Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41784 del 28/12/2021

Cassazione civile sez. III, 28/12/2021, (ud. 10/11/2021, dep. 28/12/2021), n.41784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16093/2019 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliata in Roma Via Gavinana 1,

presso lo studio dell’avvocato Pecora Francesco, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Colombo Sergio;

– ricorrente –

contro

Sbs Valorizzazione Srl in Liquidazione;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1894/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 10/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/11/2021 dal consigliere relatore ENRICO SCODITTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

F.S. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo S.B.S. Valorizzazione s.r.l. in liquidazione chiedendo l’esecuzione dell obbligo di concessione di ipoteca volontaria. Espose l’attrice di essere la cessionaria del credito di Petracem s.r.l. nei confronti della convenuta per finanziamento relativo all’acquisto di terreno e che con missiva del 14 aprile 2008 Petracem aveva accettato la proposta di finanziamento a condizione, fra l’altro, che ABM Valorizzazione s.r.l. (poi S.B.S. Valorizzazione s.r.l.) si impegnasse a rilasciare a garanzia dell’obbligo di rimborso ipoteca di secondo grado sul terreno in questione. Aggiunse che con comunicazione del 15 aprile 2008 ABM Valorizzazione aveva comunicato l’accettazione delle condizioni del finanziamento, il quale aveva poi fatto seguito. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Osservò il Tribunale che difettava la legittimazione attiva, trattandosi di mera cessionaria del credito a favore del quale era stata pattuita la concessione dell’ipoteca e non di succeduta nella posizione contrattuale relativa alla obbligazione di concessione dell’ipoteca. Avverso detta sentenza propose appello la F.. Con sentenza di data 10 dicembre 2018 la Corte d’appello di Brescia rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale che, a prescindere dalla questione della trasferibilità della mera promessa di garanzia, non era provata la conclusione di un contratto preliminare di costituzione di ipoteca volontaria di secondo grado perché difettava la produzione del verbale del consiglio di amministrazione della società debitrice che avrebbe espressamente prestato adesione alla proposta di costituzione della garanzia. Aggiunse che, essendo richiesta in base agli artt. 1350 e 1351, ad substantiam la forma scritta, l’accettazione doveva essere espressa dall’organo titolato, e quindi dal consiglio di amministrazione e che la presenza della forma scritta ad substantiam non poteva essere sostituita dalla non contestazione della controparte, operando l’art. 115 c.p.c., sul piano della ripartizione dell’onere probatorio e al di fuori dell’ipotesi della stipulazione per iscritto richiesta per la validità dell’atto.

Ha proposto ricorso per cassazione F.S. sulla base di tre motivi. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Va premesso che la notifica del ricorso è valida nei limiti della notifica alla società direttamente, essendo rimasta questa contumace in appello.

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 183 c.p.c., comma 4 e art. 101 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che, trattandosi di questione di fatto e/o mista di fatto e diritto, la corte territoriale avrebbe dovuto provocare il contraddittorio in ordine alla questione della prova della forma scritta e che la parte avrebbe, se del caso, dato corso alla produzione. Aggiunge che la ritenuta incompletezza documentale è da collegare allo smarrimento del fascicolo di parte presso la cancelleria del Tribunale, alla cui ricostruzione si è provveduto in sede di appello.

Il motivo è inammissibile. La nullità per difetto di forma di un contratto integra una questione mista di fatto e di diritto che, ove rilevata d’ufficio dal giudice, senza essere indicata alle parti, comporta la nullità della sentenza (cd. “della terza via” o “a sorpresa”) che su tale questione si fondi, per violazione del diritto di difesa, quante volte la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (Cass. n. 22778 del 2019, fattispecie relativa ad un contratto concluso da un Comune ed alla rilevata nullità per mancanza di prova dell’accettazione dell’ente rispetto al preventivo ricevuto – si vedano anche Cass. n. 32485 del 2019 n. 11308 del 2020, n. 11724 del 2021).

La ricorrente non ha dimostrato il pregiudizio subito per la mancata attivazione del contraddittorio, che le avrebbe impedito di produrre la documentazione comprovante la conclusione del contratto. E’ la stessa ricorrente ad avere affermato che il documento, corrispondente al verbale del consiglio di amministrazione, non era presente in atti a seguito dello smarrimento del fascicolo di parte presso la cancelleria del Tribunale. L’enunciazione che si sarebbe dato corso alla produzione nel caso di instaurazione del contraddittorio ha carattere generico in quanto non vengono indicate le ragioni per le quali il documento non fosse presente nel fascicolo ricostruito, né le modalità mediante cui la parte avrebbe potuto comunque provvedere alla relativa produzione, nonostante lo smarrimento del fascicolo di parte.

Ma soprattutto la ricorrente non precisa in modo specifico se originariamente, unitamente alla comunicazione del 15 aprile 2008, fosse stato prodotto anche il verbale del consiglio di amministrazione della società e se la questione della ricostruzione del fascicolo, anche quanto a tale verbale, sia stata sollevata innanzi al giudice di merito al fine della ricostituzione del fascicolo anche quanto a tale documento.

Non risulta quindi rispettato il requisito di ammissibilità previsto dall’art. 360 bis, n. 2 (cfr. Cass. n. 22341 del 2017 ed altre conformi). La censura è inoltre, per l’aspetto indicato, priva di specificità.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1350,1351,1326,2697 e 2475-bis c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che risulta la prova scritta sia della formazione della volontà da parte dell’organo deputato (consiglio di amministrazione) che della sua esternazione da parte del legale rappresentante della società (il presidente del consiglio di amministrazione) grazie alla missiva del 15 aprile 2008 del Presidente del consiglio di amministrazione, con cui si informa dell’accettazione delle condizioni per l’erogazione del finanziamento da parte del consiglio di amministrazione. Aggiunge che la corte territoriale ha confuso il requisito della forma scritta dell’accettazione della proposta con un non previsto controllo interno degli atti sociali allo scopo di verificare la corrispondenza tra quanto enunciato da chi aveva il potere e l’effettivo contenuto.

Il motivo è inammissibile. La censura muove da un presupposto di fatto, e cioè che il presidente del consiglio di amministrazione fosse munito del potere di rappresentanza, non accertato dal giudice di merito. Lo scrutinio del motivo imporrebbe pertanto un’indagine di merito in ordine al titolare (o ai titolari) del potere di rappresentanza, alla stregua dell’atto costitutivo, preclusa nella presente sede di legittimità. Ne’ risulta proposta rituale denuncia di vizio motivazionale in relazione alla circostanza in discorso in modo da confutare il giudizio di fatto del giudice di merito circa la spettanza del potere di rappresentanza sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il giudizio di fatto del giudice di merito è da intendere nel senso che il potere di rappresentanza spettasse al consiglio di amministrazione (altrimenti non avrebbe reputato necessario l’esistenza della volontà espressa del consiglio) e la censura mira in conclusione a contrastare tale giudizio di fatto.

Con il terzo motivo si denuncia falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 167 c.p.c., comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la non contestazione di controparte si è risolta nella non contestazione dell’esistenza del verbale del consiglio di amministrazione, la quale deve pertanto ritenersi confermata.

Il motivo è inammissibile. La censura è estranea alla ratio decidendi e pertanto è priva di decisività. Il giudice di merito, affermando che l’art. 115 c.p.c., opera sul piano della ripartizione dell’onere probatorio e al di fuori dell’ipotesi della stipulazione per iscritto richiesta per la validità dell’atto, ha inteso riferirsi non alla circostanza che la non contestazione avesse ad oggetto lo specifico fatto della Delibera del consiglio di amministrazione, ma ha considerato che il requisito mancante di validità dell’atto, relativo alla forma ad substantiam, non può essere surrogato dalla non contestazione, relativa al diverso profilo dell’esonero dall’onere della prova. Trattasi peraltro di conclusione coerente alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui per i contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam, la prova della loro esistenza e dei diritti che ne formano l’oggetto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura, che non può essere sostituita da altri mezzi probatori e neanche dal comportamento processuale delle parti che abbiano concordemente ammesso l’esistenza del diritto costituito con l’atto non esibito (da ultimo Cass. n. 1452 del 2019).

Nulla per le spese del giudizio di cassazione, in mancanza di partecipazione della parte intimata

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2021

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