Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4181 del 21/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 4181 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: CECCHERINI ALDO

SENTENZA

sul ricorso 22605-2008 proposto da:
OROMARE S.C.P.A. (p.i. 03537031217), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA A. CARONCINI 6, presso
l’avvocato CONTARDI GENNARO, rappresentata e difesa
dagli avvocati PISANI MASSAMORMILE ANDREA, DORIA
2013

ATTILIO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –

1922

contro

GESIN S.R.L., RIVIERA DI CHIAIA 257 DI EMILIO

Data pubblicazione: 21/02/2014

FEROLLA & C. S.A.S.;
– intimate –

Nonché da:
GESIN S.R.L.

(p.i. 04893221210), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente

LUIGI GARDIN, rappresentata e difesa dall’avvocato
PARRELLA DOMENICO, giusta procura in calce al
controricorso e ricorso incidentale;
– controrícorrente e ricorrente incidentale contro

RIVIERA DI CHIAIA 257 DI EMILIO FEROLLA & C.
S.A.S., OROMARE S.C.P.A.;
– intimate –

avverso la sentenza n.

971/2008 della CORTE

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 14/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 05/12/2013 dal Consigliere
Dott. ALDO CECCHERINI;
udito,

per

la ricorrente,

domiciliata in ROMA, VIA MANTEGAllA 24, presso

l’Avvocato PISANI

MASSAMORMILE che ha chiesto l’accoglimento;
udito,

per la controricorrente e ricorrente

incidentale, l’Avvocato PARRELLA che ha chiesto il
rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

2

Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso incidentale, accoglimento dei

primi due motivi, assorbiti gli altri.

3

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Oromare s.c.p.a. impugnò davanti alla corte d’appello di Napoli il lodo arbitrale in data 27 ottobre 2005,
emesso nel giudizio tra la medesima società e la Riviera

dell’ATI costituita dalla Gesin s.r.l. (poi s.a.s. Riviera
di Chiaia 257) e dalla PCA int. Pica Ciamarra Associati
s.r.l. La Gesin s.r.l. era intervenuta nel giudizio arbitrale dichiarando di aver acquistato l’azienda dalla società Gesin, originaria titolare del rapporto dedotto in
lite; e nel giudizio d’impugnazione resistette proponendo
a sua volta impugnazione incidentale.
2. La clausola compromissoria era contenuta nel contratto stipulato tra le parti per scrittura privata il 24
febbraio 2002, avente a oggetto la progettazione e direzione lavori per la realizzazione di un centro in Marcianise, con pattuizione dei compensi in deroga ai minimi tariffari vigenti. I contrasti insorti tra le parti in sede
di esecuzione erano stati risolti con una transazione in
data 26 febbraio 2003, peraltro contestata dalla mandataria dell’ATI, per difetto dei poteri rappresentativi in
capo a chi aveva sottoscritto l’accordo.
3. Il lodo impugnato era stato preceduto da un lodo
parziale emesso in data 29 ottobre 2004, che aveva respinto le tre questioni preliminari proposte dalla stessa Oro4

di Chiaia 257 di Emilio Ferolla C. s.a.s., mandataria

mare e vertenti: a) sull’inammissibilità o improponibilità
della domanda di arbitrato, in conseguenza dell’accordo
transattivo 26 febbraio 2003, che avrebbe determinato la
risoluzione della convenzione 10 gennaio 2001, come modificata dalla scrittura 24 settembre 2002; b)

guente liberazione dell’Oromare da ogni obbligazione nei
confronti dell’ATI dietro pagamento della somma pattuita,
di cui reiterava l’offerta; c) sull’efficacia
dell’accettazione della transazione da parte della PCA
int. Pica Ciamarra associati s.r.1., successivamente al
recesso della s.c.a.r.l. Oromare, nel determinare la revoca del mandato conferito dall’associata all’associante Gesin. Questo lodo parziale era stato impugnato
dall’Oromare, ed è stato poi deciso con sentenza
d’improponibilità in data 20 marzo 2006.
4. La corte d’appello di Napoli, con sentenza in data

14 marzo 2008, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione
di Oromare relativamente ai motivi che rimettevano in discussione le questioni decise con il lodo parziale, che
era stato oggetto di separata impugnazione, e l’ha rigettata nel resto. Ha accolto in parte l’appello incidentale
della Gesin quale capogruppo dell’ATI, e ha annullato il
lodo nella parte in cui dichiara che la somma corrisposta
alla società mandante Pica. Ciamarra debba essere decurtata
rel. est.
Il c
dr. A1LidLeccherini

5

sull’efficacia della transazione predetta e sulla conse-

dall’importo complessivo dovuto all’ATI, e nella parte in
cui limita alla somma di C 1.137.243,00, oltre agli accessori come per legge, la somma dovuta da Oromare alla capogruppo dell’ATI.
5. Contro questa sentenza, non notificata, ricorre O-

Resiste Gesin s.r.l. con controricorso e ricorso incidentale per tre motivi.
Il curatore del fallimento Oromare s.c.p.a., dichiarato il 31 agosto 2012, ha depositato memoria.
Anche la Gesin s.r.l. ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

6. I primi due motivi del ricorso principale censurano, rispettivamente per contraddittorietà di motivazione e
per violazione di norme di diritto, la dichiarazione
d’inammissibilità dei motivi d’impugnazione del lodo definitivo, concernenti questioni già decise con il lodo parziale fatto oggetto di separata impugnazione. Si deduce
che l’impugnazione del lodo definitivo sarebbe stata dichiarata improponibile, e che tale vizio – diversamente da
quello dell’inammissibilità contemplato nell’art. 334 cpv.
c.p.c.

non

comporta

consumazione

del

diritto

d’impugnazione; che la statuizione impugnata negherebbe il
diritto di difesa della parte sulle questioni preliminari
oggetto d’impugnazione del lodo parziale, e sulle quali
6

romare s.c.p.a. per nove motivi.

nessun giudice si è pronunciato; che la statuizione medesima violerebbe il principio del giusto processo.
6.1.

I due motivi sono infondati. Va premesso che

nell’interpretazione della domanda giudiziale – nella fattispecie, sotto il profilo dell’estensione dell’impugna-

la Corte suprema di cassazione è giudice del fatto processuale, con la conseguenza che, essendo la corte abilitata
all’esame diretto degli atti processuali sottoposti alla
sua cognizione, non è configurabile un vizio di motivazione (non potendo il giudice di merito rimediare con la motivazione all’eventuale vizio in procedendo in cui sia incorso), e neppure quello di violazione di norme di diritto, (art. 360, comma primo n. 3 c.p.c.) che è limitato agli errores in iudicando, bensì – quando si traduca, come
nella fattispecie, nell’omessa decisione di merito su domande proposte dalla parte – un vizio in procedendo, per
violazione dell’art. 112 c.p.c., deducibile esclusivamente sotto la rubrica dell’art. 360, comma secondo n. 4
c.p.c.
6.2.

La corte, dunque, è chiamata a pronunciarsi

sull’estensione della domanda d’impugnazione proposta dalla società ricorrente, e sulla quale si è pronunciata la
corte territoriale. A questo riguardo è certo, perché le
conclusioni della società impugnante riportate nella senIl c
rel. est.
dr. AlLIS teccherini

7

zione di lodo arbitrale proposta dall’odierna ricorrente –

tenza impugnata sono espressamente ribadite dalla ricorrente nel presente giudizio, che la domanda di annullamento era diretta esclusivamente contro il lodo arbitrale definitivo, pronunciato (l in data 27 ottobre 2005, e non
anche contro il lodo parziale precedentemente (il 29 otto-

va respinto le tre questioni preliminari proposte dalla
stessa Oromare.
Ciò posto, deve condividersi l’affermazione del giudice di merito, che la riproduzione nel corpo del lodo definitivo delle vicende del giudizio arbitrale, e in particolare di eccezioni preliminari sollevate da una parte, e
già decise con il precedente lodo parziale, non poteva essere interpretata come espressione della volontà di ripetere il medesimo giudizio: in ogni caso, la nullità di
questa parte del lodo definitivo, nell’interpretazione datane dalla società ricorrente, non poteva sortire altro
effetto che quello di rendere non più contestabile il giudizio espresso nel precedente lodo parziale, che come s’è
detto non è stato impugnato nel presente giudizio.
La discussione, poi, sulla portata dell’art. 827
c.p.c., nel testo anteriore alla Novella n. 40 del 2006, è
irrilevante in questa sede: l’esatta premessa che in questo caso il lodo parziale (da intendere come “non definitivo”, nel senso dell’art. 279 comma secondo n. 4 c.p.c.)

8

bre 2004) emesso dallo stesso collegio arbitrale, che ave-

potesse essere impugnato solo unitamente al lodo definitivo ex art. 827, comma terzo parte finale c.p.c., e che
l’impugnazione immediata a norma della prima parte della
stessa disposizione non fosse consentita rileverebbe astrattamente solo qualora il lodo parziale fosse stato im-

tivo. Così non è stato, con conseguente infondatezza di
tutte le censure in esame.
7.

Con il terzo motivo si denuncia, con riferimento

all’art. 112 c.p.c., un’omessa pronuncia su eccezioni sollevate con l’atto d’impugnazione, relativamente alla nullità del lodo per quattro “eccezioni” indicate in citazione nel quarto motivo, sull’inapplicabilità della legge n.
104/1994 al contratto 24 settembre 2002, sull’errata interpretazione del contratto circa il rinvio alla medesima
legge, sulla mancata rilevazione della nullità del contratto per violazione delle norme sulla scelta del progettista mediante selezione a evidenza pubblica, e e sulla
nullità del contratto che demandava ad un’ATI un’attività
professionale protetta. La ricorrente precisa, nell’esposizione del fatto, di aver contestato il lodo nella parte
in cui ha dichiarato la nullità della pattuizione della
deroga ai minimi tariffari.
7.1. La corte territoriale si è pronunciata sul quarto

motivo d’impugnazione, escludendo la legittimità della
Il co
dr. Al

rel. est.
herini

9

pugnato nel presente giudizio, unitamente al lodo defini-

pattuizione in deroga ai minimi tariffari, oggetto comune
alle censure mosse al lodo arbitrale sopra ricordate, con
estesa motivazione sui profili ritenuti rilevanti, sicché
la censura di omessa pronuncia è infondata.
In realtà, la ricorrente intende denunciare il fatto

nullità del lodo per ritenuta illegittimità della deroga
ai minimi tariffari, la corte territoriale sia pervenuta
senza discutere alcuni dei profili proposti dalla società
impugnante a illustrazione della sua tesi difensiva. Si
tratta, dunque, di un problema di motivazione, vizio di
legittimità diverso da quello denunciato, e che ha dei
profili propri e diversi.
Occorre però aggiungere che un vizio di motivazione
non è configurabile rispetto a questioni di diritto, quali
l’inapplicabilità della legge n. 104/1994, la violazione
delle norme sulla scelta del progettista mediante selezione ad evidenza pubblica e la possibilità di demandare ad
un’ATI un’attività professionale protetta; questioni, dunque, non censurabili in cassazione per vizio di motivazione, ma solo per violazione delle norme di diritto, con motivi d’impugnazione che dovevano essere accompagnati dal
corrispondente – adeguato -quesito di diritto ex art. 366
bis c.p.c.; e che, inoltre, l’interpretazione del contrat-

10

che, al rigetto del suo quarto motivo d’impugnazione sulla

to è oggetto di un’indagine di merito, che è estranea al
giudizio d’impugnazione del lodo arbitrale.
8. Il quarto e il quinto motivo censurano sotto il
profilo della motivazione, contraddittoria per l’uno e assente per l’altro, l’affermazione nell’impugnata sentenza

zione relativa alla normativa applicabile al caso di specie. Si sostiene che la questione era stata già sollevata
nell’atto d’impugnazione.
8.1. Anche in tal caso si rileva come i quesiti di di-

ritto vertano su un vizio di motivazione, peraltro doppiamente inammissibile: perché (con il motivo quinto)
s’individua un vizio di motivazione in una contraddizione
tra la sentenza e gli atti processuali, laddove la contraddizione che rileva, ai fini dell’art. 360 comma primo
n. 5 c.p.c. è esclusivamente quella interna alla sentenza;
e perché, più in radice, con entrambi si denuncia un vizio
di motivazione a proposito di quello che sarebbe in ogni
caso un error in procedendo esaminabile sotto il profilo
dell’art. 360, comma primo n. 4 c.p.c., e per il quale,
come s’è ricordato al punto precedente, non può farsi questione di motivazione.
9. Il sesto motivo ripropone la medesima questione
sotto l’angolatura della violazione dell’art. 113 c.p.c.:
trattandosi di questione di diritto, essa doveva essere
Il co
dr. Al

rel. est.
cc herini

11

della tardività, e conseguente inammissibilità dell’ecce-

esaminata d’ufficio dal giudice, a nulla rilevando che la
questione fosse stata sollevata tardivamente.
9.1.

Questo motivo è infondato. Questa corte ha più

volte chiarito il principio di diritto più generale, del
quale deve tenersi conto anche nel caso presente, che la

riamente coordinato con il principio dispositivo e con
quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e
trova applicazione soltanto quando la nullità si ponga come ragione di rigetto della pretesa attorea (nel caso dei
giudizi d’impugnazione: della pretesa della parte impugnante), non anche quando sia invece la parte a chiedere
la dichiarazione d’invalidità di un atto a essa pregiudizievole, dovendo in tal caso la pronuncia del giudice essere circoscritta alle ragioni d’illegittimità denunciate
dall’interessato, senza potersi fondare su elementi rilevati d’ufficio o – come nel caso in esame – tardivamente
indicati (Cass. 4 novembre 2004 n. 21095; 27 giugno 2005
n. 13732 e succ. conf.). Nella specie, la nullità del lodo
arbitrale, per erronea identificazione della normativa applicabile al caso di specie, doveva costituire oggetto di
specifico motivo d’impugnazione e non poteva essere rilevata d’ufficio.
10. I motivi settimo e ottavo vertono sull’accoglimen-

to dell’appello incidentale della Gesin s.r.1., mandataria

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rilevabilità d’ufficio della nullità dell’atto va necessa-

dell’ATI. La decisione sull’inefficacia, nei confronti
dell’ATI, del pagamento eseguito dalla Oromare alla PCA
Pica Ciamarra Associati è stata motivata dalla corte territoriale, con l’applicazione dell’art. 22 della legge 8
agosto 1977 n. 584, per il quale “Al mandatario spetta la

mandanti nei confronti del soggetto appaltante per tutte
le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti
dall’appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino alla
estinzione di ogni rapporto”. Si deduce la falsa applicazione della norma, contenuta in una legge che è stata abrogata dal d.lgs. 19 dicembre 1991 n. 406 (settimo motivo); e si aggiunge che la nuova norma, contenuta nel citato decreto n. 406 del 1991, è dettata a tutela
dell’appaltante, e non può pertanto essere invocata dalla
capogruppo dell’ATI per contestare l’efficacia nei suoi
confronti di pagamenti eseguiti direttamente alla mandante. Si cita a questo proposito la giurisprudenza di questa
corte.
10.1. I motivi sono infondati. Va premesso che l’errata identificazione della norma applicabile è irrilevante,
quando il regolamento della fattispecie sia conforme a diritto, traducendosi in un errore al quale la corte di legittimità supplisce a norma dell’art. 384 ult. co . c.p.c..
Nel merito della questione di diritto si osserva che
Il cons.
dr. Aldo

est.
herini

13

rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese

l’esclusiva del mandato alla capogruppo dell’ATI, posta
effettivamente dal legislatore a tutela dell’interesse
della parte pubblica committente a trattare con un unico
soggetto, comporta un assetto unitario degli interessi del
gruppo, che, se consente alle singole imprese di concorre-

sibilità per le imprese mandanti di riscuotere separatamente dalla parte committente i compensi spettanti. La
giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (Cass. 13 settembre 2007 n. 19165) non è pertinente al caso in esame,
perché riguarda il caso del fallimento della mandataria
capogruppo: la conseguente estinzione del rapporto di mandato tra le parti, si è detto in quel precedente, non trova ostacolo nelle regole del mandato in rem propriam, che
riguardano i rapporti tra le parti del mandato, laddove
nel caso particolare dell’ATI l’irrevocabilità è stabilita
a tutela della parte committente. Nella fattispecie non
ricorre l’ipotesi del fallimento della società mandataria,
e non vi era giustificazione per la pretesa della mandante
di sottrarsi al regolamento dell’associazione temporanea,
pregiudicando l’interesse di gruppo.
11. Con il nono motivo si censura per contraddittorietà della motivazione la dichiarata inammissibilità del sesto motivo d’impugnazione del lodo arbitrale, che riguardava gli effetti della scrittura privata intervenuta tra

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re con successo alle gare di appalto, esclude poi la pos-

PCA e Oromare il 10 novembre 2004 (cessione alla Oromare
delle sue ragioni di credito nei confronti della Gesin
s.r.1., pari al 50,82% dell’intera quota lavori commissionata all’ATI). L’inammissibilità era stata dichiarata sul
presupposto erroneo che il motivo d’impugnazione censurasse il lodo parziale e fosse basato sulla transazione 26
febbraio 2003, laddove la scrittura di cessione di credito
invocata era successiva allo stesso lodo parziale (29 ottobre 2004), e il motivo non poteva averlo ad oggetto.
11.1. L’omessa pronuncia su un motivo d’impugnazione,

come s’è già osservato, configura un vizio di legittimità
riconducibile all’area degli errores in procedendo contemplati dall’art. 360 n. 4 c.p.c., e deve essere di conseguenza formulato nell’osservanza dei requisiti di tale vizio, nella specie non rispettati, mentre è inammissibile
il “quesito di diritto” (propriamente: la sintesi del motivo formulata a norma dell’art. 366

bis parte seconda

c.p.c.) sulla motivazione – irrilevante – addotta dalla
corte territoriale.
12. Il ricorso incidentale è assorbito dal rigetto del

ricorso principale, posto che in ordine all’omessa pronuncia sulle eccezioni sollevate nel giudizio d’impugnazione
davanti alla corte d’appello la Gesin, a seguito del rigetto dell’impugnazione principale, non ha interesse.

Il cons #1. est.
dr. Aldo ,”; cherini

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13. In conclusione il ricorso è respinto. Le spese del

giudizio seguono la soccombenza, e sono liquidate come in
dispositivo.
P. q. m.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 8.200,00, di cui 8.000,00 per
compenso, oltre agli accessori di legge
Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della
prima sezione della Corte suprema di cassazione, il giorno
5 dicembre 2013.

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