Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4178 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 17/02/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 17/02/2021), n.4178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15693/2015 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SCANDRIGLIA

27, presso lo STUDIO LEGALE NAPOLITANO, rappresentato e difeso dagli

avvocati DONATO VITO ROMANELLI, GIOVANNI PEZZOLLA;

– ricorrente –

contro

COMUNE VENOSA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 17, presso lo studio

dell’avvocato GIANCARLO VIGLIONE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DONATO MENNUTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 03/02/2015 R.G.N. 176/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2020 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di Potenza, con la sentenza n. 8 del 2015, dichiarava inammissibile l’appello proposto da F.F., nei confronti del Comune di Venosa. avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Potenza.

2. Il giudice di secondo grado affermava che il F. aveva adito il Tribunale chiedendo la condanna dell’Ente datore di lavoro al pagamento di somme pretese a vario titolo e rinvenienti causa nel rapporto di pubblico impiego, e segnatamente al pagamento:

di un incremento percentuale nella misura del 2,5% sul trattamento tabellare; tale domanda veniva respinta dal Tribunale sul rilievo che la patologia, esito dell’infortunio sul lavoro occorso al dipendente, in quanto ascrivibile alla tabella B e non alla Tabella A del D.P.R. n. 834 del 1981, non dava luogo al riconoscimento della maggiorazione ex art. 50 del CCNL;

della somma di Euro 2.049,32 a titolo di risarcimento del danno per le lesioni subite a seguito dell’infortunio sul lavoro, in conseguenza della mancata attivazione della polizza assicurativa a copertura di incidenti stradali avvenuti durante l’espletamento del servizio; anche tale domanda veniva respinta dal Tribunale sul rilievo che la polizza era stata attivata dall’Ente e che di essa il dipendente aveva beneficiato;

della somma dovuta a titolo di rimborso spese a chilometro ex Delib. 2 luglio 1998, n. 177; tale domanda era stata respinta dal Tribunale in quanto il ricorrente non aveva fornito la prova non solo in ordine alle notifiche effettuate con il mezzo proprio all’interno dell’abitato, giusta Delibera invocata, ma anche del totale dei chilometri percorsi in esecuzione delle mansioni di ufficio;

della somma dovuta a titolo di indennità di maneggio valori, domanda rigettata dal giudice di primo grado in ragione della occasionalità della riscossione di somme da parte del dipendente;

della somma dovuta a titolo di mobbing; domanda quest’ultima rigettata dal Tribunale sul rilievo che il lavoratore aveva allegato un solo episodio lesivo, di cui peraltro non si era neanche raggiunta prova convincente, insufficiente ad integrare l’ipotesi di illecito contrattuale.

3. L’appello veniva dichiarato inammissibile per difetto di specificità ex art. 434 c.p.c..

La Corte territoriale ha ritenuto non specifica la censura proposta avverso il rigetto della domanda di incremento percentuale ex art. 50 CCNL; nuova la causa petendi prospettata in appello quanto alla liquidazione ricevuta in conseguenza della attivazione della polizza sanitaria; non specifico il motivo inerente la ritenuta infondatezza della domanda di risarcimento danni per mobbing; egualmente non specifica la censura con la quale era stata invocata la liquidazione equitativa quanto al pagamento dell’indennità chilometrica, perchè il Tribunale aveva ritenuto non provata la prestazione; inammissibile, ex art. 437 c.p.c., il motivo, relativo al rigetto della domanda di liquidazione del danno per maneggio valori, volto ad ottenere l’ordinanza di esibizione degli atti, sollecitata senza allegazione sulla indispensabilità della stessa.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore, prospettando un motivo di ricorso, illustrato da memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale.

5. Resiste con controricorso il Comune di Venosa.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il motivo di ricorso è prospettata la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360 c.p.c., n. 3), omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

Espone il ricorrente che l’impugnazione proposta in appello era sufficientemente motivata, e con l’atto di appello aveva rispettato i canoni dettati dal codice di rito, come si poteva evincere dalla rilettura dello stesso, di cui riporta alcuni brevi stralci.

2. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’Appello ha dichiaro l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 434 c.p.c..

Questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 27119 del 2017 (cui adde, Cass., n. 13535 del 2018) ha affermato che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

Proprio tale natura esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinarne il fondamento logico giuridico, ciò risolvendosi in una valutazione del fatto processuale che impone una verifica in concreto, ispirata ad un principio di simmetria e condotta alla luce del raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di gravame, nel senso che quanto più approfondite e dettagliate risultino le argomentazioni del primo, tanto più puntuali devono profilarsi quelle utilizzate nel secondo per confutare l’impianto motivazionale del giudice di prime cure (si v., Cass., n. 11197 del 2019).

Il ricorrente a fronte della pronuncia di inammissibilità per la mancanza di specificità dell’appello non censura la sentenza impugnata in relazione alla violazione della suddetta disciplina processuale, ma, nella sostanza, investe la Corte di un esame delle questioni di merito oggetto della domanda rigettata dai giudici di merito.

Il lavoratore si limita a riportare alcuni stralci dell’appello, ma non riporta la sentenza di primo grado, che, secondo la giurisprudenza sopra richiamata, assume rilievo per valutare la specificità dell’atto di impugnazione.

Di talchè non viene censurata adeguatamente la ratio decidendi della sentenza della Corte d’Appello di Potenza, e non sono assolti gli oneri di specificazione e di allegazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

I requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.

Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicchè, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile e dalla sintetica trascrizione nel ricorso del contenuto essenziale del documento asseritamente trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (Cass., S.U., n. 5698 del 2012; Cass. S.U., n. 25038 del 2013, Cass., S.U., n. 34469 del 2019).

3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 5.000,00, per compensi professionali, oltre Euro 200,00. per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

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