Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4189 del 03/03/2016


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Civile Sent. Sez. U Num. 4189 Anno 2016
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: PETITTI STEFANO

manio lacuale

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ROMANO’ Maria (RMN MRA 29R69 F205F), con procuratrici generali Colombo Romina e Sola Giacomina, rappresentata e difesa, per procura
speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato Bruno Bianchi, presso lo studio
del quale in Roma, via Vittoria Colonna n. 40, è elettivamente domiciliata;
– ricorrente contro
AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in
Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata per legge;
– controricorrente e contro
REGIONE LOMBARDIA (80050050154), in persona del presidente pro
tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del controricorso, dall’Avvocato Maria Lucia Tamborino
dell’Avvocatura regionale, elettivamente domiciliata in Roma, via Porpora
n. 16, presso l’Avvocato Emanuela Quici (studio Prof. Marcello Molè e associati);

Data pubblicazione: 03/03/2016

- con troricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche n. 195/2013, depositata il 26 novembre 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26

maggio 2015 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentiti, per la ricorrente, l’Avvocato Tocci per delega e, per la Regione

cia Tamborino;
sentito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. Um-

berto Apice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con ricorso del 19 aprile 2007 la sig.ra Romanò Maria convenne dinanzi al Tribunale regionale delle acque pubbliche di Milano rAgenzia del
Demanio esponendo: che era proprietaria di un terreno nel Comune di
Verceia ed occupava inoltre una attigua area demaniale di mq. 388, comprendente un muro di contenimento realizzato con concessione edilizia
comunale; che tale area, pur censita come demaniale, non aveva alcuna
utilità pubblica essendo da tempo destinata a suo uso esclusivo; che lo
zero idrometrico era stato fissato alla quota di m. 199,19 s.l.m. con d.m.
n. 1377 del 1959; che tale linea però non corrispondeva alla reale altezza
delralveo ed era quindi illegittima, con conseguente restrizione delrarea
demaniale; che l’area da lei occupata si trovava a quota superiore al limite demaniale e che comunque non aveva le caratteristiche di un bene
demaniale; che rarea non faceva parte delralveo o della spiaggia.
La Romanò chiese quindi: la dichiarazione che il mappale in questione si
trovava a quota superiore al limite demaniale di m. 199,19 s.l.m. fissato
col d.m. n. 1377 del 1959 e che comunque per sua natura e destinazione
non faceva parte delralveo o della spiaggia; raccertamento che lo zero idrometrico fissato con il decreto ministeriale non corrispondeva al dato
reale, con conseguente disapplicazione di detto decreto; la dichiarazione
di illegittimità e di inefficacia della volturazione e della trascrizione della
predetta area a favore del Demanio statale; raccertamento comunque
della perdita della demanialità e dell’acquisto per usucapione da parte sua

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Lombardia, l’Avvocato Emanuela Quici per delega dell’Avvocato Maria Lu-

dell’area in questione con conseguente dichiarazione della sua esclusiva
proprietà della stessa. In via istruttoria, la ricorrente chiese CTU e prova
per testi.
2. – Costituitasi in giudizio, l’Agenzia del Demanio chiese preliminarmente, ottenendola, l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Regione Lombardia. Nel merito eccepì l’infondatezza della domanda, chie-

Si costituì anche la Regione Lombardia eccependo la nullità del ricorso e
l’infondatezza della domanda.
3. – Il Tribunale regionale delle acque pubbliche di Milano, con sentenza
n. 1963/2010 del 21 aprile 2010, rigettò la domanda.
4. – La Romanò proponeva allora appello, chiedendo l’accoglimento della
domanda previa ammissione di CTU e di prova per testi.
L’Agenzia del Demanio e la Regione Lombardia si costituivano chiedendo
il rigetto dell’appello.
5. – L’adito Tribunale superiore delle acque pubbliche, con sentenza n.
195/2013, rigettava il gravame.
Premesso che l’appellante aveva dedotto, confusamente, sia che il terreno da lei occupato si trovava ad una altezza superiore al limite demaniale
di m. 199,19 s.l.m. fissato col d.m. n. 1377 del 1959, sia che tale provvedimento doveva essere disapplicato perché la quota in esso indicata
non corrispondeva alla realtà, senza peraltro chiaramente specificare se il
divario fosse frutto di un errore contenuto nell’originario d.m. del 1959,
basato su misurazioni sbagliate, oppure di un sopravvenuto mutamento
dello stato dei luoghi, ossia di un successivo restringimento ed abbassamento dell’alveo (anche se dal contenuto dell’atto di appello sembrava
che l’assunto dell’appellante dovesse essere interpretato in questo secondo senso), il Tribunale superiore rilevava che la richiesta di una CTU – sia
se diretta ad accertare la posizione del terreno ad una quota superiore a
m. 199,19, sia se diretta ad accertare un originario errore di misurazione
del decreto ministeriale del 1959, sia se diretta ad accertare un sopravvenuto abbassamento dell’alveo ed una diversa quota effettiva dello zero
idrometrico del bacino lacuale – era inammissibile, trattandosi di un ac- 3 –

dendone il rigetto.

certamento tecnico non solo esplorativo e generico, ma anche irrilevante.
E ciò perché, in primo luogo, non era stata dall’appellante fornita alcuna
prova o alcun elemento tecnico idoneo a dimostrare – come sarebbe stato suo onere – che il terreno in esame si trovasse ad una quota superiore
a m. 199,19 s.l.m.; in secondo luogo, non era stata fornita alcuna prova
e nemmeno erano stati indicati fatti o circostanze o elementi tecnici idonei a dimostrare l’esistenza di un errore di misurazione contenuto nel de-

dei luoghi che avrebbe abbassato lo zero idrometrico rispetto a quanto
ufficialmente accertato nel 1959, per tutto il lago di Como.
Peraltro, osservava il Tribunale superiore, la quota di m. 199,19 s.l.m.,
fissata come limite della zona demaniale dei laghi di Como e di Mezzola
dal d.m. 17 settembre 1959, n. 1377, aveva trovato conferma in alcune
sue recenti pronunce, come limite demaniale in giudizi in materia di demanialità di terreni confinanti con i detti laghi. E l’appellante, così come le
parti private negli altri giudizi, non aveva dedotto alcun concreto elemento per ritenere che tale quota, fissata dalla autorità competente, potesse
essere divenuta errata e non più corrispondente alla quota effettiva, con
conseguente possibilità di disapplicazione del detto decreto ministeriale.
Il Tribunale condivideva, quindi, la valutazione del giudice di primo grado,
secondo cui la ricorrente non aveva provato che la linea effettiva di demarcazione dell’alveo del lago di Como non corrispondeva più allo zero
idrometrico fissato col d.m. del 1959 e che detta linea fosse mutata nel
corso degli anni in modo da non comprendere l’area nell’alveo; e neppure
aveva fornito elementi tecnici di valutazione idonei a sopportare una simile affermazione. Condivideva altresì il rilievo per cui il c.d. zero idrometrico, come individuato dall’Amministrazione sulla base di dati risultanti da
rilevamenti scrupolosi e costanti in un lungo periodo di tempo, non poteva essere contestato e rimesso in discussione con mere ed apodittiche affermazioni della loro non corrispondenza ad una realtà di fatto sopravvenuta, che non trovino alcun riscontro oggettivo in dati tecnici frutto dì rilevamenti ulteriori, altrettanto scrupolosi e costanti nel tempo, effettuati
da colui che formula le contestazioni. La richiesta di CTU era poi inammissibile sia per la natura meramente esplorativa della richiesta sia perché finalizzata ad un sostanziale aggiramento dell’onere della prova».

creto ministeriale ovvero la causa dell’ipotizzato mutamento dello stato

Ad avviso del Tribunale superiore, la richiesta di CTU era comunque irrilevante, atteso che la stessa ricorrente non solo aveva ammesso che il terreno de quo era volturato a favore del demanio pubblico, ma, proprio con
la richiesta di CTU, aveva sostanzialmente dedotto che sarebbe intervenuta una sdemanializzazione tacita dell’area stessa, senza tuttavia specificare l’epoca in cui ciò sarebbe avvenuto.

stanze invocate dalla ricorrente a sostegno della sua pretesa (cessazione
di una utilizzazione pubblica; occupazione esclusiva da parte del privato;
mancato esercizio del diritto di proprietà da parte della PA) erano, anche
in astratto, assolutamente insufficienti per configurare una ipotesi di
sdemanializzazione tacita. La ricorrente, del resto, non solo non aveva
provato, ma nemmeno aveva chiesto di provare o dedotto circostanze tali
da dimostrare non già soltanto una situazione negativa di mera inerzia o
tolleranza, bensì la presenza di atti univoci, concludenti e positivi della
P.A., assolutamente incompatibili con la volontà di conservare al bene la
sua destinazione pubblica.
Peraltro, concludeva il Tribunale superiore, quand’anche si fosse realizzata una sdemanializzazione tacita, la conseguenza sarebbe stato il passaggio del bene nel patrimonio disponibile e non certo l’acquisto della sua
proprietà da parte della ricorrente per usucapione.
6. – Avverso questa sentenza Romanò Maria, a mezzo delle sue procuratrici generali, ha proposto ricorso sulla base di un motivo.
L’Agenzia del demanio e la Regione Lombardia hanno resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Con l’unico motivo di ricorso, rubricato “Violazione di legge. Mera apparenza della motivazione in merito alle istanze istruttorie”, la ricorrente
sostiene la nullità della sentenza per radicale assenza o mera apparenza
della motivazione, non essendo individuabile un iter argomentativo atto a
palesare le ragioni della decisione, onde individuare la ratio decidendi alla
stessa sottesa.
– 5 –

Nella specie, ad avviso del Tribunale superiore, era evidente che le circo-

In particolare, ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto delle caratteristiche dell’area oggetto di causa, collocata al di sopra della quota corrispondente al demanio lacuale, sicché doveva escludersi che il decreto ministeriale del 1959 potesse avere una efficacia vincolante, non collimando affatto con il livello effettivo dell’alveo
del lago. E ciò tanto più appariva certo in quanto l’area oggetto di causa
non era in alcun modo riconducibile alla spiaggia e risultava inidonea al

nessuna delle destinazioni cui può essere adibita una spiaggia lacuale. In
sostanza, l’area in questione non poteva ritenersi demaniale, per non avere mai posseduto i requisiti indefettibili della demanialità e per non
possederli all’attualità. La natura privata dei mappali avrebbe quindi dovuto essere corroborata da una CTU.
Quanto alla sdemanializzazione, la ricorrente rileva che nella specie era
incontrovertibile che i terreni oggetto di causa non presentassero più alcuna pubblica utilità, non essendo tra l’altro, e da tempo immemorabile,
stati rivendicato dalla P.A., che mai se ne era avvalsa in alcun modo. La
natura privata delle aree in questione, del resto, risultava evidente dalla
circostanza che le stesse erano da lei state occupate in modo esclusivo,
avendo ella esercitato una prolungata, pacifica e ininterrotta signoria su
di esse. Risultava poi evidente, ad avviso della ricorrente, la assoluta
mancanza di motivazione in ordine alla mancata ammissione delle istanze
istruttorie e, segnatamente, della CTU che, lungi dall’avere finalità esplorativa, costituiva uno strumento finalizzato ad accertare la quota effettiva
dello zero idrometrico del bacino lacuale, certamente non corrispondente
alla quota di 199,19 m.s.l. di cui al d.m. del 1959. In proposito, la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla ammissibilità di consulenze tecniche d’ufficio che, in specifiche circostanze, possono
costituire fonte oggettiva di prova, e ricorda che con la sentenza n.
10908 del 1994, è stata confermata la sentenza del Tribunale superiore
che aveva accertato un livello di zero idrometrico diverso da quello risultante dal decreto ministeriale, proprio sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio.

soddisfacimento di interessi e bisogni collettivi, non essendo riferibile a

Analoghe considerazioni la ricorrente svolge in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale articolata al fine di dimostrare la pacifica, ininterrotta ed esclusiva signoria di fatto sul bene.
2. – Il ricorso è infondato e va rigettato.
Occorre premettere che la sentenza impugnata è stata depositata il 26
novembre 2013 sicché il ricorso è assoggettato alla disciplina di cui al no-

portata dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134
del 2012, la citata disposizione introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, l'”omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Queste Sezioni Unite hanno affermato che «la riformulazione dell’art.
360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22
giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere
interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché
il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella
“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”
della motivazione» (Cass. n. 8053 del 2014).
Orbene, dalla lettura della sentenza impugnata non emerge affatto la denunciata “mera apparenza della motivazione in merito alle istanze istruttorie”, dal momento che il Tribunale superiore ha chiaramente enunciato
le ragioni per le quali ha ritenuto che, nel caso di specie, non fosse possibile disporre l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio; e ciò sia
per il carattere esplorativo della consulenza richiesta, sia per la ritenuta
non esperibilità di una consulenza tecnica d’ufficio finalizzata alla individuazione di uno zero idrometrico del lago di Como diverso da quello ac- 7 –

vellato art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Per effetto della modificazione ap-

certato con il d.m. n. 1377 del 1959. Peraltro, ha soggiunto il Tribunale
superiore, quand’anche si volesse accedere alla tesi della ricorrente e ritenere che l’area oggetto di causa abbia perso le caratteristiche in base
alle quali è stata classificata come demaniale, non per questo la domanda
della ricorrente avrebbe potuto essere accolta, ostando a tale conclusione
i principi affermati da questa Corte in tema di sdemanializzazione tacita

In proposito, si deve solo ricordare che queste Sezioni Unite hanno di recente affermato il principio per cui «nel regime anteriore a quello introdotto all’art. 4 della legge 5 gennaio 1994, n. 37 (che, nel sostituire il testo dell’art. 947 cod. civ., ha espressamente escluso, per il futuro, tale
eventualità), la sdemanializzazione tacita dei beni del demanio idrico non
può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, ma è ravvisabile solo in presenza di
atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A.
di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino, non potendo desumersi una volontà di rinunzia
univoca e concludente da una situazione negativa di mera inerzia o tolleranza» (Cass., S.U., n. 12062 del 2014).
Risulta, dunque, evidente come il vizio dedotto con il ricorso per cassazione [Violazione di legge (senza ulteriori specificazioni). Mera apparenza
della motivazione in merito alle istanze istruttorie], non sia configurabile
nella specie, avendo il Tribunale superiore dato ampiamente e adeguatamente conto delle ragioni in base alle quali la principale richiesta istruttoria della ricorrente fosse irrilevante.
3. Il ricorso deve essere quindi respinto.
In applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente deve essere
condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore
dell’Agenzia del Demanio e della Regione Lombardia, come liquidate in
dispositivo.
Poiché il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013 ed è rigettato,
sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto

– 8 –

del demanio idrico e lacuale.

per il ricorso ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del

2002 introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, in favore
dell’Agenzia del Demanio, in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese

per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito

dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili
della Corte suprema di cassazione, in data 26 maggio 2015.

prenotate a debito e, in favore della Regione Lombardia, in euro 3.000,00

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