Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41739 del 28/12/2021

Cassazione civile sez. I, 28/12/2021, (ud. 09/11/2021, dep. 28/12/2021), n.41739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17889/2020 proposto da:

O.S., rappresentato e difeso dall’avv. COSIMO

CASTRIGNANO’, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 18/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/11/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con il decreto impugnato, il Tribunale di Lecce rigettava il ricorso proposto da O.S. avverso il provvedimento della Commissione territoriale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione, internazionale ed umanitaria.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione O.S., affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria per la partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l’omessa motivazione circa un fatto decisivo, perché il giudice di merito avrebbe omesso di esaminare i motivi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del ricorso introduttivo.

La censura è inammissibile per carenza di specificità, poiché il ricorrente non riproduce i motivi dei quali lamenta l’omesso esame. La deduzione di un profilo di omesso esame di un motivo, o di una eccezione, proposti dalla parte si risolve in un vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., e postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito della domanda o eccezione, autonomamente apprezzabili e ritualmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. La Corte di Cassazione, infatti, quale giudice del cd. “fatto processuale”, in tanto può esaminare direttamente gli atti processuali, in quanto il ricorrente abbia, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso e a pena di inammissibilità della censura, ottemperato all’onere di indicare compiutamente detti atti, non essendo questa Corte legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28072 del 14/10/2021, Rv. 662554; Cass. Sez. L, Sentenza n. 15367 del 04/07/2014, Rv. 631768; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6361 del 19/03/2007, Rv. 596820).

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, in relazione all’art. 24 Cost., perché il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la storia personale del richiedente asilo, senza attivare i suoi poteri ufficiosi di acquisizione istruttoria.

La censura è inammissibile, poiché il ricorrente non indica quali strumenti il giudice di merito avrebbe dovuto attivare, né ne chiarisce la decisività. Sul punto, va considerato che “Qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017, Rv. 645753; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007, Rv. 595004). Il principio si applica, nella seconda parte, anche alla deduzione della mancata attivazione del potere ufficioso del giudice, tipico del giudizio di protezione internazionale: anche in questo caso, infatti, così come quando contesti la mancata ammissione di una qualsiasi istanza istruttoria, il ricorrente è onerato di specificare quale strumento istruttorio, in concreto, avrebbe dovuto essere adottato e quali sarebbero state le ragioni della sua decisività.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 35 bis, perché il Tribunale non avrebbe condotto l’accertamento sulla situazione esistente in Nigeria, Paese di origine del richiedente asilo.

La censura è inammissibile, in quanto il decreto impugnato contiene l’indicazione delle fonti consultate dal Tribunale e riporta le specifiche informazioni da esse tratte (cfr. pag. 5). Sul punto, va ribadito che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede. In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Nel caso di specie, il ricorrente non indica alcuna fonte alternativa, più aggiornata o più specifica, rispetto a quelle consultate dal Tribunale, ma si limita ad una censura generica, che si risolve nella richiesta di riesame della valutazione di fatto, preclusa in questa sede perché estranea alla natura e alla finalità del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 50 bis e 738 c.p.c., perché il decreto sarebbe stato predisposto, in realtà, da un giudice monocratico e non dal collegio, come dimostra il fatto che esso rechi, in calce, l’indicazione che “Il presente provvedimento è stato redatto su predisposizione della minuta da parte del GOP Dott.ssa N.L.F., ai sensi della Delib. CSM 1 giugno 2017”.

La censura è infondata. Il D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 3, comma 4-bis, convertito, con modificazioni, in L. 13 aprile 2017, n. 46, prevede che “Le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 e quelle aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale sono decise dal tribunale in composizione collegiale. Per la trattazione della controversia è designato dal presidente della sezione specializzata un componente del collegio. Il collegio decide in Camera di consiglio sul merito della controversia quando ritiene che non sia necessaria ulteriore istruzione”. La norma, dunque, prevede la decisione, ma non anche la trattazione, collegiale, ed ammette espressamente la delega di un componente del collegio per la trattazione della causa.

Ne’ si pongono problemi in ordine alla composizione del giudice, poiché il principio dell’immutabilità del collegio trova applicazione, nei procedimenti a decisione collegiale, inclusi quelli svolti in Camera di consiglio, soltanto una volta che abbia avuto inizio la fase di discussione, in quanto solo da questo momento è vietata la deliberazione della sentenza da parte di un collegio composto diversamente da quello che ha assistito alla discussione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16738 del 29/07/2011, Rv. 619320).

La garanzia della collegialità della decisione, inoltre, è assicurata – nel caso di specie – sia dall’intestazione del decreto impugnato, che contiene la composizione del collegio giudicante, sia dal fatto che esso risulti sottoscritto dalla presidente del collegio stesso, nonché relatrice. La predisposizione delle minute dei provvedimenti giurisdizionali ad opera dei G.O.P., invece, è espressamente prevista dal D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, comma 10, che prevede e disciplina l’assegnazione dei G.O.P. all’ufficio per il processo, in funzione ausiliaria rispetto al giudice professionale designato per la trattazione dei singoli procedimenti.

Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7, ed il vizio della motivazione, perché il Tribunale avrebbe erroneamente escluso la sussistenza, in Nigeria, di un contesto di violenza generalizzata. Ad avviso del ricorrente, tanto maggiore è il grado di violenza diffusa nel Paese di provenienza del richiedente asilo, tanto minore è l’esigenza di dimostrare la sussistenza di un rischio individualizzato.

La censura è infondata. Il ricorrente confonde le diverse ipotesi di protezione sussidiaria previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e non considera che, mentre per quelle di cui alle lettere a) e b) di detta disposizione è necessario fornire la prova di un pericolo di danno grave o trattamento inumano e degradante, direttamente riferito alla persona del richiedente asilo, per la diversa ipotesi di cui alla lettera c) occorre, invece, valutare il contesto esistente nella sua zona di provenienza, per verificare se nella stessa sia riscontrabile una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno o internazionale. Le due valutazioni – quella relativa al cd. rischio individualizzato e quella concernente il cd. rischio – Paese – sono quindi del tutto autonome tra loro, e mirano al riconoscimento di forme di protezione sussidiaria diverse l’una dall’altra. Il contesto del Paese di provenienza gioca, in ciascuna di dette valutazioni, un ruolo differente: nei casi di cui alle lettere a) e b), infatti, esso rappresenta soltanto il quadro generale in cui va inquadrata la deduzione di un profilo di rischio individualizzato, mentre nell’ipotesi di cui alla lettera c) diventa la causa diretta del pericolo dedotto dal richiedente asilo, proprio perché quest’ultimo si trova esposto al rischio di essere ucciso, subire danni gravi alla sua persona, trattamenti inumani e degradanti o significative deprivazioni dei suoi diritti fondamentali, a causa della violenza indiscriminata originata da un conflitto armato, interno o internazionale.

Non è dunque ravvisabile, nell’attuale sistema della protezione internazionale, e segnatamente di quella sussidiaria, l’automatismo ipotizzato dal ricorrente, secondo cui al crescere del grado di violenza indiscriminata esistente in una determinata zona decresce l’esigenza di individualizzare il rischio, poiché l’individualizzazione permane con riferimento alle ipotesi di cui alle lettere a) e b), mentre non è mai necessaria con riguardo al caso di cui alla lettera c).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in assenza di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2021

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