Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4174 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. III, 19/02/2020, (ud. 04/11/2019, dep. 19/02/2020), n.4174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22193/2018 proposto da:

D.L. & C. SAS, in persona del legale rappresentante p.t.

D.L.V., D.G.M., C.R., anche quale

titolare della ditta individuale OVERLAND 3000 4 WD, D.A.

in proprio e quale erede del de cuius D.C.,

M.L., rappresentati e difesi dall’avvocato ANNA OLIVIERI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SPOLTORE in persona del Sindaco p.t. DI.LO.LU.,

domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO GINETTI;

COMUNE DI SPOLTORE in persona del Sindaco p.t. DI.LO.LU.,

domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO GINETTI;

– controricorrente –

e contro

ACA AZIENDA CONSORTILE ACQUEDOTTISTICA VAL PESCARA TAVO FORO SPA,

GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

ACA SPA, in house providing in persona del Presidente del Consiglio

di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore Dott.

T.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO DE’ CAVALIERI,

11 C/O STUDIO ACDLEX, presso lo studio dell’avvocato SERGIO DELLA

ROCCA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

contro

M.L., D.L. & C. SAS, D.G.M.,

D.A., GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS), COMUNE DI SPOLTORE,

C.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1098/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.R., D.A., D.G.M., M.L., D.L. & C. S.a.s. ricorrono, avvalendosi di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1098/17 della Corte d’Appello di L’aquila, pubblicata il 16 giugno 2017

ACA S.p.A. in house providing propone ricorso incidentale condizionato, fondato su un solo motivo, corredato di memoria.

Il Comune di Spoltore resiste con controricorso al ricorso principale e a quello incidentale.

I ricorrenti espongono di avere agito, insieme con D’.Ma.Pa. e con A.A., nei confronti del Comune di Spoltore, perchè ne fosse accertata la responsabilità, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 27 e della L.R. Abruzzo n. 43 del 1981, art. 7, in relazione ai fenomeni di tracimazione di liquami, frammisti ad acque meteoriche, verificatisi nei giorni 4 e 5 ottobre 2000, e ne conseguisse la condanna al risarcimento dei danni subiti, quantificati in complessivi Euro 58.166,47.

L’Ente Comunale contestava la propria responsabilità e chiamava in garanzia l’ACA, Azienda consortile acquedottistica Val Pescara Tavo-Foro S.p.A., la quale, a sua volta, chiamava in giudizio la Compagnia Assicuratrice Assitalia S.p.a. quale garante.

Il Tribunale di Pescara riconosceva la responsabilità del Comune convenuto, ai sensi dell’art. 2043 c.c. e del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 27, in ragione dell’inadeguatezza, per sottodimensionamento, della rete di raccolta delle acque esistente all’epoca dei fatti, di proprietà del Comune, ed in assenza di prova che l’eccezionalità della prima ora di pioggia del 4 ottobre 2000 fosse stata l’antecedente causale unico o prevalente della tracimazione dei liquami fognari e meteorici, risultando, al contrario, dimostrato che la rete idrica era inidonea a smaltire anche precipitazioni atmosferiche meno violente.

Escludeva la responsabilità di ACA, perchè le sue competenze riguardavano la sola gestione ordinaria e straordinaria della rete fognaria e non vi erano prove che gli eventi dannosi fossero derivati da difetti di manutenzione e/o di pulizia della rete fognaria imputabili all’ente gestore.

La sentenza veniva impugnata dal Comune di Spoltore, dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila, la quale escludeva che la responsabilità del Comune fosse da ricondursi all’art. 2043 c.c., riqualificava la domanda degli attori, riteneva che la responsabilità fosse da ascriversi a quella di cui all’art. 2051 c.c. e, assunta tale premessa, concludeva che fosse emersa la prova di una causa di forza maggiore idonea ad interrompere il nesso causale tra il danno e il malfunzionamento della condotta, giusta la certificazione in atti dell’Ufficio competente della Giunta regionale che aveva attestato che sui luoghi di causa nel giorno indicato si era verificata una precipitazione atmosferica di eccezionale intensità, statisticamente rilevabile una volta ogni cinquant’anni, come confermato dal C.T.U. ed anche dal vigile del fuoco B., modificava, di conseguenza, la decisione del giudice di prime cure nella parte in cui aveva ritenuto che il Comune non avesse fornito la prova che i danni lamentati dagli attori fossero stati cagionati soltanto da quell’ora in cui la precipitazione era stata particolarmente intensa, perchè aveva irragionevolmente parcellizzato l’effetto di ciascuna ora di pioggia, mentre avrebbe dovuto considerare che si trattava di un’unica inscindibile sequenza causale, caratterizzata dall’eccezionale precipitazione della prima ora, senza la quale non si sarebbero verificate le conseguenze pregiudizievoli per cui è causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale.

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte territoriale avrebbe ritenuto ricorrente la causa di forza maggiore, senza considerare che le precipitazione atmosferiche, per essere considerate un evento eccezionale ed imprevedibile, atto ad interrompere il nesso causale, avrebbero richiesto una valutazione sulla base di elementi di prova concreti e specifici di stampo statistico, cioè dei dati pluviometrici riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia.

Tale accertamento era mancato, perchè nel luogo in cui si era verificato il danno era emersa la inesistenza di una linea di raccolta delle acque piovane, come era risulto dalle prove raccolte in primo grado da cui era emersa l’assenza degli scolmatori di pioggia, il mancato adeguamento della rete all’incremento della popolazione, la presenza di collettori destinati al trasporto delle acque meteoriche e contemporaneamente a quelle nere.

Il Comune, perciò, avrebbe dovuto essere considerato responsabile per avere omesso le norme di comune prudenza nella manutenzione della rete fognaria con conseguente responsabilità ex art. 2043 c.c..

Il motivo è inammissibile.

La qualificazione della domanda giudiziale è attività tipicamente riservata al giudice non vincolato dalla qualificazione data dal giudice di primo grado nè da quella proposta dalle parti in causa.

Se è vero, dunque, che il primo giudice aveva ritenuto l’azione esercitata riconducibile all’art. 2043 c.c., ciò tuttavia non veniva a privare il giudice d’appello del suo potere di qualificazione giuridica dei fatti allegati e quindi oggetto della controversia, potere-dovere nel caso di specie senza dubbio sussistente, non essendosi formato alcun giudicato interno essendo ancora in piena discussione le conseguenze giuridiche dei fatti stessi (cfr. Cass. 20/10/2010 n. 21561: “Nell’ipotesi in cui sulla domanda o su un capo autonomo di essa non si sia formato il giudicato interno, per effetto dell’acquiescenza espressa o tacita, deve ritenersi consentito porre in discussione, nell’ambito della impugnazione proposta contro la relativa pronuncia, le questioni concernenti l’applicabilità di una norma giuridica e l’interpretazione della norma stessa, qualunque sia stato il comportamento difensivo concretamente assunto in proposito dalla parte, nel precedente o nei precedenti gradi del giudizio. Dette questioni, infatti, sono rilevabili anche d’ufficio dal giudice dell’impugnazione, nell’esercizio del suo potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso controverso, e non sono suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo di essa cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione” (Cass. 09/06/2016, n. 11805).

Fatta tale premessa, la riconduzione dei fatti di causa alla responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c., rende inconferenti le censure formulate dai ricorrenti, le quali presuppongono l’imputabilità di una responsabilità colposa; il comportamento asseritamente omissivo attribuito all’Ente locale si muove, infatti, sul piano generale della clausola aquiliana (art. 2043 c.c.), diverso e incompatibile con quello della responsabilità da cosa in custodia (art. 2051 c.c.).

Ai sensi dell’art. 2051 c.c., il custode risponde del danno “cagionato” dalla cosa che ha in custodia; dovendo il danno essere causato dalla cosa, ciò implica che sia irrilevante ogni profilo comportamentale del responsabile, da intendersi come soggetto tenuto a risarcire il danno, ma non come soggetto gravato dell’obbligo di controllare la cosa sì da evitare che essa produca danni. Il suo essere responsabile “non descrive null’altro che la relazione tra un soggetto e la cosa che gli appartiene. Il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente se la cosa ha provocato danni a terzi (cfr. Cass. 06/07/2006, n. 15383).

La deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno e/o a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso.

Prova ne sia che nella stessa prospettazione dei danneggiati l’evento non si sarebbe (probabilmente) verificato se fossero stati presenti gli scolmatori; significa, dunque, che il danno lamentato, da un lato, non sarebbe derivato dalla cosa, ma da un comportamento omissivo avente ruolo causale, dall’altro, come pure s’è già detto, si suppone la violazione di obblighi di comportamento e ciò dimostra che ci si muove nel campo della responsabilità per colpa del tutto estraneo alla fattispecie invocata (Cass. 13/02/2019, n. 4161).

Il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare l’erronea qualificazione della responsabilità del Comune da parte del giudice a quo, basandosi sulla contestazione dei presupposti per applicare la responsabilità per cose in custodia, ad esempio, provando che il Comune non poteva essere considerato custode della rete fognaria.

2. Con il secondo motivo, in via gradata, nel caso di ritenuta responsabilità del custode, i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., nel ritenere operante la scriminante della forza maggiore, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte d’appello avrebbe totalmente omesso di valutare altre prove da cui sarebbe emerso che le piogge non erano state eccezionali, che già nel 1998 era stata segnalata al Comune una situazione di allagamento nella stessa zona, che nel periodo che va dal 1998 al 2007 erano stati osservati altri 11 fenomeni di pioggia prolungata per 24 ore che un impianto consono sarebbe stato in grado di smaltire, che quand’anche la pioggia avesse potuto considerarsi eccezionale essa concorreva con il fatto umano imputabile e che, nel caso di concorso di una causa umana imputabile con una concausa naturale non imputabile, la responsabilità avrebbe dovuto affermarsi sulla scorta del principio del tutto o niente solo quando al custode non fossero stati mossi addebiti circa la condotta tenuta, che era stata provata la colpevole inadeguatezza della rete fognaria anche a smaltire piogge non eccezionali, che la giurisprudenza di legittimità ha adottato un atteggiamento severo e restrittivo in ordine ai casi in cui una pioggia deve considerarsi eccezionale, tenuto conto del dissesto idrogeologico che caratterizza il Paese.

Il motivo è inammissibile.

Parte delle considerazioni già fatte investono anche questo motivo -concorso del fatto naturale con il fatto umano colposo – per il resto, la prospettazione dei ricorrenti non va oltre la pretesa di una inammissibile rivalutazione degli accertamenti effettuati dal giudice a quo, non essendo imputabili alla Corte territoriale i vizi indicati in epigrafe.

Ricordato che rappresenta caso fortuito tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente ovvero tutto ciò che rappresenta un’eccezione alla normale sequenza causale, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, sovrapponendosi ad essa ed elidendone l’efficacia condizionante, il suo accertamento rientra nel sindacato in fatto riservato al giudice di merito.

Ciò posto, la Corte territoriale ha accertato in fatto (pp. 5-6), avvalendosi della misurazione pluviometrica certificata dall’ufficio competente della giunta regionale, della CTU, della deposizione del vigile del fuoco B., che sui luoghi di causa, nel giorno indicato, si era verificata una precipitazione di eccezionale intensità (60 mm) “in un’ora statisticamente rilevabile una volta ogni cinquant’anni” e che nell’arco di 24 ore l’incidenza della pioggia non era mai stata inferiore “ad una periodicità di almeno dieci anni”.

Il Collegio di merito non ha dunque erroneamente inteso la portata oggettiva della responsabilità da custodia, avendola ritenuta interrotta da un fortuito rappresentato da un evento accertato come eccezionalmente avverso, tale da superare la regolarità causale afferente alla intensità di una precipitazione atmosferica.

Ricorso incidentale condizionato di ACA S.p.a..

3. Con l’unico motivo di ricorso ACA S.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo ACA, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto di applicare la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., in luogo di quella di cui all’art. 2043 c.c., non solo perchè era emerso in atti che i collettori fognari comunali erano affetti da difetti strutturali e progettuali che li rendevano inadeguati allo smaltimento delle acque meteoriche – di conseguenza, il Comune avrebbe dovuto provvedere ai sensi della legislazione all’epoca vigente a realizzare gli scaricatori di piena o avrebbe dovuto dotare la rete fognaria di appositi sistemi per evitare lo sversamento di acque meteoriche dei liquami in occasione delle piogge – ma perchè nel caso di specie il Comune di Spoltore non aveva con la rete fognaria un rapporto di custodia, perciò non avrebbe dovuto ritenersi responsabile ai sensi dell’art. 2051 c.c., ma solo in ragione degli anzidetti accertati difetti strutturali e progettuali della rete.

4. Il ricorso incidentale è inammissibile, perchè ACA è risultata totalmente vittoriosa in appello e perciò non aveva interesse ex art. 100 c.p.c., a proporre ricorso incidentale, come, peraltro, rilevato dall’Ente Comunale nel suo controricorso.

Costituisce ius receptum (cfr. Cass. SS.UU. 25/03/2013 n. 7381) che il ricorso incidentale per cassazione presuppone pur sempre la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che – come ACA nel giudizio di appello sia risultata completamente vittoriosa; quest’ultima, del resto, non ha l’onere di riproporre le domande e le eccezioni non accolte o non scrutinate dal giudice d’appello che le ha ritenute assorbite, poichè, anche nell’eventualità dell’accoglimento del ricorso principale, sarebbe salva la possibilità che esse siano riesaminate in sede di giudizio di rinvio (cfr. Cass. 05/01/2017, n. 134).

5. Le spese sono liquidate come da dispositivo.

6. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale condizionato.

Condanna sia i ricorrenti principali sia la ricorrente incidentale al pagamento delle spese in favore del Comune controricorrente, liquidandole, a carico di ciascuno, in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Compensa le spese tra i ricorrenti principali e la ricorrente incidentale.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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