Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4188 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. III, 09/02/2022, (ud. 16/12/2021, dep. 09/02/2022), n.4188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35729/2019 proposto da:

I.C., domiciliato ex lege in Roma, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Monica

Castiglioni;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale;

– intimata –

e contro

Ministero dell’interno in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello stato da cui è difeso per legge;

– resistente con atto di Costituzione –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

02/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/11/2021 da Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. I.C. cittadino guineiano, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento dell’istanza espose che suo padre era stato coinvolto in un complotto tra il proprio datore di lavoro ed un gruppo di malavitosi a causa del quale fu licenziato; che denunciato il fatto alla polizia ed introdotto il relativo giudizio, il giorno prima della deposizione, alcuni malviventi assoldati al vecchio datore di lavoro uccisero il padre; che successivamente anche il richiedente asilo fu aggredito dai malviventi e, pertanto, egli temendo per la propria incolumità, decise di abbandonare il paese.

La Commissione territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento I.C. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Bologna, che, con decreto n. 4945/2019 del 18 ottobre 2019, rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) inattendibile il racconto del richiedente asilo in quanto generico, contraddittorio e poco circostanziato;

b) infondata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in assenza di concreti pericoli di persecuzione;

e) infondata la domanda di protezione sussidiaria non essendo stati addotti elementi idonei ad integrare le fattispecie contemplate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), anche alla luce del fatto che, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di aver richiesto la protezione del proprio Stato e che gli enti preposti non avevano voluto o potuto proteggerlo adeguatamente ed invece dalle sue dichiarazioni era emerso che subito dopo aver sporto la denuncia aveva deciso di abbandonare il paese, disinteressandosi così della risposta dell’ordinamento. Inoltre, quanto alla condizione socio politica della Guinea, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), le fonti ufficiali escludevano la presenza di un conflitto armato generalizzato nel paese;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria non essendo ravvisabili alcune condizioni di particolare vulnerabilità anche alla luce della valutazione comparativa tra il percorso di integrazione svolto dal richiedente asilo all’interno del territorio italiano e le condizioni in cui si troverebbe a vivere in caso di rimpatrio. Quanto ai problemi di salute, poi, questi risultavano positivamente risolti in seguito all’operazione effettuato in Italia nel 2018. Irrilevante, infine, il periodo trascorso in Libia non avendo il ricorrente dedotto situazioni o peculiari conseguenze derivanti da tale permanenza.

3. Il decreto è stato impugnato per cassazione da C.I. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “nullità del decreto per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per motivazione apparente che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”. Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non credibile il richiedente asilo in quanto si sarebbe limitato a prendere in esame la succinta audizione svolta in udienza, non tenendo conto di quanto egli aveva scritto al momento della richiesta di protezione né di quanto esposto nella memoria depositata in udienza. Osserva in particolare che il Tribunale avrebbe travisato parte del racconto, ritenendo “datore di lavoro” un soggetto che, invece, era esclusivamente un “capo” inteso come referente nel senso letterale del termine; che egli aveva dettagliatamente raccontato tanto le ragioni del licenziamento del padre quanto il momento della sua aggressione da parte dei malviventi; che egli non si era disinteressato della risposta fornita dallo Stato sulla propria domanda ma che era scappato in quanto le circostanze avevano infondato in lui il dubbio della presenza di infiltrati nelle forze dell’ordine. Da tutto ciò, dunque, sarebbe evidente che il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda.

4.2 Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il Tribunale non avrebbe adempiuto al proprio doveri di cooperazioni istruttoria in ordine dell’accertamento dei presupposti necessari per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Il giudice, infatti, non avrebbe consultato COI ufficiali ed aggiornate, e neppure avrebbe considerato che il richiedente, in caso di rimpatrio si troverebbe esposto al rischio di pericolo grave alla sua persona consistente nel divenire vittima della violenza indiscriminata esercitata dal gruppo di malavitosi hanno aggredito lui e ucciso il padre.

4.3 Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, commi 1, 5 e 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non aver il Tribunale ravvisato, alla luce di una valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto dal richiedente all’interno del territorio italiano, dimostrata dal percorso di formazione da egli intrapreso, e le condizioni in cui si troverebbe in caso di rimpatrio, essendo orfano di entrambi i genitori ed persistendo in Guinea una condizione di seria violazione dei diritti fondamentali, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

5. Il ricorso è inammissibile per difetto di valida procura alle liti.

Al riguardo, si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 15177/2021, hanno affermato, componendo il contrasto creatosi fra le sezioni semplici, che: “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 – nella parte in cui prevede che “La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima” – ha richiesto, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, prevedendo una speciale ipotesi di “inammissibilità del ricorso”, nel caso di mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore. La procura speciale per il ricorso per cassazione, per le materie regolate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 e dalle disposizioni di legge che ad esso rimandano, deve contenere in modo esplicito l’indicazione della data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato e richiede che il difensore certifichi, anche solo con una unica sottoscrizione, sia la data della procura successiva alla comunicazione che l’autenticità della firma del conferente””.

5.1. La questione di legittimità costituzionale del citato art. 35-bis, comma 13 – sollevata, successivamente a detta sentenza, da questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 17970/2021, denunciandone il contrasto con gli artt. 3,10,24,111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 28 e art. 46, p., art. 11, della direttiva 2013/32/UE (Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale), nonché all’art. 18, art. 19, p. 2 e art. 47, della Carta dei diritti UE e agli artt. 6, 7, 13 e 14 della CEDU, nella parte in cui prevede che la mancanza della certificazione della data di rilascio della procura da parte del difensore, limitatamente ai procedimenti di protezione internazionale, determini la inammissibilità del ricorso – è stata decisa dalla Corte costituzionale nella Camera di consiglio del 2 dicembre 2021 nel senso della non fondatezza (cfr. sentenza Corte Costituzionale n. 13/2022).

5.2. Nel caso di specie, la procura speciale rilasciata per il ricorso per cassazione non contiene alcuna espressione dalla quale risulti che il difensore abbia inteso certificare che la data di conferimento di essa sia stata successiva alla comunicazione provvedimento impugnato, recando unicamente l’autenticazione della firma del richiedente asilo che non è idonea, secondo la pronuncia delle Sezioni Unite sopra richiamata, ad attestare anche che la data del conferimento del mandato è successiva alla comunicazione del decreto da impugnare.

6. Non occorre provvedere sulla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero.

Il pagamento del doppio contributo, se dovuto, va posto a carico del ricorrente, in applicazione del principio – enunciato dalla citata sentenza n. 15177/2021 delle Sezioni Unite – per cui “il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla mancata presenza, all’interno della procura speciale, della data o della certificazione del difensore della sua posteriorità rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, va posto a carico della parte ricorrente e non del difensore, risultando la procura affetta da nullità e non da inesistenza”.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 8 novembre 2021, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

 

 

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