Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4175 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. III, 22/02/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 22/02/2010), n.4175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato BIANCA FEDERICO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO A. BIANCA e

MASSIMO BIANCA, giusta procura a margine del ricorso per regolamento

di competenza;

– ricorrente –

contro

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CARONCINI 51, presso lo studio dell’avvocato SIMONETTI LUCA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SLATAPER STEFANO,

giusta mandato a margine della memoria difensiva;

– resistente –

contro

MODULSYSTEM SNC DI AQULINO CLAUDIA & C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 78/2009 del TRIBUNALE di UDINE, depositata il

19/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. VIVALDI Roberta;

udito per il resistente l’Avvocato Simonetti Luca, che si riporta

agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. PATRONE Ignazio, che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1. – E’ chiesta, con regolamento di competenza, la cassazione della sentenza non definitiva emessa dal tribunale di Udine, quale giudice del lavoro, il 19.2.2 009 ed in pari data depositata.

Con la sentenza impugnata è stata rigettata l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata, disponendo la prosecuzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in materia di lavoro, proposta, davanti allo stesso tribunale, da G.R. e dalla Modulsistem snc di Aquilino Claudia & C. nei confronti di F.M..

Il ricorso per regolamento è stato proposto per impugnare sentenza depositata dopo il 2.3.2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.

Ai ricorsi proposti contro provvedimenti pronunciati a partire da tale data si applicano le disposizioni in esso dettate (art. 27, comma 2). Dispone l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto: dove, per quesito di diritto, va intesa la regola giuridica sulla cui base secondo il ricorrente andrebbe decisa la situazione tipica, cui si riconduce il caso concreto.

La norma disciplina anche l’istanza di regolamento di competenza (v.

per tutte Cass. ord. 6.6.2008 n. 15019; Cass. ord. 26.6.2008 n. 17536).

Ed invero, anche il regolamento è chiesto alla corte con ricorso (art. 47 c.p.c.): dunque anche riguardo a questo ricorso si presenta la duplice esigenza, costituente ragione della norma, che sia il ricorrente ad assumersi la responsabilità di indicare la precisa questione che deve essere risolta per una decisione a lui favorevole e la corte sia messa nella condizione di rilevarla con precisione ed immediatezza e di rispondervi mediante la enunciazione del pertinente principio di diritto.

Inoltre, l’art. 380 ter c.p.c., comma 1, dispone che – nei casi previsti dall’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 4), tra i quali è appunto il regolamento di competenza – in alternativa al rito previsto dallo stesso art. 380 ter c.p.c., si può procedere con il rito previsto dall’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

In base alla disposizione ora richiamata, questo rito è applicabile, tra gli altri nei casi stabiliti dall’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5 ovverosia quando si deve dichiarare che il ricorso è inammissibile e, secondo il n. 5, il ricorso è inammissibile se i motivi di ricorso non presentano i requisiti previsti dall’art. 366 bis c.p.c.;

non si concludono, cioè, con l’enunciazione di un quesito di diritto.

L’esistenza, infatti, di poteri di rilievo officiosi, anche sulla base dei quali la S.C. può rendere la statuizione sulla competenza, non è incompatibile con il fatto che il ricorrente debba formulare un quesito di diritto, atteso che siffatto onere formale è funzionale all’immediata percezione da parte della S. C. delle ragioni di doglianza del ricorrente, così da rendere più agevole definire in tempi brevi il regolamento (art. 49 c.p.c., comma 1).

(Cass. ord. 26.6.2008 n. 17536; arg. anche da S.U. ord. 22.10.2007 n. 22059, in motivazione).

Ora, nella specie, difetta la proposizione del detto quesito; al che consegue la inammissibilità del ricorso per regolamento di competenza.

Peraltro, pur essendo assorbenti i precedenti rilievi, deve anche sottolinearsi, per completezza, che, comunque, il ricorso non sarebbe stato neppure fondato.

Vero è che con il regolamento necessario di competenza può essere fatta valere la violazione delle sole norme sulla competenza, e non quella di norme sul procedimento.

Di qui la censura, avanzata dal resistente, che la violazione della norma dell’art. 38 c.p.c., u.c., denunciata dal ricorrente per non avere il giudice deciso la questione di competenza sollevata allo stato degli atti B non poteva essere sollevata con il mezzo di impugnazione del regolamento di competenza (v. Cass. ord. 6.6.2008 n. 15019). Il principio è esatto in linea generale. Deve però, anche sottolinearsi che una tale denuncia è ammissibile, anche nell’ambito del regolamento di competenza, se la denuncia è finalizzata ad evidenziare che la supposta violazione ha avuto per effetto di impedire alla parte di apportare al ^ giudice elementi utili al fine di statuire sulla propria competenza (v. ancora Cass. ord. 6.6.2008 n. 15019).

Nella specie, il ricorrente, nell’imputare alla sentenza impugnata di non avere deciso la questione di competenza allo stato degli atti, ma facendo ricorso a prove costituende in realtà ha voluto, con la violazione lamentata, censurare che il convincimento del giudicante sulla questione di competenza si era erroneamente formato, senza però indicare quali elementi utili, ai fini della decisione sulla competenza tale violazione gli avrebbe comportato.

Sotto questo profilo, pertanto, la censura non può essere condivisa.

Nel merito, poi, della vicenda il tribunale ha correttamente deciso.

Va premesso che nelle controversie del lavoratore parasubordinato – quale quella in esame – la competenza territoriale – ai sensi dell’art. 413 c.p.c., comma 4 – si determina in modo esclusivo in relazione al foro del domicilio del lavoratore.

Per domicilio, a questi fini, deve intendersi il luogo in cui il lavoratore ha il centro dei propri affari ed interessi, intendendosi per interessi non solo quelli economici e materiali, ma anche quelli affettivi, spirituali e sociali, considerato che la nozione di domicilio è unitaria ed impone che vengano considerati, assieme agli affari ed agli interessi economici dell’individuo, anche gli interessi affettivi, personali e sociali (v. anche Cass. ord. 9.6.2008 n. 15264).

Nella specie, l’indagine svolta dal giudice del merito, al fine di risolvere la questione di competenza, si è limitata, non ad assumere prove definite “costituende”, ma a disporre, nell’ambito delle sommarie informazioni di cui all’ultimo comma dell’art. 38 c.p.c., un interrogatorio libero delle parti al fine di chiarire, sia il contenuto delle prove (documentali), sia circostanze agevolmente rilevabili.

E ciò è pienamente consentito a seguito della proposizione di un’eccezione di incompetenza territoriale da parte del convenuto che non introduce, nel processo, un tema che necessiti di istruzione, con possibilità di assunzione di prove costituende, ma va decisa sulla base delle prove costituite e già acquisite agli atti, integrate, eventualmente dalle “sommarie informazioni” da assumersi da parte del giudice al fine di chiarire il contenuto delle prove costituite o, comunque, ad accertare circostanze agevolmente rilevabili o documentabili (v. Cass. 9.6.08 n. 15264).

D’altra parte, va anche ulteriormente sottolineato che, nel rito del lavoro, l’interrogatorio non formale (cioè libero delle parti), essendo diretto esclusivamente a chiarire i termini della controversia, non costituisce mezzo di prova e le dichiarazioni in esso contenute devono considerarsi elementi chiarificatori e sussidiari di convincimento (Cass. 27.1.2009 n. 1895; Cass. 2.4.2004 n. 6510).

Nella specie, quindi, non può neppure parlarsi di “prova”, tantomeno costituenda.

Conclusivamente, le risultanze delle prove documentali, chiarite dalle parti in sede di interrogatorio libero – e puntualmente motivate – hanno fondatamente e correttamente condotto lo stesso ad individuare il domicilio dell’attuale resistente, ai fini precisati, in (OMISSIS), con la conseguente competenza territoriale del tribunale adito di Udine”.

La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti.

Non sono state presentate conclusioni scritte, nè alcuna delle parti è stata ascoltata in Camera di consiglio.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.

Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore del resistente, vanno poste a carico del ricorrente.

PQM

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore di F.M. che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

 

 

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