Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41797 del 28/12/2021

Cassazione civile sez. I, 28/12/2021, (ud. 11/11/2021, dep. 28/12/2021), n.41797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2380/2019 proposto da:

S.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dagli avvocati Fabricatore Claudio, Sasso Del Verme Marco, giusta

procura a margine della memoria di costituzione in sostituzione di

precedente difensore;

– ricorrente –

contro

R.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 377/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA

depositata il 08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/11/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 377/2018 pubblicata l’8 giugno 2018 la Corte d’appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lagonegro n. 323/2016, ha accolto per quanto di ragione l’appello principale proposto da R.G. nei confronti di S.A., determinando in Euro 1.500 mensili l’assegno di mantenimento dovuto alla R., oltre rivalutazione annuale secondo indici Istat con decorrenza da dicembre 2017, ha rigettato l’appello incidentale proposto dallo S. diretto ad ottenere la revoca del contributo di mantenimento in favore della moglie e ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata, compensando per metà le spese del doppio grado e ponendo a carico dell’appellato la residua metà.

2. Avverso questa sentenza, S.A. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. R.G. è rimasta intimata.

3. All’esito dell’accoglimento dell’istanza del ricorrente di sollecita trattazione, il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: i) con il primo motivo l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, per non avere la Corte d’appello considerato che la R. svolge attività professionale autonoma continuativa e ben remunerata, ha redditi adeguati, in base alle risultanze delle indagini della Guardia di Finanza relative al periodo da marzo 2009 a ottobre 2014 e ai dati fattuali in dettaglio riportati in ricorso, e non ha pertanto diritto all’assegno di mantenimento, come da giurisprudenza anche delle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di assegno divorzile, che diffusamente richiama; evidenzia, altresì, che lo stesso art. 156 c.c. al comma 1 dispone che il mantenimento sia dovuto allorquando il coniuge non abbia adeguati redditi propri, che la R. non aveva dato prova di mutamenti del proprio tenore di vita dopo la separazione e che la motivazione della sentenza impugnata era perplessa ed incoerente nelle conclusioni, nella parte in cui era stata valorizzata la spesa sostenuta dalla R. per il canone di locazione (Euro 1.500,00) di una costosa abitazione sita in (OMISSIS), senza considerare che detta spesa era funzionale al mantenimento della figlia S., convivente con la madre, alla quale era stato riconosciuto il mantenimento di Euro 1.000,00 mensili; ii) con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per avere la Corte d’appello riformato la sentenza di primo grado in punto regolazione delle spese di lite, compensate integralmente dal Tribunale, benché la R. non avesse censurato con l’appello principale la statuizione in punto spese di lite, che, ad avviso del ricorrente, era corretta, equa e coerente con il principio di causalità, avuto riguardo all’esito della lite e, dunque, alla reciproca soccombenza delle parti.

2. Il primo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

2.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (tra le tante Cass. 12196/2017; Cass. 16809/2019). Per quanto ora di interesse, va ribadito che l’obbligo di assistenza materiale trova di regola attuazione nel riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versi in una posizione economica deteriore e non sia in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi. Sotto tale profilo, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, con l’espressione “redditi adeguati” la norma ha inteso riferirsi al tenore di vita consentito dalle possibilità economiche dei coniugi (Cass. 9915/2007); tale dato, non ricorrendo la condizione ostativa dell’addebito della separazione, richiede un’ulteriore verifica per appurare se i mezzi economici di cui dispone il coniuge richiedente gli consentano o meno di conservare tale tenore di vita. L’esito negativo di detto accertamento impone, poi, di procedere a una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, nonché di particolari circostanze (cfr. art. 156 c.c., comma 2), quali, ad esempio, la durata della convivenza.

2.2. Ciò posto e chiarita, nel senso di cui si è detto, l’espressione “redditi adeguati”, le considerazioni svolte in ricorso sul punto, peraltro mediante improprio richiamo di principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di assegno divorzile, sono in buona sostanza anche riferibili alla violazione dell’art. 156 c.c., pur se il vizio, come rubricato, è denunciato ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, e sono del tutto prive di fondamento, ribadita la netta differenza, nei termini infra precisati, dei presupposti fondanti la debenza dell’assegno di mantenimento al coniuge separato rispetto a quelli dell’assegno divorzile.

La Corte di appello si è attenuta al citato orientamento di questa Corte in tema di assegno separativo, che ha espressamente richiamato, ha proceduto in dettaglio al raffronto tra le posizioni reddituali e patrimoniali dei due coniugi (cfr. pag. 12, 13 e 14 della sentenza impugnata) e, all’esito, ha ravvisato sussistente l’attuale disparità tra le suddette posizioni, peraltro aggiungendo che l’importo dell’assegno di mantenimento in Euro 1.500,00 (somma comprensiva anche del contributo per il canone di locazione mensile per l’abitazione familiare e così quantificata in misura superiore rispetto all’importo di Euro 850,00 riconosciuto dal Tribunale) era il medesimo già attribuito alla moglie nel 2013, in sede di reclamo, dalla Corte d’appello di Salerno e che, rispetto agli elementi esaminati in quella sede, non era dato rinvenire le necessarie significative modifiche, né in senso migliorativo, né in senso peggiorativo, delle situazioni patrimoniali dei coniugi.

2.3. Gli altri profili di censura, per un verso, non si confrontano specificamente con il percorso argomentativo della sentenza impugnata e, per altro preponderante verso, si risolvono, tramite l’apparente denuncia di omesso esame di fatti decisivi, in una sostanziale ed impropria richiesta di rivalutazione delle risultanze probatorie.

Come si è detto, la Corte di merito ha dato conto nel dettaglio delle risultanze istruttorie emerse dalle indagini della Guardia di Finanza, ed in particolare dell’attività di lavoro della moglie e dei suoi redditi, il cui esame non risulta affatto omesso, e le doglianze sono in realtà dirette a criticare la valutazione probatoria degli elementi istruttori acquisiti in causa. Il ricorrente riporta una serie di dati reddituali e circostanze fattuali, che all’evidenza in sede di legittimità non possono essere rivalutati, facendo peraltro più volte riferimento al “criterio composito” (cfr. pag. 28 e 33 ricorso) proprio dell’assegno divorzile.

Generica è la deduzione circa la mancata prova del tenore di vita della coppia durante la vita matrimoniale, che la Corte d’appello, con motivazione adeguata e con accertamento di fatto non sindacabile, ha parametrato alle possibilità economiche dei coniugi, evidenziandone la netta disparità in senso deteriore per la moglie all’esito della separazione.

Ugualmente inammissibile è la doglianza riferita al contributo per le spese costituite dal pagamento del canone di locazione della casa abitata dalla moglie unitamente alla figlia, pure beneficiaria di contributo di mantenimento a carico del padre. La censura non è conducente sia perché la Corte di merito richiama la spesa per quel canone di locazione, sostenuta dalla madre, in base a quanto accertato in fatto dai giudici di merito e non censurato in ricorso, solo per attribuire alla stessa rilievo ai fini della quantificazione dell’assegno separativo, sia perché nel caso di specie, in base ai dati fattuali esposti dallo stesso ricorrente, le spese per l’abitazione non potevano all’evidenza considerarsi esclusivamente “funzionali” al mantenimento della figlia S. e perciò già comprese nella quantificazione del contributo di mantenimento alla stessa dovuto di Euro 1.000,00 mensili, dato che le prime, ossia le spese locatizie, sono di importo superiore (Euro 1.500,00) al suddetto ultimo contributo.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

La Corte d’appello ha correttamente riliquidato le spese del primo grado perché ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale (tra le tante Cass. 27076/2019). In tema di impugnazioni, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato e nulla deve disporsi circa le spese del giudizio di legittimità stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte della R..

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2021

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