Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41749 del 28/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2021, (ud. 14/12/2021, dep. 28/12/2021), n.41749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14955/2020 R.G. proposto da:

P.G., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Sostene

Invernizzi, Barbara Papanice, Alessandro Garlatti e Federico

Hernandez con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in

Roma, via Antonio Gramsci, n. 14;

– ricorrente –

contro

Città Metropolitana di Milano, rappresentata e difesa dagli Avv.ti

Francesco Lapenna ed Emanuele Carloni, con domicilio eletto presso

lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Filippo Corridoni, n. 14;

– controricorrente –

e contro

Comune di Pieve Emanuele, rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea

Russo, con domicilio eletto in Roma, via delle Fornaci, n. 38,

presso lo studio dell’Avv. Fabio Alberici;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 3939/2019,

pubblicata il 27 settembre 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 dicembre

2021 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.G. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Comune di Pieve Emanuele e la Città Metropolitana di Milano chiedendone la condanna, ex art. 2051 c.c. e/o art. 2043 c.c., al risarcimento dei danni subiti a seguito del sinistro occorso il 30 aprile 2010 allorquando a bordo del proprio motociclo era scivolato all’altezza di una rotatoria sita sulla Strada Provinciale (OMISSIS), in territorio del Comune di Pieve Emanuele, per la presenza – non visibile, non prevedibile e non segnalata – sul manto stradale di ghiaia e sabbione, conseguentemente andando ad impattare contro il guard-rail presente sul lato esterno del rondò.

All’esito dell’istruzione condotta il tribunale, qualificata la domanda come diretta a far valere la responsabilità per i danni da cose in custodia ex art. 2051 c.c., la rigettò, avendo ritenuto non provato, nemmeno in termini presuntivi, il nesso causale tra la caduta del P. e la presenza di ghiaia sul manto stradale.

2. In accoglimento del gravame interposto dal P. e in conseguente riforma della decisione di primo grado la Corte d’appello di Milano, ritenuta la responsabilità di entrambi gli enti convenuti – della città metropolitana ex art. 2051 c.c. in quanto proprietaria del tratto stradale, del comune ex art. 2043 c.c. in quanto concessionario dell’area per l’esecuzione di lavori di rettifica della rotatoria, per non avere adottato le cautele necessarie – ma ritenuto altresì il concorso di colpa del danneggiato nella percentuale del 50%, ha condannato detti enti al pagamento della somma di Euro 132.646,50 liquidata, per la quota di responsabilità loro in solido ascritta, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del diritto alla salute ed in quella di Euro 1.341,21 liquidata, in rapporto a detta quota, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale derivato della spese mediche e di cura, con esclusione dunque del pure dedotto danno da riduzione della capacità di lavoro specifica, poiché non idoneamente riscontrata (avendo il P. omesso di documentare i redditi da attività lavorativa percepiti nei due anni anteriori al sinistro).

3. Avverso tale decisione P.G. propone ricorso per cassazione con due mezzi, cui resistono entrambi gli enti intimati, depositando controricorsi.

Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Il ricorrente e il Comune di Pieve Emanuele hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. (in relazione agli artt. 2043,2697 e 2729 c.c., con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c.) e dell’art. 1227 c.c. per avere la corte d’appello disatteso i principi sanciti in merito all’onere probatorio e all’applicazione delle presunzioni” (così nell’intestazione). Denuncia al contempo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche “omesso esame circa un fatto decisivo della controversia (chiusura del cantiere e riapertura della strada il giorno precedente al sinistro)”.

Lamenta che la corte di merito, dopo avere escluso che gli enti convenuti avessero fornito prova liberatoria volta ad escludere la propria responsabilità, ha contraddittoriamente ritenuto l’esistenza di un concorso di colpa del danneggiato sul rilievo che:

– il sinistro è avvenuto nella rotatoria che si immette in Via (OMISSIS) ove egli risiede;

– doveva pertanto presumersi a lui nota l’esistenza di lavori appena conclusi in quel tratto di strada;

– egli avrebbe dovuto conseguentemente adottare maggiori cautele, anche adeguando ulteriormente la velocità di andatura con il motociclo, mezzo che avendo come noto una ridotta stabilità rispetto ad un veicolo a quattro ruote presenta un maggior rischio di scivolamento in un tratto stradale dove è appena stato chiuso un cantiere.

Deduce la fallacia di tale ragionamento nella sua ultima parte, rilevando non esservi alcuna prova che il P. avesse impegnato detta rotatoria a velocità non consona (dal momento che il rapporto di incidente e gli stessi testi escussi nulla hanno riferito in argomento), né che avesse tenuto un comportamento incauto, e che pertanto il convincimento sul punto dei giudici a quibus risulta frutto di una presunzione tratta dal solo fatto oggettivo che egli ebbe a rovinare al suolo.

Rileva ancora che con l’esposta motivazione la corte lombarda ascrive a sua colpa il non aver previsto che l’ente preposto all’esecuzione dei lavori avrebbe potuto omettere di ripulire la platea stradale dal materiale di risulta (ghiaia e sabbione) al momento della chiusura, ma ha omesso di considerare che tali materiali di risulta (ghiaia e sabbione) si presentavano poco visibili, in quanto di colore analogo a quello dell’asfalto, come del resto affermato in sentenza là dove è precisato, a pag. 24, in merito al “difetto” riscontrato nelle foto, come le stesse non fossero “sufficientemente dettagliate nel particolare da poter consentire di individuare il materiale sabbioso la cui presenza è stata riferita dai testi, ma le cui caratteristiche sono tali per consistenza e colorazione da non emergere con l’evidenza necessaria negli scatti fotografici realizzati con un’ottica differente”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 137 cod. ass., anche in relazione all’art. 2697 c.c., con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la corte d’appello rigettato la pretesa risarcitoria da mancato guadagno futuro, a fronte dell’accertata menomazione della propria capacità lavorativa specifica di autista, quantificata dal c.t.u. nella misura del 50%.

Rileva che, risalendo il sinistro al 30 aprile 2010 le produzioni documentali offerte erano sufficienti a provare il reddito conseguito nella terza annualità precedente al sinistro, svolgendo egli l’attività autonoma di autista, preclusagli poi a cagione dei postumi permanenti accusati a cagione delle lesioni riportate nell’incidente.

Soggiunge che le dichiarazioni dei redditi degli anni successivi (CUD 2012-2013) comprovano poi puntualmente quanto certificato dal c.t.u. (18 mesi di inabilità temporanea e riduzione della capacità lavorativa specifica al 50%).

Sostiene che l’art. 137 cod. ass. non pone l’esibizione delle dichiarazioni dei tre anni precedenti al sinistro quale requisito imprescindibile per la liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante e che la scelta del legislatore di individuare, quale reddito di riferimento, quello più elevato tra i tre (ben diverso sarebbe stato se il legislatore avesse previsto la media matematica tra le tre annualità) rende logicamente accoglibile la tesi che il medesimo criterio possa applicarsi anche in presenza delle dichiarazioni riferite a due annualità, o a una soltanto, dovendosi in tal caso presumere che essa sia la più elevata.

3. Il primo motivo è inammissibile.

Le censure si risolvono in una critica alla valutazione di merito (peraltro condotta in coerenza a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte) e nella inammissibile sollecitazione ad una sua rinnovazione in sede di legittimità.

In punto di diritto, giova in particolare rimarcare che la sentenza impugnata si conforma, per gli aspetti che qui vengono in considerazione, all’insegnamento di questa Corte (v. per tutte Cass. nn. 2477 – 2482 del 2018) secondo il quale:

– quando la condotta del danneggiato non assuma i caratteri del fortuito, sì da elidere il rapporto causale fra cosa e danno, residua comunque la possibilità di configurare un concorso causale colposo, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 (applicabile anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, in virtù del richiamo compiuto dall’art. 2056 c.c.), che potrà essere apprezzato – al pari del fortuito – anche sulla base di una valutazione officiosa (per tutte, Cass. n. 20619/2014);

– quanto più la situazione di possibile pericolo sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso; se è vero, infatti, che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità custodiale si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare, è altrettanto vero che l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde a un principio di solidarietà (ex art. 2 Cost.), che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile;

– il giudizio di prevedibilità e prevenibilità attraverso l’adozione di normali cautele è un giudizio di fatto, come tale sindacabile in cassazione solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Nella specie gli argomenti di critica, lungi dal far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie, impingono per l’appunto in tale giudizio di fatto.

Essi però si appalesano di natura meramente oppositiva ed estranei al paradigma dettato dalla citata norma, come modificata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Nel nuovo regime, infatti, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); tale fatto storico deve essere indicato dalla parte – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – insieme con il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi anche evidenziare la decisività del fatto stesso (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 22/09/2014, n. 19881).

Nella specie tale specificazione manca.

Il concorso di colpa è coerentemente motivato sul rilievo della prevedibilità delle condizioni della strada: il ragionamento probatorio è validamente fondato sugli elementi considerati (in sé non contestati: caduta causata dalla ghiaia e sabbione presenti sul suolo, conoscenza dei luoghi e consapevolezza dei lavori da poco ultimati) e la critica che ad esso si muove è apodittica e comunque non è svolta nei modi in cui questa Corte la dice deducibile (v. Cass. Sez. U. 24/01/2018, n. 1785).

Il fatto che la ghiaia e il sabbione presenti sul terreno non fossero visibili: a) non emerge dalla affermazione estrapolata dal testo della motivazione (la quale si limita a dire che non valeva a ritenere possibile che essa non fosse chiaramente ritratta dalle foto prodotte non che non fosse visibile all’occhio umano); b) rimane comunque anch’essa circostanza non decisiva per la ragione teste’ detta.

4. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

Non si confronta con la ratio decidendi della decisione impugnata che ha negato l’esistenza di danno risarcibile da riduzione della capacità lavorativa specifica per difetto di prova di nesso causale tra la rappresentata percezione di redditi inferiori rispetto a quelli anteriori al sinistro e il sinistro medesimo (ciò in considerazione della mancata produzione di prova dei redditi percepiti nell’anno in cui lo stesso si è verificato e nei due anni anteriori).

Si osserva, infatti, nella sentenza impugnata (pag. 34) che, ai fini della quantificazione del danno in questione, “incombe sul danneggiato l’onere di provare concretamente che i redditi derivanti dalla attività lavorativa che egli stava svolgendo al tempo dell’evento lesivo hanno subito una riduzione a seguito del danno riportato nel sinistro” con la precisazione che “il giudice, se non risulta provata l’attività già svolta, non può liquidare in via equitativa ex art. 1226 c.c., anche su base prognostica, in quanto modalità che “riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito” (così, Cass. sez. 3, Ordinanza n. 15737 del 15/06/2018).

“Nella fattispecie in esame, il P. ha provato unicamente l’attività da lui svolta negli anni 2006 e 2007 e i relativi redditi percepiti (v. docc. 14 e 15 del fascicolo attoreo) e quelli percepiti negli anni 2011 e 2012 (di cui ai docc. 16 e 17 del fascicolo attoreo), tempo successivo al sinistro avvenuto nel 2010”.

Alla luce di tale premessa appare evidente che la lacuna probatoria che la corte di merito ha ritenuto ostativa, rappresentata dalla mancata dimostrazione dei redditi da attività lavorativa negli anni 2009 e 2010, non è tale per ragioni di mero calcolo del risarcimento liquidabile, come postulato in ricorso, ma perché afferente proprio all’an della pretesa.

Inconferenti, pertanto, sono gli argomenti che in tale erronea prospettiva sono svolti in ricorso sul piano dell’esegesi dell’art. 137 cod. ass..

E’ dunque appena il caso di soggiungere che tale disposizione non trova applicazione diretta nella fattispecie, trattandosi, secondo costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, di norma eccezionale che si riferisce solo all’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore per i danni da sinistro stradale (Cass. 21/02/2001, n. 2512; 11/02/1999, n. 1166; 11/06/1990, n. 5672; v. già, con riferimento al D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 4 convertito dalla L. 26 febbraio 1977, n. 39, di cui l’art. 137 cod. ass. costituisce trasposizione quasi integrale, Cass. 20/02/1982, n. 1084).

5. La memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi.

6. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore degli enti controricorrenti, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida: a) per la Città Metropolitana in Euro 3.000 per compensi; b) per il Comune di Pieve Emanuele in Euro 5.700 per compensi; oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2021

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