Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4179 del 21/02/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 4179 Anno 2018
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: GUIDA RICCARDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19995/2011 R.G. proposto da
STAZI ISOLINA, in proprio e quale erede di GIANNELLI PIETRO,
rappresentata e difesa dall’Avv. Gioacchino Panzera, con domicilio eletto in
Roma, via Pagani, n. 30, presso lo studio dell’Avv. Anna Fraioli.

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore

pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in
Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente Avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale del Lazio, collegio
17, n. 404/2011, pronunciata il 14/12/2010, depositata il 27/01/2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 dicembre 2017 dal
Consigliere Riccardo Guida;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Mauro Vitiello, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso e la cassazione con rinvio.

Data pubblicazione: 21/02/2018

PREMESSO CHE
Isolina Stazi, in proprio e quale erede del coniuge Pietro Giannelli
(deceduto nel corso del giudizio di merito) ricorre, articolando quattro
motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria
centrale del Lazio (in seguito: CTC) n. 404/2011, depositata il 27/01/2011,
che – in una controversia relativa a un avviso di accertamento, notificato, in

Giannelli e Stazi, riguardante l’accertamento sintetico, per l’anno 1980, del
reddito complessivo netto di lire 19.155.000, ai fini dell’IRPEF, e del reddito
imponibile di lire 11.517.000, a fini dell’ILOR – accoglieva il ricorso
dell’Ufficio delle imposte dirette di Velletri e, in riforma della sentenza di
secondo grado (che aveva annullato l’accertamento), confermava il minore
reddito netto di lire 13.575.000, rideterminato dalla Commissione Tributaria
di primo grado di Velletri (in difetto di appello incidentale, da parte
dell’Ufficio, avverso quest’ultima decisione che aveva accolto, in parte, le
doglianze dei contribuenti);
l’Agenzia delle entrate ha depositato un atto di costituzione;
il Pubblico ministero ha depositato una memoria;
la ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod.
proc. civ., la violazione dell’art. 14 d.lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992,
correlato agli artt. 102, 354 cod. proc. civ., in quanto, nel corso del giudizio
di merito, al contribuente Giannelli, deceduto il 14/09/2002, succedevano,
oltre alla moglie Stazi (già parte del processo tributario), le figlie Cinzia
Giannelli e Angela Giannelli alle quali, per la loro veste di litisconsorti
necessari, avrebbe dovuto essere esteso il contraddittorio, laddove, invece,
la CTC si era limitata (erroneamente) a notificare l’avviso per l’udienza di
discussione alla sola Stazi: «per sé e in qualità di erede del sig. Giannelli
Pietro».
2. Il secondo motivo concerne la violazione e la falsa applicazione, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 25, comma 1,
d.P.R. n. 636 del 26 ottobre 1972, in quanto il ricorso dell’Ufficio avverso la

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data 13/12/1984, dall’Ufficio distrettuale delle imposte di Velletri, ai coniugi

sentenza d’appello è stato tardivamente depositato, in data 01/02/1989,
oltre il termine di sessanta giorni, dalla notifica o dalla comunicazione della
decisione impugnata (nella specie, la sentenza di secondo grado è stata
notificata in data 01/12/1988), fissato dall’art. 25 cit. e la CTC aveva
erroneamente respinto l’eccezione processuale della contribuente, negando
che la comunicazione del deposito della decisione di secondo grado valesse

pertanto, che, in mancanza di detta notifica, si dovesse fare riferimento al
termine lungo d’impugnazione dell’art. 327 cod. proc. civ., applicabile al rito
tributario ai sensi dell’art. 39 d.P.R. n. 636/1972.
3. Il terzo motivo censura la violazione e la falsa applicazione, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 15, 22, 23 d.P.R. n.
636 del 26 ottobre 1972 e dell’art. 329 cod. proc. civ., sul rilievo anch’esso (erroneamente) disatteso dalla CTC, cui la questione era stata
prospettata – dell’inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per carenza di
specificità dei motivi d’impugnazione.
4. Il quarto motivo attiene alla violazione e falsa applicazione, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 79 d.lgs. n. 546/1992,
per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
decisivo per il giudizio.
4.1. La CTC aveva dichiarato inammissibile l’eccezione, della
contribuente, d’inefficacia retroattiva del d.m. 21/07/1983, c.d.
redditometro, del quale l’Ufficio si era avvalso per la rettifica sintetica dei
redditi dei contribuenti relativi a un’annualità – il 1980 – antecedente
all’entrata in vigore del nuovo strumento di accertamento fiscale.
4.1.1. La CTC aveva respinto quest’eccezione, ritenendola tardiva,
senza considerare che, ai sensi dell’art. 79 cit., il divieto di proporre nuove
eccezioni (sancito dall’art. 57 d.lgs. n. 546/1992) non si applica alle cause
che: «hanno già percorso un grado di giudizio sotto la previgente disciplina»
e, dunque, a maggior ragione, non poteva valere per questa controversia
che, all’epoca dell’entrata in vigore della novella del processo tributario,
aveva già superato due gradi di giudizio.
5. Il primo motivo è inammissibile.

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come atto di notifica della sentenza ex art. 326 cod. proc. civ. e ritenendo,

5.1. Esso è privo di specificità e autosufficienza poiché dal contenuto del
ricorso non risulta che la contribuente, nel giudizio dinanzi alla CTC, abbia
dedotto né documentato l’esistenza di altri eredi del

de cuíus, ai quali

estendere necessariamente il contraddittorio.
Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di litisconsorzio
necessario, la parte che alleghi la non integrità del contraddittorio è gravata

27/05/2009, n. 12346).
6. Il secondo motivo è fondato.
6.1. L’Ufficio distrettuale delle imposte dirette non ha rispettato il
termine perentorio di 60 giorni per impugnare la sentenza di secondo grado
(datata 22/11/1988), avendo depositato il proprio ricorso alla CTC il
01/02/1989, il sessantaduesimo giorno dalla comunicazione, datata
01/12/1988, a cura della segreteria del giudice d’appello, del dispositivo
della decisione (poi) impugnata.
Secondo i giudici della CTC: «la comunicazione dell’avvenuto deposito
della decisione, da parte della Segreteria della Commissione Tributaria, non
costituisce atto di notifica della sentenza ex art. 326 cpc e pertanto, in
mancanza di notifica, la sentenza può essere impugnata nel termine lungo
di cui all’art. 327 cpc applicabile al rito tributario ex art. 39 DPR 636/72.»
(vedi pagg. 2 e 3 della sentenza).
La statuizione è affetta da

error in procedendo:

sul piano della

ricostruzione della (pregressa) dinamica processuale, in realtà, in data
01/12/1988, la segreteria del giudice d’appello ha comunicato alle parti il
dispositivo della decisione e non si è limitata (come, invece, sostiene la
CTC), a informarle del deposito della sentenza; in punto di rito, con la
comunicazione del dispositivo della sentenza (01/12/1988) ha preso avvio il
termine d’impugnazione di 60 giorni (art. 25, comma 1, d.P.R. n. 636/1972)
e tale arco temporale si era ormai concluso, in data 01/02/1989, quando è
stato depositato il ricorso dell’Ufficio alla CTC.
7. All’accoglimento del motivo conseguono l’assorbimento dei rimanenti
mezzi e la cassazione senza rinvio dell’impugnata sentenza, come previsto
dall’art. 382, comma 3, ultima parte cod. proc. civ., secondo cui la Corte

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dallo specifico onere di indicare quali siano i litisconsorti pretermessi (Cass.

cassa senza rinvio: «in ogni altro caso in cui ritiene che la causa non poteva
essere proposta o il processo proseguito.».
8. Visto l’esito del giudizio, le spese processuali del merito vanno
compensate, mentre le spese del giudizio di legittimità debbono essere
poste a carico dell’Ufficio soccombente.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il primo e assorbiti i rimanenti;
cassa senza rinvio;
compensa, tra le parti, le spese del giudizio di merito;
condanna la controricorrente a pagare alla ricorrente le spese del giudizio di
legittimità che liquida in euro 1.150,00 a titolo di compenso, oltre al 15% a
titolo di rimborso forfetario delle spese generali e oltre agli accessori di
legge.
Così deciso in Roma il 21 dicembre 2017

Il Presidente
(dott. Aurei . Cappabianca)

Accoglie il secondo motivo di ricorso;

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