Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4168 del 21/02/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 4168 Anno 2018
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: BERNAZZANI PAOLO

ORDINANZA

sul ricorso 22285-2011 proposto da:
BARTOLINI GIAMPIERO, elettivamente domiciliato in ROMA
VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato
FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato REMO DOMINICI;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
2017
2733

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente nonchè contro

DIREZIONE PROVINCIALE DI GENOVA;

Data pubblicazione: 21/02/2018

- intimato –

avverso la sentenza n. 6/2011 della COMM.TRIB.REG. di
GENOVA, depositata il 10/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 09/11/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO

BERNAZZANI.

FATTI DI CAUSA
Giampiero Bartolini propone ricorso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate per
la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria
n.6/6/2011, pronunciata il 17.11.10 e depositata il 10.3.11, con la quale è stato
rigettato l’appello dallo stesso proposto ed è stata,, conseguentemente, confermata
la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti del predetto
contribuente, medico odontoiatra, per IRPEF ed IRAP relative all’anno 2005.

sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), ci.Fi.R.
19 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 cod, proc. civ., e
per omessa o insufficiente motivazione, in relazione all’alt. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Resiste l’A.d.E. con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso, concernente violazione e falsa applicazione
dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. 19 settembre 1.973, n. 600, in relazione
all’art.360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., è infondato.
I giudici di appello hanno affermato la legittimità del contestato acc:ertamento,
ravvisando la ricorrenza, nella specie, dei presupposti legittimanti l’accertamento
analitico – induttivo di cui alla norma citata, ritenendo, altresì, la correttezza
delle valutazioni presuntive poste dall’Ufficio a suo fondamento.
In tale prospettiva, la sentenza impugnata ha individuato il presupposto
legittimante l’accertamento operato dall’Ufficio nella circostanza, ragionevolmente
sintomatica dell’esistenza di attività non dichiarate,

-appresentata dall’avere il

contribuente evidenziato una forte discrepanza tra l’entità del materiale di consumo
utilizzato nell’esercizio della propria attività professionale di odontoiatra – indicativo
di un correlativo numero di interventi sui pazienti — ed i ricavi indicati nella
dichiarazione sottoposta a rettifica, tenuto conto anche del fatto che il ricorrente
esercita la predetta attività dal 1980 ed è titolare di due studi iella città di Genova.
Hanno, dunque, considerato i giudici del gravame che, ai fini dell’accertamento,
l’Ufficio aveva legittimamente e coerentemente ricostruito il maggior reddito sulla
base della quantità dei materiali “usa e getta” normalmente utilizzati
nell’esecuzione delle singole prestazioni odontoiatriche (guanti, bicchieri, aspira
saliva e tovaglioli) così come risultanti dalla documentazione esaminata e, tenuto
conto delle normali dispersioni, aveva, quindi, correttamente pnceduto alla
determinazione dei correlativi ricavi avuto, altresì, puntuale riguardo alíe diverse
tipologie di prestazioni eseguite (quantificate in via percentuale anche sulla base

Con i due motivi di ricorso formulati, il contribuente censura l’impugnata

delle indicazioni del contribuente) e dei valori medi risultanti dalle tariffe A.n.d.i.
per l’anno di riferimento.
2. Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver ritenuto esperibile
un accertamento analitico – induttivo ex d.P.R. n. 600 cel 1973, art. 39, comma 1,
lett. d), in base a presunzioni, pur in presenza di contabilità regolarmeni:e tenuta,
mentre, in tale ipotesi, sarebbe consentito procedere alla rettifica del dichiarato solo
sulla base delle risultanze delle scritture contabili; lo stesso ria riconosciuto,

comunque essere condotto anche in base a presunzioni semplici, purché gravi,
precise e concordanti.
Sotto tale profilo, sostiene il ricorrente che, confermando l’accertamento dei
maggiori ricavi, la Commissione avrebbe violato la citata norma, avendo utilizzato a
fini probatori presunzioni fondate non su una pluralità di elementi dotati dei requisiti
di assoluta certezza, concretezza, gravità, precisione e concordanza, ma su un
unico dato incerto e ricostruito in modo arbitrario, costituito dal numero di guanti
impiegati, sulla cui base ed a mezzo di presunzioni a catena si è pervenuti al
risultato finale, omettendo anche di valutare gli elementi di segno opposto dal
contribuente dedotti.
3. Ciò posto, va osservato che l’accertamento con metodo analitico- induttivo,
con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di
rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art 39, comma 1. lett. d) del d.P.P. n.
600/1973 pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la
disposizione presuppone, appunto, l’esistenza scritture regolarmente tenute e,
tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi,
precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà
della contabilità esaminata (cfr., ex multis, Cass. sez. 5, 24.9.2014, n. 20060;
Cass. sez. 5, 15.6.2011, n. 13068), come si verifica qualora la contabilità stessa
possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto configgente con i
criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antiecono -nicità del
comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, l’Ufficio è legittimato a
desumere, sulla base delle predette presunzioni, maggiori ricavi o minori costi, con
conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (cfr.
Cass. sez. 5, 18.5.2012, n. 7871; Cass. sez. 6, ord. 30.:L2.2015, n. 26036).
4. Nella medesima ottica, non può neppure condiv dersi , ‘ulteriore assunto del
ricorrente, secondo cui l’accertamento induttivo operato nel caso di specie sarebbe
inficiato, nella sua valenza sostanziale, dalla conformità dei ricavi dichiarati agli
studi di settore in materia, dei quali l’Ufficio non avrebbe tenuto alcun conto.

peraltro, che, ai sensi della disposizione sopra richiamata„ l’accertarrento può

Secondo l’orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, gli
studi di settore costituiscono, come si evince dall’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto
1993, n. 331, convertito nella I. 29 ottobre 1993, n. 427, solo uno degli strumenti
utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva – in
presenza di una contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile
– il reddito reale del contribuente. Siffatto accertamento, infatti, ben può essere
condotto anche sulla base del riscontro – nella specie operato alla stregua degli

corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle
condizioni di esercizio della specifica attività svolta, essendo le stesse di per sé
suscettibili di evidenziare che la stessa presenta caratteristiche di stranezza, di
singolarità e di contrasto con elementari regole economiche, tali da renderlo
immediatamente percepibile come inattendibile secondo la comune esperienza.
(cfr., ex multis, Cass. sez. 5, 24.9.2014, n. 20060). •
E non può revocarsi in dubbio che le anomalie riscontrate, nel caso concreto, in
sede di verifiche fossero, di per sé, tali da giustificare il ricorso all’accertamento
induttivo, mediante gli indici suindicati, a prescindere dalle risultanze degli specifici
studi di settore.
5. Ciò posto, va rimarcato che fra gli elementi presuntivi semplici utilizzabili ai
fini accertativi, purché gravi, precisi e concordanti, rientrano, senza dubbio, quelli
relativi all’impiego di materiale di consumo, ove indicativi di rilevanti incongruenze
tra costi e ricavi e, quindi, di attività non dichiarate o di passività dichiarate,
secondo canoni di ragionevole probabilità (cfr. Cass.

SeZ.

5, 23.7.2010, n. 17408;

Cass. sez. 5, 15.12.2006, n. 26919; Cass. sez. 5, 24.11.2006, n. 25001; Cass. sez.
5, 8.7.2002, n. 9884). In particolare, questa Corte ha affermato che «Ai fini della
ricostruzione del reddito, l’Ufficio può procedere ad accertamento di tipo analiticoinduttivo, ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973„ n. 600, con la verifica
del consumo dei guanti monouso utilizzati dal contribuente per la sua attività di
odontoiatra, dal momento che esiste una correlazione tra il materiale ai consumo
utilizzato e gli interventi sui pazienti». (Cass. sez. 5„ 5.6.2008, n. 14879).
6. Così delineato il quadro normativo ed ermeneutico di riferimento, deve
osservarsi che il nucleo essenziale delle doglianze formulate dal contribuente
concerne il dato di base sul quale si fonda l’accertamento, costituito dall’entità del
materiale “usa e getta” che l’Ufficio ritiene essere stato utilizzato nell’espletamento
delle prestazioni professionali per cure ed interventi odontoiatrici nell’arco del 2005:
più precisamente, il ricorrente ritiene che l’accertamento del quantitativo di tale
materiale, ed in special modo dei guanti, sia stato determinato in modo arbitrario,

3

elementi presuntivi suesposti – di gravi incongruenze tra i ricavi, i con -ipensi ed i

in quanto non terrebbe conto di tutta una serie di elementi evidenziati nei propri
atti dal contribuente stesso.
Tanto basta per escludere la sussistenza del vizio di violazione e falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., posto
che esso consiste (cfr. Cass. sez. 1, 11 agosto 2004, n. 15499) nella deduzione di
una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie
astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un

ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna
all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del
giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del
vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (viola2:ione di legge in
senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,
ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddit-toria
ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato, in modo evidente, dal fatto che
solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa.
E tale è proprio il caso di specie, nel quale le censure formulate dal ricorrente
sono, piuttosto, riconducibili in via astratta al vizio di insufficiente motivazione, di
cui in appresso.
7. Anche il secondo motivo di ricorso, concernente I vizio di omessa o
insufficiente motivazione in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., risulta
infondato.
Richiamate le premesse argomentative sopra illustrate, va rilevato che,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di insufficiente
motivazione ove il giudice non indichi gli elementi dai quali ha tratto il proprio
convincimento, ovvero il criterio logico e la ratio cfecidendi che lo ha guidato. Il
giudice deve delineare il percorso logico seguito, descrivendo il legame tra gli
elementi interni determinanti che conducono necessariamente ed esclusivamente
alla decisione adottata; mentre deve escludere, attraverso adeguata critic:a, la
rilevanza di ogni elemento esterno al percorso logico seguito, di natura materiale,
logica o processuale, ed astrattamente idoneo a delineare conseguenze divergenti
dall’adottata decisione (cfr. Cass. Sez. L, 12.11.1997, n. 11198).
Ciò posto, va necessariamente aggiunto che, nella prova per presunzioni, la
relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità,
essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza
del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità.

problema interpretativo della stessa, mentre l’ailegazione di una erronea

Da tali premesse consegue che, nella specie, la sentenza impugnata risulta
essersi conformata ai descritti criteri nel concludere per la legittimità
dell’accertamento in esame, costituendo dato assolutamente normale e
corrispondente a canoni di ragionevole probabilità quello secondo cui, per ciascuna
prestazione odontoiatrica, si adoperi tendenzialmente una certa quantità di
materiale di consumo, onde tale elemento rappresenta un fatto noto capace, anche
di per sè solo, di lasciare ragionevolmente e verosi -nilmente presumere il numero

Sul punto, la decisione valorizza in modo congruo e non censurabile sotto il
profilo logico-formale l’attendibilità del calcolo del numero dei guanti (1215)
utilizzati dal dott. Bartolini, sulla base degli acquisti complessivi effettuati nel 2005,
da cui sono stati detratti i guanti, di misura più piccola, impiegati dall’assistente del
medico, ed un’ulteriore percentuale del 10% pari ai presunti scarti, nonché la
coerenza di tale dato con gli acquisti degli altri prodotti (in particolare, 1000
tovaglioli; 1250 aspirasaliva), onde determinare in pari numero le prestazioni
odontoiatriche effettuate nel 2005 ed i correlativi ricavi, avuto puntuale riguardo
alle diverse tipologie di prestazioni eseguite ed alla loro incidenza percentuale,
anche sulla base delle indicazioni del contribuente, e con riferimento ai 1/alori rredi
risultanti dalle tariffe A.n.d.i. per l’anno di accertamento.
In tale prospettiva, le doglianze del ricorrente concernono una gamma di
elementi (ad esempio, il non aver considerato che il numero dei guanti utilizzati per
ogni tipologia di prestazioni sarebbe superiore ad uno, secondo la “comune
esperienza”; la contestazione del fatto, che la CTR ha presupposto, che tutto il
materiale di consumo indicato fosse stato utilizzato nel corso dell’anno oggetto di
accertamento; la coerenza dei dati afferenti l’acquisto dei guanti con quello degli
altri prodotti) che attengono propriamente alle valutazioni relative al merito della
controversia, come tali non sono rivalutabile in questa sede.
Il ricorso per cassazione, invero, non conferisce al giudice di legittimità il
potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, avendo questi «solo
la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in
via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di
controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza alluno o
all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla
legge». (Cass. sez. 5, 16/12/2011, n. 27197).

5

delle prestazioni effettuate ed i relativi ricavi.

Da ciò consegue che è del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione
ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di
merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa, non
potendo il motivo di ricorso risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze
processuali diversa da quella operata dal giudice di merito. Il motivo, pertanto, va
respinto in quanto, nella sostanza, diretto a rimettere in discussione la decisione di
merito sotto il profilo della valutazione di fatto operata; l che non integra il

conseguentemente sviluppata rispetto alle premesse fattuali oggetto di
considerazione da parte del giudice di merito.
Il ricorso deve essere, conclusivamente rigettato. Le spese seguono la
soccombenza e si liquidano in complessivi Euro 5.500,00 oltre spese prenotate a
debito.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della
controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00
per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, 9 novembre 2017
Il Presidente
Aurelio anpabianca

denunciato vizio, in quanto la motivazione risulta coerentemente e

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