Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4187 del 16/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 16/02/2017, (ud. 07/12/2016, dep.16/02/2017),  n. 4187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27848/2012 proposto da:

P.V., DECEDUTO (OMISSIS), E SUOI EREDI: LA MOGLIE

T.A. C.F. (OMISSIS), P.G. C.F. (OMISSIS),

P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato ANGELO VALLEFUOCO,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati, VALERIO

VALLEFUOCO, FILIPPO MANCA;

– ricorrenti –

contro

B.M., C.F. (OMISSIS) domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 4,

presso lo studio dell’avvocato ELEUTERIO ZUENA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FABIO PISILLO;

– controricorrente –

nonchè nei confronti di:

ITALBED SA IN PERSONA DELL’AMM.RE; T.A.;

– intimata –

sul ricorso 27855-2012 proposto da:

ITALBED SA (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE, elettivamente

domiciliata in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio

dell’avvocato ANGELO VALLEFUOCO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FILIPPO MANCA, VALERIO VALLEFUOCO;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA,4,

presso lo studio dell’avvocato ELEUTERIO ZUENA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FABIO PISILLO;

– controricorrente –

nonchè nei confronti di:

P.V. e T.A.;

– intimati –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

17/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato Manca Filippo difensore del ricorrente che si

riporta agli atti depositati;

udito l’Avv. Pisillo Fabio difensore del controricorrente che si

riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il signor P.V. e la società Italbed s.a., con sede in Lugano, hanno proposto separati ricorsi – rispettivamente iscritti ai nn. 27848/12 e 27855/12 del registro generale di questa Corte – contro l’avvocato B.M., e nei confronti della litisconsorte T.A., per la cassazione della ordinanza non impugnabile emessa dalla corte d’appello di Roma ai sensi della L. n. 794 del 1942, art. 29, (applicabile ratione temporis nel presente giudizio, introdotto prima della entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011), con la quale essi ricorrenti erano stati condannati, in solido con la signora T., a pagare all’avvocato B. la somma di Euro 85.312,25 per l’attività professionale da costui svolta, prima di rinunciare al mandato, per la costituzione del signor P., della signora T. e della società Italbed s.a. davanti alla corte d’appello di Roma, in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, in un giudizio di impugnazione di lodo arbitrale.

L’ordinanza impugnata – dopo aver disatteso l’eccezione con cui i signori P. e T. e la società Italbed avevano dedotto che la procedura di cui alla L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, sarebbe stata inammissibile in ragione della contestazione dell’esecuzione di talune delle attività per le quali il professionista aveva richiesto il compenso – ha ritenuto corretta la determinazione del valore della causa posto a fondamento della liquidazione richiesta dall’avvocato B., ha giudicato generiche le contestazioni mosse in ordine all’effettiva prestazione di alcune attività e, da ultimo, ha giudicato dovuto il compenso per la voce “ricerca documenti”, nonostante che tutti i documenti prodotti in giudizio fossero stati messi a disposizione professionista dagli assistiti.

I ricorsi del signor P. e della società Italbed si fondano su argomentazioni totalmente sovrapponibili, articolate in quattro motivi.

L’avvocato B. si è costituito con duplice controricorso, in risposta a ciascuno dei due ricorsi (svolgendo in via preliminare eccezioni di inammissibilità non totalmente sovrapponibili per entrambi i ricorsi), mentre la signora T. non ha spiegato attività difensiva in questa sede.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 7.12.16, per la quale le sig.re T.A., P.G. e P.A. hanno depositato memoria di costituzione in giudizio quali eredi del ricorrente P.V. (deceduto nelle more del giudizio di cassazione), la società ricorrente Italbed ha depositato copia (comunicata all’ avv. B. tramite elenco ex art. 372 c.p.c.) della sentenza della corte di appello di Roma n. 4329/13, munita di attestazione di passaggio in giudicato, e il contro ricorrente avv. B. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.; in detta udienza il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., i ricorsi separatamente proposti dal sig. P.V. e dalla società Italbed s.a.. Sempre in via preliminare vanno disattese tutte le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi sollevate dal contro ricorrente.

L’eccezione di tardività dei ricorsi – per essere stati gli stessi notificati dopo il decorso del termine di sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato effettuata dalla cancelleria – va disattesa, perchè il termine per l’impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c., decorre dalla notifica ad istanza di parte e non dalla comunicazione ad opera della cancelleria.

L’eccezione di nullità della procura speciale ad litem apposta a margine del ricorso di P.V. – perchè recante una data anteriore rispetto a quella apposta in calce al ricorso (dal che deriverebbe incertezza sul requisito della specialità del mandato difensivo) – va disattesa, perchè la suddetta procura contiene l’esatta identificazione dell’ordinanza oggetto di impugnativa. L’eccezione di inammissibilità dei ricorsi per assenza del momento di sintesi di cui all’art. 366 bis c.p.c., va disattesa perchè quest’ultima disposizione non è applicabile nel presente giudizio, il quanto il provvedimento impugnato per cassazione è stato depositato dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, che ha abrogato l’art. 366 bis c.p.c. (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5).

Prive di pregio, infine, vanno giudicate le eccezioni sollevate dal contro-ricorrente in ordine al difetto di autosufficienza o all’imprecisa formulazione della rubrica dei motivi dei ricorsi.

Passando all’esame dei motivi dei ricorsi – del tutto sovrapponibili, come già rilevato – nel ricorso del sig. P. ed in quello della società Italbed s.a. – si osserva quanto segue.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 29, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa rigettando l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo L. n. 794 del 1942, ex art. 28, sollevata in sede di merito sul presupposto che l’oggetto della controversia non fosse limitato alla quantificazione del credito del professionista ma coinvolgesse l’accertamento della stessa sussistenza del medesimo.

Il motivo è infondato perchè la contestazione relativa all’effettuazione delle prestazioni di redazione della comparsa (consultazioni col cliente e trasferta a (OMISSIS)) non mette in discussione l’esistenza del rapporto professionale, nè l’esistenza del credito, ma soltanto la quantificazione di quest’ultimo, in relazione alle specifiche attività compiute dal professionista. Il Collegio ritiene dunque di dover confermare il principio, fissato nella sentenza di questa Corte n. 21261/10, che può farsi ricorso alla procedura L. n. 794 del 1942, ex art. 28, quando si controverta non solo sul quantum, ma anche sull’an di una determinata prestazione, purchè non venga contestata l’esistenza del rapporto di clientela.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 6 della tariffa professionale approvata con il D.M. 8 aprile 2004, n. 127, e degli artt. 10 e 14 c.p.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa attribuendo alla causa in relazione alla quale è stata prestata l’attività professionale di cui si discute il valore di 21 milioni di Euro, risultante dal cumulo della domanda risolutoria e della domanda risarcitoria proposte nei confronti delle parti assistite dall’avvocato B., nonostante che tali due domande si cumulassero ad altre domande di valore indeterminabile. Secondo i ricorrenti, che invocano a suffragio della doglianza il precedente di questa corte nn. 16318/11, il cumulo di domande di valore determinato con altre di valore indeterminabile renderebbe l’intera causa di valore indeterminabile.

Il motivo è ammissibile, in quanto – contrariamente a quanto eccepito dal contro ricorrente – esso non difetta di autosufficienza (alle pagina 2 e segg. di entrambi i ricorsi sono debitamente trascritte le conclusioni rassegnate dalla società Finven s.r.l. contro P.V., T.A. e la società Italbed s.a. nella causa in cui l’avvocato B. prestò, a favore di questi ultimi, l’attività defensionale per il cui compenso qui si discute), nè, per altro verso, la questione che tale motivo pone può essere giudicata inammissibile per essere stata sollevata per la prima volta in sede di legittimità, giacchè si tratta di questione di mero diritto, che non postula accertamenti di fatto.

Il motivo è, tuttavia, infondato.

Questa Corte ha infatti già avuto modo di chiarire – nella sentenza n. 9975/16, alla quale il Collegio intende dare conferma e seguito – che il principio espresso dalla sentenza n. 16318/11 (che a propria volta richiama la precedente sentenza n. 4937/03) va correttamente applicato solo nel caso in cui, tenuto conto del valore della controversia scaturente dalla domanda di carattere determinato, l’applicazione dello scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile consenta il riconoscimento di compensi maggiori rispetto a quelli che deriverebbero facendo applicazione dello scaglione applicabile in ragione del cumulo delle sole domande di valore determinato. Opinare diversamente, e cioè reputare che debba sempre applicarsi il criterio di liquidazione previsto per le controversie di valore indeterminabile, anche quando ciò non rechi alcun vantaggio al professionista (il quale anzi vedrebbe liquidate le sue competenze sulla base di criteri riduttivi rispetto a quelli da seguire cumulando le sole domande di valore determinato) porterebbe alla conclusione, del tutto priva di razionalità e giustificazione, secondo cui l’attività professionale connotata da maggiore complessità (in quanto contemplante la necessità di approntare difese, oltre che per le domande di valore determinato, anche per quella di valore indeterminabile) sarebbe compensata con una somma inferiore rispetto a quella riconoscibile per l’attività difensiva relativa alle sole domande di valore determinato.

Quanto alle considerazioni svolte nel mezzo di gravame in ordine al valore indicato nel’ atto di riassunzione dalla Finven s.r.l. ai fini del versamento del contributo unificato e in ordine alla circostanza che la stessa Finven s.r.l. aveva chiesto una consulenza tecnica per la quantificazione del proprio danno, è sufficiente osservare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 2, là dove, nel disciplinare la liquidazione a carico del cliente degli onorari professionali dell’avvocato, prevede che “può aversi riguardo al valore effettivo della controversia”, trova applicazione solo in riferimento alle cause per le quali si proceda alla determinazione presuntiva del valore, in base a parametri legali, e non pure allorquando il valore della causa sia stato in concreto dichiarato, dovendosi, in tale situazione, utilizzare il disposto dell’art. 10 c.p.c., senza necessità di motivare in ordine alla mancata adozione di un diverso criterio (cfr. Cass. n. 5615/98, Cass. n. 8660/10, Cass. n. 19098/14). Correttamente, quindi, l’ordinanza impugnata, nel rispetto di detti principi e del disposto degli artt. 10 e 14 c.p.c., (che, stabiliscono, rispettivamente, che “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti” e che “nelle cause relative a somme di denaro o a beni mobili, il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore…”), ha determinato il valore della causa con riguardo alle somme domandate con l’atto introduttivo del giudizio in cui sono state rese le prestazioni professionali del cui compenso si discute, a nulla rilevando nè la dichiarazione di valore di quella causa resa dalla Finven s.r.l. ai fini del versamento del contributo unificato, nè l’articolazione delle richieste istruttorie avanzate dalla stessa Finven per offrire la prova del quantum richiesto, nè, infine, la somma nei cui limiti la domanda dalla Finven sia stata accolta (sulla irrilevanza del decisum, ai fini del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 2, cfr., da ultimo, Cass. 25893/16); irrilevante, quindi, oltre che inammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c., va giudicata produzione della sentenza della corte di appello di Roma n. 4329/13 che ha definito la controversia tra la Finven s.r.l. e gli odierni ricorrenti, da questi ultimi effettuata in prossimità dell’udienza.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione del capitolo I, tabella A, parte quarta, punti 33 e 35 e del capitolo III, articolo 8, della tariffa approvata col D.M. 8 aprile 2004, n. 127, nonchè dell’art. 2697 c.c., nonchè il vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione. Con il motivo in esame si censura la statuizione della corte d’appello che ha ritenuto le contestazioni dei clienti concernenti l’effettivo svolgimento delle attività di redazione della comparsa, consultazioni col cliente e trasferta Roma sarebbe stata” generica” e “non confortata da alcuna deduzione, almeno logicamente probante di quanto asserito”.

La doglianza non può trovare accoglimento perchè essa si risolve nella deduzione di questioni di merito. Premesso, infatti, che il riferimento della corte di appello al principio di presunzione di veridicità delle parcelle è giuridicamente corretto (conformandosi ai principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 14699/10), l’apprezzamento di genericità della contestazione sollevate dal cliente nei confronti della parcella rimessagli dal proprio avvocato spetta al giudice di merito e in questa sede può essere censurato solo mediante la critica del ragionamento decisorio del giudice di merito, senza la possibilità di attingere direttamente l’approdo a cui tale ragionamento sia pervenuto.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione del capitolo I, tabella A, parte quarta, punto 34 della tariffa approvata col D.M. 8 aprile 2004, n. 127, e dell’art. 112c.p.c., nonchè il vizio di insufficiente motivazione, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo dovuto il compenso per la voce ricerca documenti nonostante che i documenti fossero stati tutti forniti al professionista dai suoi assistiti. Col motivo di ricorso in sostanza si chiede di rivisitare l’orientamento della sentenza n. 7275/91 con la quale questa Corte ha qualificato la ricerca dei documenti come attività intellettuale e non materiale (“In tema di onorari di avvocato e procuratore la ricerca di documenti costituisce una prestazione di ordine intellettuale che non va confusa con l’attività meramente materiale con la quale siano messi a disposizione del professionista i documenti da questi indicati, come è confermato dalla collocazione della voce “ricerca documenti” al n. 4 della tabella degli onorari di avvocato preceduto dallo studio della controversia e consultazione con il cliente (n. 3) e seguito da “preparazione e redazione dell’atto introduttivo del giudizio e della comparsa di risposta” (n. 5).”). In proposito i ricorrenti sottolineano, per un verso, che l’attività di ricerca documenti, se intesa come attività meramente intellettuale, si risolverebbe in una duplicazione dell’attività di studio della controversia e, per altro verso, che nella tariffa del 2004, a differenza dalla tariffa a cui si riferiva la sentenza n. 7275/91, l’attività di ricerca documenti è accorpata nella medesima voce concernente l’ispezione dei luoghi (attività, quest’ultima, sicuramente qualificabile come materiale).

I suddetti argomenti non possono essere condivisi. Quanto al primo, va evidenziato che altro è l’attività intellettuale di studio della causa, che si risolve nell’elaborazione di una tesi difensiva, altro è l’attività di individuazione (anch’essa intellettuale, distinta dall’attività di reperimento materiale) dei documenti funzionali a provare i fatti la cui dimostrazione in giudizio si ritenga necessaria a sostegno della suddetta tesi difensiva. Quanto al secondo, è sufficiente rilevare che anche nella tariffa presa in considerazione dalla sentenza di questa Corte n. 7275/91, approvata con D.M. 22 giugno 1982, il n. 4 della tabella degli onorari di avvocato comprendeva tanto la ricerca documenti quanto l’ispezione dei luoghi. Non vi sono quindi ragioni per discostarsi dal principio enunciato nella ripetuta sentenza n. 7275/91.

Il ricorso va quindi, conclusivamente, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano separatamente a carico degli eredi P. e della società Italbed s.a., essendo la riunione dei ricorsi intervenuta solo in sentenza.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi proposti dal sig. P.V. (R.G. 27848/12) e dalla società Italbed s.a. (R.G. 27855/12), li rigetta entrambi.

Condanna le parti ricorrenti, separatamente, a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida, per ciascuna parte ricorrente, nella misura di Euro 3.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2017

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