Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4185 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. III, 22/02/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 22/02/2010), n.4185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE N.

60, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PREVITI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERLUIGI PICCIOLINI,

LA FAUCI BELPONER Carmelo, giusta delega in calce alla comparsa di

costituzione e risposta, nonchè R.T.I. – RETI TELEVISIVE TALIANE

SPA, in persona del legale rappresentante procuratore speciale,

elettivamente già domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo

studio dell’avvocato FABIO LEPRI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LA FAUCI BELPONER Carmelo, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARDINAL

DE LUCA 22, presso lo studio dell’avvocato PUGLIESE FEDERICA,

rappresentato e difeso dagli avvocati COPPOLA ANTONIO, CRESCIMANNO

FRANCESCO, giusta procura speciale per atto Notaio Giuseppe Tomaselli

di Torino, in data 28/07/04, rep. n. 43 7366, allegata in atti;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1883/2007 del TRIBUNALE di PALERMO del

27/04/07, depositata il 03/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FRASCA Raffaele;

è presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE EDUARDO

VITTORIO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

1. S.V. e la s.p.a. R.T.I. Reti Televisive Italiane hanno proposto – congiuntamente, sia pure con il ministero di diversi difensori – istanza di regolamento di competenza avvero la sentenza non definitiva del 3 maggio 2007, con la quale il Tribunale di Palermo, ha dichiarato la propria competenza per ragioni di territorio sulla controversia introdotta nel gennaio del 2005 dal magistrato C.G.C. nei loro confronti, per ottenere il risarcimento dei danni alla personalità sofferti in conseguenza di affermazioni diffamatorie fatte dallo S., nella qualità di conduttore, nel corso di una puntata del programma televisivo “(OMISSIS)”, trasmesso dall’emittente “(OMISSIS)” e prodotto dalla R.T.I., proprietaria dell’emittente stessa.

L’esercizio dell’azione risarcitoria in sede civile avveniva dopo lo svolgimento del processo penale per diffamazione aggravata originato dalla proposizione di querela da parte del C., che si costituiva parte civile. In detto procedimento il Tribunale ordinario penale di Caltanissetta riteneva lo S. colpevole del delitto e lo condannava alla pena di sei mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore della parte civile. La Corte d’Appello di Caltanissetta confermava sempre in sede penale la sentenza, mentre la Corte di Cassazione annullava la sentenza d’appello per un vizio di rito nello svolgimento del primo grado giudizio, rimettendo il procedimento al Tribunale di Caltanissetta, che, con sentenza del 30 giugno 2003, dichiarava non luogo a procedere per l’intervenuta prescrizione del reato.

Innanzi al Tribunale di Palermo si costituivano entrambi i convenuti, i quali contestavano fra l’altro la competenza territoriale:

a) lo S. adducendo che il foro generale nei suoi riguardi si individuava presso il Tribunale di (OMISSIS), luogo di sua residenza all’epoca della domanda, o presso il Tribunale di (OMISSIS), luogo di suo domicilio a quell’epoca, mentre il foro generale per la R.T.I si radicava in (OMISSIS), non avendo in (OMISSIS) detta società alcuno stabilimento con rappresentante autorizzato a stare in giudizio, ed il foro dell’insorgenza dell’obbligazione si situava anch’esso in (OMISSIS), luogo in cui si trovavano gli studi televisivi in cui era stata realizzata la trasmissione.

Sempre in (OMISSIS) – rispettivamente quale luogo di domicilio e della sede dei convenuti – si situava il foro dell’adempimento dell’obbligazione risarcitoria;

b) la R.T.I. sostenendo la medesima prospettazione con in più l’alternativa del foro del Tribunale di Milano sotto il profilo del foro di insorgenza dell’obbligazione, per essere avvenuta l’emissione del programma in (OMISSIS), nonchè l’ulteriore deduzione che, ove pure in (OMISSIS) si fosse dovuto individuare il foro di quella insorgenza, ai sensi dell’art. 30 bis c.p.c. la regola normale di competenza doveva ritenersi derogata a favore del Tribunale di Caltanissetta, giacchè all’epoca del preteso fatto lesivo il C. era Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di (OMISSIS).

2. Il Tribunale, con la sentenza impugnata ha disatteso l’eccezione sollevata dai convenuti quanto alla insussistenza in (OMISSIS) del forum commissi delicti, facendo proprio l’indirizzo sostenuto da Cass. n. 22586 del 2004 nel senso che il locus commissi delicti dell’illecito civile consistente nella lesione della reputazione o dell’onore commessa tramite una trasmissione televisiva si debba individuare nel luogo in cui al momento della trasmissione il danneggiato ha la sede principale dei suoi affari o interessi e, quindi, il domicilio. Da qui la sua individuazione nella specie in (OMISSIS), quale luogo di domicilio del C. al momento della trasmissione televisiva, per il fatto che ivi egli rivestiva la carica di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di (OMISSIS). Il Tribunale ha, inoltre, disatteso l’eccezione di sussistenza della competenza ai sensi dell’art. 30 bis c.p.c. del Tribunale di Caltanissetta a motivo che il C. al momento della proposizione della domanda non era più Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di (OMISSIS), avendo assunto, su domanda, le funzioni di Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Torino in data 11 settembre 2002 e dovendosi, dunque, dare rilievo, alla luce di una lettura dell’art. 30 bis c.p.c. in combinazione con l’art. 5 c.p.c. a questo stato di fatto.

3. All’istanza di regolamento di competenza ha resistito con memoria C.G.C..

4. Il ricorso è soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2).

Essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti costituite e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si sono svolte le seguenti considerazioni:

“… 5. – L’istanza di regolamento di competenza propone due motivi.

Con il primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 20 e 38 c.p.c., dell’art. 1182 c.c., commi 3 e 4, della L. n. 223 del 1990, art. 30, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 2 ed all’esito di un’ampia illustrazione critica verso il principio di diritto di cui a Cass. n. 22586 del 2004 si pone il seguente quesito di diritto: Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione che nel caso di domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali a seguito di diffamazione commessa tramite una trasmissione televisiva (nel caso di specie la richiesta risarcitoria formulata dal dr. C.G. nei confronti di RTI e di S. per la trasmissione (OMISSIS)), competente per territorio ai sensi dell’art. 20 c.p.c. quale giudice del luogo in cui l’obbligazione è sorta, è il tribunale del luogo in cui la trasmissione televisiva è realizzata (nel caso concreto il Tribunale di (OMISSIS), in cui si trovavano gli studi televisivi RTI in cui è stata realizzata la puntata di (OMISSIS)).”.

Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 30 bis c.p.c. e dell’art. 38 disp. att. c.p.c., nonchè della L. n. 420 del 1998, dell’art. 11 c.p.p. e dell’art. 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 2”. All’esito della illustrazione il motivo pone il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte di Cassazione che l’art. 30 bis del c.p.c. si applica anche al caso in cui il magistrato (nel caso di specie C. G.), che propone il giudizio civile chiedendo il risarcimento dei danni da reato (nel caso di specie il giudizio proposto contro RTI e S. per la trasmissione (OMISSIS)), al momento del fatto esercitava le sue funzioni presso lo stesso ufficio giudiziario innanzi al quale successivamente introduce l’azione (nel caso di specie l’ufficio giudiziario di (OMISSIS) dove C. era Procuratore della repubblica nel (OMISSIS)), e che conseguentemente competente a decidere della domanda risarcitoria in tal caso è l’ufficio determinato ai sensi dell’art. 11 c.p.p. e secondo la tabella allegata alla L. n. 420 del 1998 (nel caso di specie il Tribunale civile di Caltanissetta)”.

In chiusura dell’illustrazione del motivo (ma senza che si formuli apposito quesito di diritto) si sostiene anche che, nell’ipotesi in cui non si condivida l’interpretazione dell’art. 30 bis c.p.c. in essa sostenuta, dovrebbe sollevarsi una questione di costituzionalità della norma, per violazione degli artt. 3, 24, 25, 101 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedrebbe l’applicazione della regola derogatoria anche nel caso in cui il magistrato esercitava le sue funzioni al tempo del fatto nel distretto in cui secondo le regole ordinarie si radicherebbe la competenza.

6. – Il primo motivo è infondato.

La risposta al quesito da esso prospettato si rinviene nel recente arresto con cui le Sezioni Unite hanno composto il contrasto effettivamente esistente nella giurisprudenza delle sezioni semplici, fra l’orientamento innovativo cui si è ispirato il Tribunale di (OMISSIS) e quello tradizionale, sostenuto dai ricorrenti, che ravvisava il locus commissi delicti (cioè il luogo di insorgenza dell’obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano) in quello in cui era avvenuta la realizzazione della trasmissione televisiva (i ricorrenti, infatti, nel quesito non postulano l’alternativa rilevanza del luogo di emissione o diffusione della trasmissione televisiva, ma anche di tale luogo – che pure era predicato da parte della giurisprudenza delle sezioni semplici – le sezioni unite hanno escluso il rilievo).

Proprio l’esistenza della rimessione della questione sul contrasto alle Sezioni Unite ha giustificato l’attesa nell’esame del presente regolamento di competenza.

Ora, con detto arresto (Cass. sez. un. n. 21661 del 13 ottobre 2009), le Sezioni Unite hanno condiviso l’orientamento su cui si è basato il Tribunale, affermando (pagine sette e ss.) il principio di diritto, secondo cui con riferimento all’ipotesi delle domande di risarcimento danni da lesione del diritto della personalità arrecata per mezzo di una trasmissione televisiva e comunque di un qualsiasi mezzo di comunicazione di massa (ivi compresa la stampa o internet) il foro del luogo di insorgenza dell’obbligazione risarcitoria si situi:

aa) per il caso di danneggiato persona fisica nel luogo del suo domicilio o, alternativamente, della sua residenza, se l’uno e l’altra non coincidano (in quanto il pregiudizio dannoso, necessario per il completamento della fattispecie obbligatoria da illecito aquiliano);

bb) per il caso di danneggiata persona giuridica, nel luogo della sede della stessa.

In base, dunque, al criterio di radicazione facoltativa ordinario della competenza corrispondente al luogo di insorgenza dell’obbligazione dedotta in giudizio e, quindi, trattandosi di obbligazione da illecito aquiliano, al c.d. locus commissi delicti, la competenza sarebbe stata in conclusione correttamente individuata dalla sentenza impugnata.

7. – Il secondo motivo – che è logicamente subordinato, perchè suppone proprio che la competenza, secondo le regole ordinarie, si debba radicare in Palermo, e che, tuttavia, sull’operare di tale regole e di quella che si è individuata nell’ambito di essa, faccia aggio la competenza individuata dall’art. 30 bis c.p.c. – appare fondato.

L’esposizione delle ragioni di tale fondatezza suppone la ricognizione dell’efficacia normativa dell’art. 30 bis c.p.c. non già sulla base della mera considerazione del suo testo come disposizione e, quindi, del suo tenore originario, cioè quello inserito nel codice di rito dalla L. 2 dicembre 1998, n. 420, art. 9 bensì del suo tenore risultante dall’intervento sul suo comma 1 come disposizione da parte della Corte costituzionale con la sentenza n. 147 del 2004.

Infatti, per effetto di questa sentenza la disposizione dell’art. 30 bis c.p.c., comma 1, non ha più un’efficacia normativa corrispondente a tutto l’ambito abbracciato dal suo tenore, ma ha un’efficacia normativa, cioè di disposizione effettivamente esplicante la forza di legge, molto più limitata ed individuata dal dispositivo della detta sentenza, da interpretarsi al lume della sua motivazione, com’è d’ordinario per l’interpretazione delle sentenze della Consulta. In sostanza, la norma effettivamente desumibile dal tenore del testo dell’art. 30 bis c.p.c. non è quella ad esso corrispondente, bensì quella individuata con ben più limitato ambito dalla sentenza del Giudice delle leggi.

Questo dato di partenza è ignorato tanto dalla sentenza impugnata quanto dagli stessi ricorrenti. L’una e gli altri ragionano, infatti, della norma senza fare alcun riferimento alla sentenza de qua.

Competerà, naturalmente, alla Corte, nell’esercizio dei suoi poteri di statuizione, esaminare la questione posta dal motivo rimediando a tale insufficiente approccio.

7.1. – Ciò premesso, sulla base del dispositivo della sentenza n. 147 del 2004, emerge che l’art. 30 bis c.p.c. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo e, quindi, cancellato come norma dall’ordinamento ab origine (art. 136 Cost.) nella sua totalità, quindi, in tutto quello che rappresentava l’ambito possibile della sua applicabilità, “ad eccezione della parte relativa alle azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui all’art. 11 c.p.p.”.

In ragione di detto dispositivo, la sentenza n. 147 del 2004 ha avuto carattere parzialmente demolitorio e caducatorio della norma emergente dall’art. 30 bis c.p.c. e, dunque, ha eliminato dall’ordinamento la norma in tutto il suo ambito di applicazione fatta eccezione per quella sua parte individuata con le espressioni riportate sopra fra virgolette.

E’ questo il senso dell’espressione “ad eccezione”, ingiustamente criticata come anomala da parte della dottrina che ha commentato la sentenza.

La Corte costituzionale, come traspare dalla motivazione, che, peraltro, va letta alla luce dei suoi precedenti, anche anteriori dalla L. n. 420 del 1998 (a partire dalla sentenza n. 51 del 1998, di poco precedente detta legge), ha ritenuto che la scelta del legislatore di dettare una norma di spostamento della competenza a somiglianza di quanto prevede l’art. 11 c.p.p. per il processo penale, riguardo a tutte le azioni civili comunque coinvolgenti (anche dopo l’instaurazione del giudizio, secondo quanto questa Corte ha già ritenuto) magistrati, fosse nella sua onnicomprensività scelta costituzionalmente lesiva dei parametri degli artt. 3 e 24 Cost., che, invece, non lo fosse (per le ragioni esposte nei paragrafi 5 e 6 del “Considerato in diritto”) soltanto riguardo alla tipologia di azioni civili individuata nel passo riportato sopra fra virgolette.

L’effetto della pronuncia è stato, dunque, come s’è già notato, di restringere l’efficacia normativa della disposizione esclusivamente a quanto individuato dal ricordato passo.

La norma desumibile dalla disposizione dell’art. 30 bis c.p.c., cioè dal testo linguistico di essa, una volta intesa in modo conforme e corrispondente alla restrizione operata, risulta individuata nei termini seguenti: “Le azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui all’art. 11 c.p.p., che secondo le norme del presente capo sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art. 11 c.p.p.”.

In sostanza, per effetto della declaratoria di incostituzionalità parziale dell’art. 30 bis, comma 1, l’espressione della disposizione originaria “Le cause in cui sono comunque parti magistrati” si deve intendere sostituita con quella figurante nel dispositivo della sentenza costituzionale.

7.2. – Una volta condivisa tale conclusione, se ci si interroga su quali sarebbero “le norme del presente capo” regolatrici della competenza che attribuirebbero la competenza all’ufficio giudiziario in cui il magistrato esercita le sue funzioni in relazione alle controversie oggetto dell’ipotesi eccettuata dalla pronuncia caducatoria, emerge che esse sarebbero individuabili astrattamente – trattandosi di obbligazione da illecito aquiliano -con riferimento ai fori generali del convenuto (artt. 18 e 19 c.p.c.) ed ai fori facoltativi di cui all’art. 20 c.p.c., e, quindi, al foro dell’adempimento dell’obbligazione, cioè quello del creditore (art. 1182 c.c., u.c.) ed al foro dell’insorgenza dell’obbligazione, cioè al locus commissi delicti.

Se il magistrato è convenuto come danneggiante o responsabile civile (per essere l’autore o il responsabile civile per il danno da reato), i primi due criteri di collegamento rilevanti per l’individuazione della competenza operano con riferimento ad uno stato di fatto, la sua residenza o domicilio (anche per il foro dell’adempimento), che si individua al momento in cui si agisce in giudizio contro il magistrato (ai sensi dell’art. 1182 c.c., u.c. non è individuabile un domicilio del tempo di scadenza per l’obbligazione ex delicto e, dunque, rileva il domicilio attuale, cioè quello dell’epoca di svolgimento dell’azione). Lo spostamento di competenza si correla, dunque, all’essere il magistrato convenuto in giudizio nella detta qualità residente o domiciliato al momento dell’azione nel distretto in cui presta servizio.

Il prestare servizio da parte del magistrato viene in rilievo, in sostanza, con riguardo al momento di proposizione della domanda, perchè il criterio ordinario di radicazione della competenza in questione è rappresentato da uno stato di fatto rilevante attuale, cioè rilevante con riferimento a quel momento (residenza o domicilio del magistrato danneggiante). Essendovi correlazione temporale con il momento della domanda dello stato di fatto che determinerebbe la competenza in via ordinaria anche lo stato di servizio del magistrato, in quanto determinate la deroga alla competenza, opera con riguardo al momento della domanda.

Rovesciando la prospettiva, cioè ipotizzando che il magistrato sia danneggiato dal reato (o per essere stato la persona offesa, o per avere risentito civilisticamente del danno cagionato dal reato ad altri) e che, quindi, si faccia attore della controversia civile di danni o restituzioni da reato, i due criteri di competenza di cui si è detto dovrebbero correlarsi, rispettivamente, alla residenza o al domicilio o alla sede del convenuto o (per quanto attiene al foro dell’adempimento) al domicilio del convenuto danneggiante o responsabile civile. Si tratta ancora una volta di stati di fatto rilevanti al momento dell’azione, per cui essi impongono la regola speciale se il magistrato attore sia in servizio nel distretto in cui risiede o si domicilia o ha sede il convenuto. Anche in questo caso viene in rilievo l’essere il magistrato in servizio al momento della domanda nel distretto di radicazione della competenza secondo le regole normali. Si deve derogare alla regola normale con riferimento ad uno stato di fatto operante al momento di proposizione della domanda e, quindi, la regola derogatoria deve operare con riguardo allo stato di fatto dello stato di servizio del magistrato in quello stesso momento.

Quando invece debba operare il criterio di collegamento del luogo dell’insorgenza dell’obbligazione, tanto se l’azione per il danno o le restituzioni da reato sia esercitata dal magistrato quanto se sia esercitata contro il magistrato, rispettivamente nella posizione di persona danneggiata o offesa dal reato, e nella posizione di danneggiante o responsabile civile, lo stato di fatto rilevante per la radicazione della competenza secondo detta regola di foro facoltativo è rappresentato da uno stato di fatto che si rinviene nel passato (cioè con riferimento a quando l’obbligazione è sorta) e non al momento della domanda, com’è per i fori generali e per quello del luogo di adempimento.

Pertanto, nel fare operare la regola derogatoria connessa al coinvolgimento del magistrato nelle qualità indicate all’art. 11 c.p.p., non viene in rilievo la circostanza che il magistrato presti servizio attualmente – cioè all’atto della domanda – nel distretto di corte d’appello nel quale si situa il focus commissi delicti, ma viene in evidenza la circostanza che egli vi prestasse servizio al momento dell’insorgenza dell’obbligazione (pur, in ipotesi, non prestandolo ora). Se fosse altrimenti, si avrebbe l’effetto che lo spostamento della competenza opererebbe non già per l’inopportunità – per esservi coinvolto un magistrato – che la competenza si radichi secondo lo stato di fatto normalmente rilevante, bensì solo per l’ulteriore circostanza che il magistrato abbia continuato a prestare servizio nel distretto. Il criterio del forum commissi delicti perderebbe, però, in questo modo qualsiasi rilievo come criterio di distribuzione ordinaria della competenza da derogarsi per il coinvolgimento del magistrato, assumendo rilievo solo il fatto oggettivo che il magistrato presti servizio nel distretto. Lo spostamento della competenza finirebbe per perdere la sua giustificazione rappresentata dall’inopportunità dell’operare della regola normale di competenza correlata alla tipologia di controversia di cui si tratta.

Questa lettura della norma scaturita dalla pronuncia di incostituzionalità, in sostanza, legge il ridimensionamento del suo ambito di applicazione risultante dall’eccezione alla dichiarata incostituzionalità, sulla base di una ricostruzione del riferimento della norma – anteriormente alla dichiarazione di incostituzionalità – all’esercizio da parte del magistrato delle funzioni nel distretto in cui la competenza si sarebbe radicata secondo le regola ordinarie, nel senso che esso nel contempo comprendesse:

a1) sia l’ipotesi di esercizio attuale delle funzioni nel distretto di radicazione della competenza, quando il criterio di radicazione della competenza normale fosse stato basato su uno stato di fatto correlato al momento della domanda;

a2) sia l’ipotesi di esercizio delle funzioni nel distretto di radicazione della competenza secondo la regola normale, allorchè il criterio di collegamento fosse stato basato su uno stato di fatto non individuato al momento della domanda, bensì con riguardo ad un momento anteriore (ipotesi che poteva verificarsi anche con riguardo ad altri casi di competenza, diversi da quella del forum commissi delicti: si pensi al foro di cui all’art. 22 c.p.c.).

7.3. – Si tratta di una lettura che, con riferimento alla norma risultante dalla sentenza della Corte costituzionale, trova riscontro nella sua motivazione, particolarmente nei punti 5. e 6. del “considerato in diritto”, i quali nello spiegare la ragione che giustifica la sottrazione alla pronuncia di incostituzionalità della tipologia di controversie individuata dalla Corte, identificandola nella circostanza che le controversie civili eccettuate sono quelle stesse che potrebbero essere inserite nel processo penale in ordine al reato e, se lo fossero, subirebbero lo spostamento di competenza previsto dall’art. 11 c.p.p., fa riferimento tanto all’ipotesi che lo spostamento debba avere luogo perchè il magistrato coinvolto presta servizio nel distretto di radicazione della competenza penale secondo le regole normali, quanto all’ipotesi che lo spostamento debba avere luogo perchè il magistrato prestava servizio in quel distretto.

Inoltre, la stessa Corte costituzionale sottolinea che a giustificare la sottrazione alla dichiarazione di incostituzionalità della norma dell’art. 30 bis c.p.c. delle controversie in questione è la circostanza che in esse il giudice civile viene a giudicare in via incidentale agli effetti civili dello stesso fatto di reato di cui avrebbe giudicato con spostamento della competenza il giudice penale nel caso di esercizio dell’azione civile in sede penale e comunque agli effetti penali. E’ questa la ragione che la Corte costituzionale ravvisa per ritenere giustificata la permanenza della norma dell’art. 30 bis c.p.c., per la tipologia di controversie inerenti l’azione di risarcimento danno e/o di restituzioni nascenti da reato coinvolgente un magistrato, escludendo perciò ogni possibile sovrapposizione all’esercizio da parte del legislatore delle proprie scelte discrezionali nell’individuare ipotesi di processi civili coinvolgenti magistrati meritevoli di applicazione della regola derogatoria di cui all’art. 11 c.p.c. (più volte rimarcata a partire da Corte cost. n. 51 del 1998).

8. – Giusta le svolte considerazioni sembra, dunque, doversi dichiarare la competenza del Tribunale di Caltanissetta, perchè il focus commissi delicti rilevante per la competenza secondo le regole ordinarie si identifica in (OMISSIS), nel cui distretto di corte d’appello prestava servizio all’epoca C.G.C..

9. – La questione di costituzionalità prospettata con il secondo motivo resta assorbita e tanto esime dal rilevare quali sarebbero state le conseguenze dell’inosservanza rispetto ad essa dell’art. 366 bis c.p.c.”.

2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione.

Ad esse è sufficiente aggiungere quanto segue.

Non è fondata l’eccezione di inammissibilità per tardività del deposito della memoria del resistente, sollevata dai ricorrenti sotto il profilo che il deposito sarebbe avvenuto oltre il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per regolamento. Infatti, è vero che nel procedimento per regolamento di competenza, il termine di venti giorni stabilito dal’art. 47 c.p.c., u.c. per il deposito nella cancelleria della Corte di Cassazione delle scritture difensive ha carattere ordinatorio e, pertanto, se non vi sia opposizione delle controparti, la Corte è tenuta a prendere in considerazione anche le scritture difensive tardivamente depositate (Cass. n. 14659 del 2000), ma, in caso contrario la tardività comporta che la costituzione per il tramite della memoria debba considerarsi tamquam non esset. Tuttavia, nella specie il deposito della memoria è avvenuto ai sensi dell’art. 134 disp. att. c.p.c. e, quindi, ai sensi del comma 4 di detta norma, il deposito si ha per avvenuto alla data della spedizione del relativo plico postale, che risulta essere stata il 27 giungo 2007. Il plico pervenne, poi, il 2 luglio e l’iscrizione avvenne il 6 luglio.

L’eccezione di tardità è, dunque, rigettata.

Peraltro, la memoria non si fa carico di argomentare in modo specifico sui singoli passaggi del complessivo iter della relazione e, dunque, il Collegio non ritiene necessario aggiungere considerazioni ad essa. E’ solo opportuno rilevare che la memoria torna a prospettare un rilievo dell’art. 5 c.p.c. che la norma dell’art. 30 bis c.p.c. fin dal suo originario tenore derogava e che, in relazione alla versione attuale risultante dalla sentenza della Consulta si deve valutare tenendo conto della individuazione dello stato di fatto rilevante nei termini di cui alla relazione.

3. Il ricorso è, dunque, accolto ed è dichiarata la competenza del Tribunale di Caltanissetta.

Le spese del giudizio di cassazione, attesa la sussistenza del contrasto risolto dalle Sezioni Unite in ordine alla prima questione esaminata e la novità e delicatezza della seconda questione, possono compensarsi ricorrendo all’uopo giusti motivi.

PQM

LA CORTE Dichiara la competenza del Tribunale di Caltanissetta, davanti al quale rimette le parti con termine per la riassunzione fino a quattro mesi dalla comunicazione del deposito della presente. Compensa le spese del giudizio di regolamento di competenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

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