi che potrebbero condurre ad una diversa
decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva
carenza, nel complesso della medesima sentenza, del
procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli
elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già
quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed
.

11

alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul
significato dal primo attribuiti agli elementi delibati,
risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e
del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di

una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla ‘
natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Nella specie, si verte proprio in tale inammissibile
ambito valutativo alternativo, non essendo denunciata
quella totale obliterazione di elementi che potrebbero
condurre ad una diversa decisione (ma solo critiche alla
presunta insufficiente valutazione dei detti elementi) né
indicata l’obiettiva carenza, nel complesso della
medesima sentenza, del procedimento logico seguito dal
giudice di seconde cure (ma solo una pretesa mancata
contestualizzazione degli elementi analizzati, che non
integra certamente il vizio logico che solo può dare
ingresso all’accertamento di un vizio della motivazione).
Inoltre, vengono allegati e considerati fatti del tutto
nuovi, la cui attinenza al
scientia decoctionis

thema decidendum

della

della Banca appare del tutto

problematica (facendosi riferimento ad atti di soggetti
terzi ed estranei all’odierna discussione, attraverso
inferenze logico-giuridiche che assumono il carattere
evocativo della praesumptio de praesumpto:

onde la Banca
12

avrebbe dovuto conoscere lo stato d’insolvenza del
proprio debitore attraverso fatti aventi valore
presuntivo della detta scientia

riguardanti direttamente

alcuni terzi estranei) e di cui non si ha specifica eco
né nella motivazione della sentenza impugnata né

attraverso il richiamo autosufficiente a atti del
giudizio di merito nei quali tale dibattito è stato
svolto.
La considerazione unitaria degli indizi valorizzati dalla
ricorrente, anche attraverso il richiamo ad alcuni
precedenti di questa Corte (particolarmente Cass. n.
19894 del 2005), a bene intenderla, suppone la loro piena
idoneità, e cioè che gli elementi esaminati siano dotati
dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, in
modo da fornire la prova per presunzioni della conoscenza
effettiva dello stato di decozione del proprio debitore
da parte

dell’acciplens,

ciò che nella specie è

contestato avendo il giudice di appello valorizzato il
carattere non preciso, né univoco e tantomeno concordante
degli elementi acquisiti nel giudizio e finalmente dallo
stesso valutati.
Di conseguenza, il secondo motivo del ricorso è, sotto i
menzionati tre diversi profili, inammissibile.
***

13

3.2. Il primo (e residuo) motivo, con il quale si pone il

problema della conoscenza dello stato d’insolvenza da
parte della Banca creditrice, in relazione a specifici
atti solutori, con riferimento ai due bilanci approvati
dalla società fallita, presenta ben diversa chiarezza e

complessità, essendo articolato in una pluralità di sub
censure.
E’ sicuramente inammissibile quella relativa alla non
condivisa motivazione della sentenza di appello riferita
al fatto che, l’esame del bilancio chiuso al 1992, era
stato depositato solo in data successiva a quella delle
rimesse solutorie revocabili. Infatti, la doglianza
diretta a contrastare il ragionamento del giudice del
riesame nella parte in cui ha ricordato che la
conoscibilità dell’atto è possibile solo a partire dal
deposito del documento, quando esso è divenuto pubblico e
consultabile dagli interessati, facendo richiamo a non
meglio “note prassi” di trasmissione anticipate delle
bozze del bilancio alle Banche, in disparte la sua
verisimiglianza e la relativa prova (non fornita), non ha
qui rilievo perché la circostanza non ha mai formato
oggetto di dibattito processuale e, quindi, risulta del
tutto nuova.
Diversa portata ha il ragionamento relativo alla
ricavabilità della scientia decoctionis dal bilancio del
14

1991 dove, peraltro,

risulta un saldo attivo di

esercizio.
Secondo la Curatela, da tale documento contabile, pur con
saldo positivo, potrebbero trarsi, per il tramite di
alcuni indici di consistenza economico-finanziari posti

in luce dalla dottrina aziendalistica, quegli elementi
dimostrativi della conoscenza dello stato d’insolvenza da
parte della Banca, elementi che la Corte territoriale
avrebbe sbrigativamente liquidato come non utilizzati da
tali operatori economici negli anni di riferimento al
caso esaminato (primi anni ’90).

***
Il ragionamento della Curatela, nel suo presupposto
metodologico relativo alla possibilità di utilizzare una
tale sorta di indici esplicativi è condivisibile avendo
questa Corte già chiarito (con la Sentenza, di questa
stessa sezione, n. 10208 del 2007) che, in tema di prova
della

scientia decoctionis

nella revocatoria

fallimentare, non è violato il divieto di praesumptio de
praesumpto dal giudice di merito il quale, ritenuta, in
base alle circostanze, presuntivamente provata la
conoscenza, da parte della banca creditrice, del bilancio
della società debitrice, poi fallita, al momento del
pagamento, ne evinca, altresì, la conoscenza dello stato
di insolvenza palesato dal documento contabile, la quale
15

consapevolezza costituisce una mera implicazione della
ritenuta conoscenza del bilancio: sicché, in tali casi,
si è al cospetto di un’unica presunzione, sia pure
articolata su autonome circostanze di fatto. Infatti, in
astratto e salvo l’esame in concreto dei singoli indici

utilizzati dal giudice, nel pieno del contraddittorio,
per pervenire alla conclusione della sussistenza della
scientia decoctionis

da parte

dell’accipiens,

un tale

metodo si rivela corretto.
Con riferimento alla struttura logico giuridica di tali
indici ed alla loro astratta utilizzabilità ai fini della
prova della

scientia decoctionis,

vale il principio

diritto già posto da questa stessa sezione (con la
Sentenza n. 1719 del 2001) e secondo cui, per il
raggiungimento della prova della detta scientia

con

il mezzo delle presunzioni – non basta una astratta
conoscibilità oggettiva accompagnata da un presunto
dovere di conoscere, sicché la qualità di banca di colui
che entra in contatto con l’insolvente rileva, non di per
sé, neppure se correlata al parametro, del tutto teorico,
del creditore avveduto, ma solo in presenza di concreti
collegamenti di quel creditore con i sintomi conoscibili
dello stato di insolvenza; in tal senso dovendosi dare
rilievo ai presupposti ed alle condizioni in cui si è
trovato ad operare, nella specifica situazione,
16

racciplens,

ed in quest’ambito anche all’attività

professionale da esso esercitata ed alle regole di
prudenza ed avvedutezza che caratterizzano concretamente,
indipendentemente da ogni doverosità, l’operare della
categoria di appartenenza.

Tali collegamenti sono stati cercati dalla Curatela
ricorrente nella formalizzazione dei detti indici
economico-finanziari, idonei a palesare, sotto le mentite
spoglie di un bilancio con utile di esercizio, una
situazione di conclamata insolvenza, ben conoscibile dal
qualificatissimo operatore che con esso è venuto in
contatto.
Ma se nel caso concreto qui esaminato la Banca non ha
contestato di aver avuto cognizione del detto bilancio,
essa ha recisamente escluso che da esso potesse trarsi la
conseguenza inferita dalla Curatela ricorrente, ossia la
diretta conoscenza dello stato di decozione del proprio
debitore, anche in considerazione del saldo attivo di
esercizio, così come ha concluso il giudice dell’appello.
A tale proposito, la mancata specifica contestazione, da
parte della Banca nei due gradi di giudizio, degli indici
ipotizzati dalla Curatela, non può costituire prova della
sua consapevolezza (per il tramite di tali indici) in
base al principio della non contestazione (di cui
all’art. 115 c.p.c.) in quanto, l’aver escluso che da un
17

tale bilancio potesse trarsi ogni possibile cognizione
circa il presunto stato d’insolvenza della società
debitrice (come ha fatto la Banca in ogni sua difesa)
costituisce una affermazione che, per implicito, ha
veicolato anche una critica alla possibilità che, con il

bilancio e con la loro illustrazione

ex professo,

solo fatto della estrapolazione dei detti indici di
si

potesse e si possa pervenire al risultato che è stato
escluso dal giudice di appello attraverso l’esame
dell’intero documento contabile e dei dati in esso‘
riportati.
/
Peraltro, gli indici richiamati in questa sede sono stati
sì nominativamente enunciati dal ricorrente (a p. 18 del
ricorso e, poi, in ammissibilmente con la memoria ex art.
378 c.p.c., che – per tutte Cass., Sentenza n. 7237 del
2006 – non può contenere integrazioni, aggiunte o
chiarimenti al ricorso che ne è privo in quanto la sua
funzione è solo quella di illustrare e chiarire le
ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente
enunciati nel ricorso e non già di integrare quelli
originariamente generici e, quindi, inammissibili) ma
senza una loro precisa individuazione, sia quanto alla
loro estrazione metodologica, sia quanto agli esiti, sia
quanto alla loro portata probatoria, con la conseguenza

che ha ragione la Banca resistente a lamentare, con la
18

formale eccezione di inammissibilità per tale doglianza,
e

uno specifico difetto di autosufficienza del ricorso
anche in riferimento all’individuazione del documento,
acquisito nel giudizio di merito, che tali indici avrebbe
dovuto illustrare, in uno con il loro valore probatorio e

Infatti,

vertendosi

in

materia

di

con le conseguenze che da esso dovrebbero trarsi.
ricostruzione

presuntiva dello stato di (effettiva) conoscenza della
decozione della debitrice, e dovendo il giudice evitare
di passare attraverso le maglie fallaci della
dimostrazione attraverso presunzioni di secondo grado, la
Curatela avrebbe avuto l’onere di illustrare la portata
di tali indici, la metodologia di loro estrazione dal
documento preso in esame dai giudici di merito, la

sottoposizione

di

tali

acquisizioni

al

dibattito

processuale e alla cognizione del giudice.
Che poi il giudice di appello si sia liberato della
questione semplicemente affermando che tali indici non
sarebbero stati in uso nelle prassi del periodo
considerato, neppure da parte di operatori
particolarmente qualificati quali sono le Banche, è
affermazione non corretta che deve essere emendata, ai
sensi dell’art. 384, u.c., c.p.c., dalla motivazione
della sentenza impugnata, risultando del tutto apodittica
e, se fondata, frutto di un’enunciazione per scienza
19

privata del giudice, in contrasto con la previsione degli
artt. 115 c.p.c. e 97 disp. att. c.p.c. Una tale menda,
tuttavia, non inficia la tenuta della restante parte
della motivazione della sentenza esaminata in quanto, in
disparte il difetto di autosufficienza del motivo di

ricorso, quanto ai menzionati indici economico-finanziari
di bilancio (inammissibilmente poi, più diffusamente
enunciati nella memoria, ex art. 378 c.p.c.), essa si
articola su affermazioni altre e diverse e secondo le
quali, dall’esame del bilancio della società al 31
dicembre 1991 non emergevano elementi che potessero far
ritenere che la stessa si trovasse in stato d’insolvenza
nel periodo sospetto, in considerazione sia dell’utile di
esercizio rilevato che della consistente situazione di
cassa.
Infatti, tali ultime considerazioni, in un contesto
distributivo degli oneri probatori nel quale è la parte
attrice, ossia la Curatela, ad avere il dovere della
prova in relazione alla affermata diversa portata del
bilancio di esercizio rispetto alle sue risultanze
formali, costituiscono affermazioni logicamente e
normativamente corrette che non possono risultare oggetto
di un riesame,

sic

et

simpliciter,

in sede di

legittimità.

20

Pertanto, conclusivamente, il ricorso (per essere in
parte inammissibile ed in parte infondato) deve essere
respinto con la condanna della Curatela ricorrente al
pagamento delle spese processuali, liquidate come in

PQM
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali di questo grado di giudizio che
liquida in 2.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1
sezione civile della Corte di cassazione, il 14 gennaio
2014, dai magistrati sopra indicati.

dispositivo.

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