Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4185 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 19/02/2020, (ud. 19/06/2019, dep. 19/02/2020), n.4185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6976-2017 proposto

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELLA SALUTE, in persona

dei rispettivi Ministri pro tempore, tutti rappresentati e difesi

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano

ope legis, in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrenti –

contro

D.L., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ATTILIO REGOLO, 12/D, presso lo studio dell’avvocato ITALO

CASTALDI, rappresentati e difesi dall’avvocato STANISLAO LUCARELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 441/2017 della CORTE D’APPELLO di 02/02/2017

R.G.N. MILANO, depositata il 4075/2014.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza n. 15751/2014 questa Corte accoglieva il ricorso proposto da D.L. e altri litisconsorti avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che aveva respinto la domanda diretta ad ottenere la corresponsione della adeguata remunerazione dovuta in conseguenza della frequentazione dei corsi di specializzazione post- laurea.

1.1. Tale sentenza affermava che la Corte territoriale non aveva fatto corretta applicazione degli ormai consolidati principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, richiamava il principio enunciato da Cass. n. 1182 del 2012, secondo cui la mancata trasposizione da parte del legislatore italiano, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE – non autoesecutive – fa sorgere il diritto degli interessati al risarcimento dei danni causati dal mancato adempimento. Affermava che, ai fini della prova nel relativo giudizio, la circostanza che i medici avessero, nel periodo di ritardato adempimento, frequentato le scuole di specializzazione come in precedenza organizzate costituisce indizio presuntivo che essi le avrebbero ragionevolmente frequentate anche nel diverso regime conforme alle prescrizioni comunitarie. Affermava infine che i medici non avrebbero potuto essere gravati della prova di non avere percepito, durante il periodo di formazione, altre remunerazioni o borse di studio, trattandosi di circostanze – eventualmente rilevanti a titolo di aliunde perceptum – l’onere della cui prova va posto a carico del soggetto inadempiente.

2. Pronunciando in sede di rinvio, la Corte di appello di Milano, ritenuta coperta da giudicato interno l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dai Ministeri convenuti (Ministero della salute, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero dell’Istruzione, Università e della Ricerca Scientifica), condannava gli stessi in solido tra loro al pagamento, in favore di ciascun ricorrente in riassunzione, delle somme specificate in dispositivo.

2.1. Osservava, per quanto ancora rileva nella presente sede:

– che l’Avvocatura dello Stato aveva contestato in sede di rinvio che per alcuni specializzandi non sussisteva il diritto, in quanto avevano iniziato la scuola di specializzazione prima dell’entrata in vigore dell’e direttiva comunitaria CEE/82/76 e dunque prima che fosse scaduto il termine per il suo recepimento da parte dello Stato Italiano; aveva altresì eccepito, per altre posizioni, che non poteva essere riconosciuto il diritto in quanto la scuola di specializzazione frequentata non rientrava tra quelle incluse nell’elenco delle direttive comunitarie di cui si lamentava la tardiva trasposizione;

– che tuttavia, entrambe le contestazioni erano tardive, in quanto sollevate per la prima volta in sede di rinvio;

– che, in ogni caso, l’avere iniziato la scuola di specializzazione prima della scadenza del termine per il recepimento non era determinante, avendo gli specializzandi conseguito il titolo dopo che tale termine era scaduto;

– che il non avere frequentato scuole di specializzazione previste dalle direttive comunitarie non poteva considerarsi dirimente, proprio alla luce di Cass. n. 1182 del 2012 menzionata nella sentenza rescindente.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso le Amministrazioni soccombenti sulla base di due motivi. I medici hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo denuncia promiscuamente error in iudicando e error in procedendo (violazione artt. 1218 e 2043 c.c., artt. 392 e 394 c.p.c.; direttiva CEE 82/76; L. n. 370 del 1999, art. 11), per impugnare la statuizione di tardività con riferimento alle eccezioni sollevate da parte convenuta in riassunzione.

Parte ricorrente trascrive – nelle parti ritenute rilevanti – il contenuto delle difese svolte in appello e in primo grado per sostenere che le eccezioni ritenute tardive erano invece già state sollevate nelle precedenti fasi del giudizio e il relativo esame era rimasto assorbito e dunque tali eccezioni ben potevano essere riproposte in sede di rinvio.

2. Il secondo motivo denuncia error in iudicando (violazione artt. 1218 c.c. e segg. art. 2043 c.c., violazione direttiva CEE 82/76, L. n. 370 del 1999, art. 11) per avere la Corte di appello ritenuto di potere accogliere anche le domande dei medici che avevano iniziato il corso di specializzazione anteriormente al 31.12.82, non essendo all’epoca cogente la Direttiva CEE 82/76.

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Va premesso che, nel giudizio di rinvio, i limiti dei poteri attribuiti al giudice sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto solo ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nel caso, invece, di cassazione con rinvio per vizio di motivazione, da solo o cumulato con il vizio di violazione di legge, il giudice è investito del potere di valutare liberamente i fatti già accertati ed anche d’indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata (Cass. n. 16660 del 2017, nonchè, ex multis, Cass. n. 2652 del 2018, 23335 del 2016).

4.1. Nel caso in esame, alla stregua del tenore della sentenza rescindente, il giudice di rinvio era tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti già acquisiti al processo. Tanto premesso, va osservato quanto segue.

5. La Corte territoriale ha rilevato che l’Avvocatura dello Stato aveva contestato solo in sede di rinvio alcuni presupposti di fatto del diritto azionato dai medici, ossia: a) che alcuni specializzandi avevano iniziato la scuola di specializzazione prima dell’entrata in vigore della direttiva comunitaria CEE/82/76 e dunque anche prima che fosse scaduto il termine per il suo recepimento da parte dello Stato Italiano; b) che per altre posizioni la scuola di specializzazione non rientrava tra quelle incluse nell’elenco delle direttive comunitarie di cui si lamentava la tardiva trasposizione. Ha dunque ritenuto tardive ed inammissibili tali eccezioni di merito.

5.1. Le Amministrazioni ricorrenti per cassazione sostengono l’erroneità della statuizione di inammissibilità, assumendo di avere già svolto, nei gradi del pregresso giudizio di merito, difese atte a contestare i due presupposti del diritto azionato, da cui la legittimità della loro riproposizione in sede di rinvio, trattandosi di eccezioni rimaste in precedenza assorbite. Trascrivono a tal fine alcuni passi delle difese svolte in primo grado e in appello, ritenuti salienti (v. pagg. 6-8 ric. cass.).

6. Da tali passaggi, tuttavia, non è dato riscontrare la fondatezza di quanto asserito nel primo motivo di ricorso. Con tali difese di merito era stata rappresentata dai Ministeri convenuti – come riportato nel ricorso per cassazione – la diversità della “situazione degli specializzandi iscritti ai corsi anteriormente all’anno accademico 1991/1992…” rispetto a quella dei “…laureati ammessi ai corsi di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia in punto di durata del corso, sia di orario obbligatorio di frequenza che infine di incompatibilità….”. Si era così sostenuta la non eouiparabilità tra corsi aventi una diversa regolamentazione nell’ordinamento interno dello Stato italiano, prima e dopo il recepimento operato dal D.Lgs. n. 257 del 1991.

6.1. Tale questione – che innanzitutto risulta già affrontata espressamente dalla Corte territoriale, laddove ha affermate che “…la frequentazione della scuola da parte degli appellanti nel periodo interessato lascia presumere secondo un criterio evidenziato in numerose pronunce della Cassazione…- che essi l’avrebbero frequentata anche nel diverso regime conforme alle prescrizioni comunitarie:..” (pag. n. 9 sent. imp.) – non corrisponde a nessuno dei due temi oggetto delle eccezioni sollevate nel giudizio di rinvio e ritenute tardive dalla Corte territoriale, con statuizione ora investita dal primo motivo dell’odierno ricorso per cassazione.

6.2. Esse si riferivano: a) al fatto che alcuni medici si erano iscritti al corso di specializzazione anteriormente al 31 dicembre 1982, prima dell’entrata in vigore della Direttiva CEE 82/76; b) al fatto che alcune delle specializzazioni (Igiene e medicina preventiva e Scienze dell’alimentazione) frequentate dai medici non fossero, per tipologia e durata, conformi alla direttive comunitarie.

7. All’evidenza, trattasi di eccezioni ben diverse da quella illustrata nel ricorso a sostegno dell’impugnazione. Dunque, lo stesso motivo di ricorso, oltre a presentare delle evidenti incongruità logico-giuridiche intrinseche alla sua esposizione e non essere specifico (art. 366 c.p.c., n. 4) rispetto alla (prima) ratio decidendi su la sentenza si fonda, non fornisce alcun elemento per ritenere che il giudice di rinvio, laddove ha ritenuto nuove e quindi inammissibili le due suddette censure, sia incorsa in error in procedendo.

7.1. Il motivo si prospetta quindi inammissibile per diversi concorrenti profili.

8. Resta assorbito l’esame del secondo motivo, che verte sulla seconda ratio decidendi.

8.1. Il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima ratio decidendi, esamini ed accolga anche una seconda ratio, al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della potestas iudicandi, atteso che l’art. 276 c.p.c., distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse rationes decidendi, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicchè l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (v, tra le più recenti, Cass. n. 15399 del 2018).

9. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

10. Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778 del 2016, n. 23514 del 2014, n. 5955 del 2014).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le Amministrazioni ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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