Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4164 del 20/02/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4164 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 9609-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2012
2453

contro

OXOID INTERNATIONAL LIMITED in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA CRESCENZIO 91,

presso lo studio

dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che lo rappresenta e

Data pubblicazione: 20/02/2013

difende giusta delega a margine;
– con troricorrente –

avverso

la

sentenza

n.

250/2006

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di PESCARA,

della

depositata il

02/12/2006;

udienza del 12/12/2012 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTII;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE STEFANO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato LUCISANO che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

PREMESSO IN FATTO.
1. Con sentenza n. 250/06, notificata il 17.1.07, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo accoglieva
l’appello proposto dall’Oxoid International Limited, società di diritto inglese, avverso la decisione di primo
grado, con la quale era stato respinto il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti del silenzio rifiuto
formatosi sull’istanza di rimborso della metà del credito
di imposta relativo ai dividendi per gli anni 2000 e
2001, assegnati a detta società britannica titolare del
100% del pacchetto azionario della società italiana Oxoid
s.p.a., a seguito di delibere della controllata italiana.
2. La CTR, in riforma della sentenza di prime cure, riteneva sussistenti, nella
specie, i presupposti per il
rimborso in discussione, previsti dall’art. 10, par. 4
della Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito del
21.10.1988.ratificata con 1. 329/90, atteso che i dividendi assegnati dalla società italiana alla società madre
inglese, pur se non materialmente corrisposti in denaro,
avevano costituito oggetto di novazione, con estinzione
del relativo credito, a seguito di stipula di contratto
di mutuo tra le parti. E, d’altra parte, la CTR riteneva
sussistente nel caso concreto anche l’ulteriore presupposto del rimborso, costituito dalla doppia imposizione dei
dividendi, in Italia e nel Regno Unito, essendo il fisco
inglese – come si desumerebbe dall’attestazione in atti “a conoscenza” del reddito percepito, a tale titolo, dalla società britannica.
3. Per la cassazione della sentenza n. 250/06 ha proposto
ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando sei motivi,
ai quali la contribuente ha replicato con controricorso.
OSSERVA IN DIRITTO.
1.La vicenda processuale in esame trae origine da una domanda, presentata 1’8.11.2002 dalla società di diritto
britannico Oxoid International Limited, di rimborso del
credito di imposta ai sensi dell’art. 10, par. 4 della
Convenzione tra Italia e Regno Unito contro le doppie imposizioni, sottoscritta a Pallanza il 21.10.1988. La società istante, invero, titolare del 100% del pacchetto
azionario della società italiana Oxoid s.p.a., non avendo
stabile organizzazione in Italia, ed essendo soggetta nel
Regno Unito alla corporation tax, riteneva di essere in
possesso di tutti i requisiti per il rimborso previsto
dalla Convenzione succitata.
I presupposti della domanda erano costituiti – per vero dal fatto che la controllata italiana, nell’assemblea del
27.4.2000, aveva deliberato di destinare l’intero utile
di esercizio all’unico azionista, l’Oxoid LTD, che – con
nota successiva – ne aveva, quindi, richiesto l’accredito
sul proprio conto corrente bancario in Inghilterra. Identica delibera era stata, dipoi, adottata il 24.4.2001,
per l’anno successivo, cui aveva fatto seguito, del pari,
la richiesta della società madre inglese di accredito sul
proprio conto corrente bancario delle somme relative ai
dividendi assegnati dalla società figlia italiana.
Ad entrambe le richieste di accredito del dividendi, tuttavia, la Oxoid s.p.a. aveva replicato proponendo “la

conversione del debito dei dividendi in un mutuo fruttifero”, ed a tale richiesta la Oxoid International Limited
aveva prontamente aderito. Per il_ che l’obbligazione della mutuataria italiana di distribuire i dividendi alla
mutuante inglese veniva ad essere sostituita dall’obbligo
di restituzione scaturente dal mutuo suddetto, s la cui
esecuzione avrebbe costituito l’adempimento delk obbligo
di assegnazione dei dividendi per gli anni 2000 e 2001.
Orbene – muovendo dalla considerazione che l’art. 10, par
4 della menzionata Convenzione Italia-Regno Unito concede
alla società madre inglese che controlla la società italiana distributrice di dividendi, dei quali la prima sia
la beneficiaria effettiva”, di ottenere un credito di
imposta, nella misura indicata dalla stessa norma – la
Oxoid International Limited avanzava la predetta domanda
di rimborso corrispondente al credito di imposta vantato.
Su tale richiesta si formava, peraltro, il silenzio rifiuto da parte dell’Ufficio, avverso il quale la contribuiva proponeva ricorso, disatteso in prime cure ed accolto, invece, dalla pronuncia di appello, avverso le cui
statuizioni insorge ora l’Agenzia delle Entrate, con ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
2. Con i sei motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente
l’Amministrazione finanziaria denuncia la violazione degli artt. 10, co. 2 e 3 Cost, 10, par. 4 della Convenzione Italia-Regno Unito del 21.10.1988, ratificata con legge n. 329/90, 1813, 1230 e 2697 c.c., in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.1. Osserva la ricorrente che il giudice di seconde cure
avrebbe erroneamente riconosciuto il diritto al rimborso
dei dividendi in questione, senza che fosse stato neppure
dimostrato dalla società inglese – sulla quale incombeva
il relativo onere – anzitutto, di avere effettivamente
percepito tali dividendi, dipoi, che gli stessi erano
stati realmente sottoposti a tassazione anche nel Regno
Unito, si che il presupposto del credito di imposta, costituito dalla doppia imposizione – in Italia e
all’estero – dei redditi originati dalla distribuzione
degli utili in parola potesse ritenersi, in concreto,
sussistente.
2.2. Sotto il primo profilo, quello della percezione,
l’Ufficio rileva, infatti, che la stipula di un mutuo non
equivale a pagamento effettivo dei dividendi, laddove come nel caso concreto – non vi sia stata neppure la consegna del denaro mutuato, sicchè il preteso mutuo altro
non costituirebbe se non un mero riconoscimento di debito, avente ad oggetto gli utili non corrisposti. Con la
conseguenza che, non essendo venuta ad esistenza una valida obbligazione sostitutiva di quella originaria, anche
la pretesa novazione dell’obbligo di assegnazione dei dividendi non sarebbe in alcun modo configurabile nel caso
di specie.
2.3. Sotto il secondo profilo, quello della tassazione
nel Regno Unito, osserva l’Agenzia delle Entrate che pienamente infondato sarebbe l’assunto del giudice di appello, il quale ha ritenuto di poter ravvisare la prova di

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tale presupposto nella certificazione dell’Ufficio fiscale di Farham (GB), che reca un’attestazione del seguente
tenore: “I am able to confirm that Oxoid International
Limited is resident in the United Kingdom for the purposes of corporation tax – is subject to corporation tax
in the United Kingdom – and will not become exempt from
United Kingdom coporation tax”. Ebbene, siffatta certificazione – a parere dell’Amministrazione ricorrente – fornirebbe solo la prova del fatto che la Oxoid International Limited è fiscalmente residente nel Regno Unito, e
che essa è ivi soggetta – almeno in astratto – alla corporation tax, ma non integrerebbe anche la dimostrazione
del fatto che la stessa abbia riportato i cespiti relativi ai dividendi italiani nella propria dichiarazione dei
redditi presentata al fisco inglese, si da far venire in
vita il presupposto essenziale perché si realizzi la doppia imposizione, preliminare al rimborso del credito di
imposta da parte dell’ Amministrazione finanziaria italiana. Per il che, ad avviso della ricorrente, il silenzio opposto dall’Ufficio alla suddetta domanda di rimborso si paleserebbe del tutto legittimo.
3. Premesso quanto precede, osserva la Corte che la vicenda processuale in esame ripropone il complesso e delicato tema della doppia imposizione economica, a livello
comunitario, degli utili societari e dei rimedi che per
la sua risoluzione gli Stati membri hanno, da tempo,
adottato. L’esatta comprensione di tale problematica,
quanto meno nelle sue linee essenziali, giova alla corretta definizione dell’articolata fattispecie oggetto del
presente giudizio.
3.1. A tal fine, va premesso che – a differenza
dell’imposizione giuridica, che si traduce nell’ applicazione, Ar più di una volta della medesima imposta o di più
imposte tra loro alternative allo stesso soggetto, ed in
dipendenza del medesimo presupposto – per doppia imposizione economica interna deve intendersi – secondo la dottrina prevalente – la duplice tassazione di una stessa
ricchezza, l’utile societario, in capo a soggetti passivi
diversi, ossia la società ed il socio, e sulla base di
titoli impositivi distinti, costituiti, rispettivamente,
dal possesso dell’utile in capo alla società e dal possesso del dividendo in capo al socio. Il concetto in parola nei rapporti tra Stati diversi si arricchisce, peraltro, – com’è del tutto ovvio – di un’ulteriore connotazione: per potersi avere, infatti, doppia imposizione
economica internazionale, occorre che i titoli impositivi
in forza dei quali socio e società sono tassati siano determinati e disciplinati dalla legge di Stati diversi.
Orbene, è di chiara evidenza che la doppia imposizione
economica degli utili societari può, in concreto, porsi
come un fenomeno distorsivo delle scelte di allocazione
del capitale, dal momento che esso incentiva certamente
l’investimento in capitale di prestito, a discapito degli
investimenti in capitale di rischio, sui quali dovrebbe
fondarsi essenzialmente l’economia di un mercato concorrenziale. Di qui la ricerca, da parte degli ordinamenti
nazionali, di strumenti per ovviare, per quanto possibi-

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le, ai seri inconvenienti derivanti dalla predetta doppia
tassazione della stessa manifestazione di ricchezza;
strumenti rinvenuti, essenzialmente, nell’esenzione e nel
credito di imposta.
Nel sistema del credito, l’esenzione è incentrata sulla
persona fisica, atteso che all’imposta societaria è assegnata la funzione di acconto dell’imposta personale, mentre all’imposta gravante sul socio è preservata la progressività dell’imposizione. In tale prospettiva, invero,
il dividendo percepito dal socio è inserito nella sua base imponibile, ed assoggettato ad imposizione con la sua
aliquota personale; correlativamente, al socio è riconosciuto il diritto di credito da esercitare nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui
gli utili sono stati percepiti, mediante detrazione dal
reddito complessivo. Nel regime di esenzione dei dividendi, invece, l’imposta incombe tendenzialmente sul solo
utile societario, e non tocca il soggetto partecipante,
quali che siano il livello di tassazione applicato a carico della società e l’importo dei dividendi distribuiti
al socio, con conseguente strutturazione del rapporto socio-società secondo un modello sostanzialmente di “tipo
reale”. E comunque, in entrambe le opzioni suindicate, la
doppia imposizione economica è fenomeno puramente interno, e come tale più agevolmente risolvibile, giacche dipende dall’esercizio della potestà impositiva da parte
del solo Stato della fonte, il quale tassa, una prima
volta, l’utile societario, ed, in un secondo momento, i
dividendi distribuiti; come accade nel caso di applicazione di una ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti ai soci residenti, da parte dello Stato di residenza
della società distributrice.
3.2. Il tema della doppia imposizione degli utili societari a livello internazionale risente, peraltro, della
necessità di rispettare i principi comunitari di libertà
di stabilimento (art. 43 Trattato CE) e di libertà di
circolazione dei capitali (art. 56 Trattato CE). E’ intuitivo, infatti, che siffatti principi possono ricevere
un sensibile vulnus proprio dalle disposizioni fiscali
degli Stati membri, laddove esse si traducano in svantaggi ed impedimenti agli investimenti in altri Sati della
Comunità (ora dell’Unione), o in discriminazioni tra beneficiari dei dividendi residenti nello Stato della società distributrice, e beneficiari ivi non residenti. Si
è osservato, invero, da parte della giurisprudenza comunitaria, che, quando uno Stato membro ha scelto di esercitare la sua competenza fiscale sui dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri, i non residenti beneficiari di tali dividendi si trovano in una situazione del tutto analoga a quella dei residenti per
quanto riguarda il “rischio di doppia imposizione economica” dei dividendi distribuiti dalle società residenti,
per cui i beneficiari non residenti non possono essere
trattati diversamente dai beneficiari residenti (cfr. C.
Giust. CE, 19.11.2009 n. 540; C. Giust. CE, 3.6.2010 n.
487).

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A siffatta esigenza essenziale del sistema comunitario ha
inteso, quindi, porre rimedio, sul piano di una – almeno
embrionale – codificazione del concetto di doppia imposizione la direttiva cd. madre-figlia del 23.7.1990 n. 435,
modificata dalle direttive 2003/123 del 22.12.2003 e
2006/98 del 20.11.2006, la quale – sul presupposto che i
raggruppamenti di società di Stati membri diversi possono
essere necessari al fine di garantire il buon funzionamento del mercato comune, e che “l raggruppamenti in questione possono risolversi nella creazione di gruppi di
società madri e figlie” – ha dettato le regole essenziali
in materia di doppia imposizione economica nel rapporto
tra Stati. La direttiva afferma, invero, che quando una
società madre – in virtù del suo rapporto di partecipazione con la società figlia avente sede in un diverso
Stato membro – “riceve utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione della società figlia”, lo Stato
della società madre ha due alternative: a) astenersi dal
sottoporre tali utili ad imposizione; b) sottoporli ad
imposizione, ma autorizzando detta società madre a dedurre dalla sua imposta “la frazione dell’imposta societaria
relativa ai suddetti utili e pagata dalla società figlia”
(art. 4). La medesima direttiva, peraltro,
“lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o
convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica del dividendi, in particolare
delle disposizioni relative al pagamento di crediti di
imposta al beneficiari dei dividendi”. La direttiva dispone, infine, che “gli utili distribuiti da una società
figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta
alla fonte”.
4. Nel caso di specie, il diritto al rimborso del credito
di imposta, azionato dalla Oxoid International Limited
trova fondamento nella menzionata Convenzione ItaliaRegno Unito del 21.10.1988, emessa in forza della suindicata facoltà concessa agli Stati dalla predetta regola
pattizia internazionale.
La succitata Convenzione stabilisce, invero, che, in via
di principio, “l dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro
Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato”
(art. 10, par. l). Nondimeno, è possibile che tali dividendi siano “tassati anche nello Stato contraente in cui
la società che paga i dividendi è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato ma, se la persona
che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario,
l’imposta così applicata non può eccedere – per quel che
qui rileva – “I/ 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se lo effettivo beneficiario è una società che
controlla, direttamente o indirettamente, almeno il 10
per cento del potere di voto della società che paga i dividendi” (art. 10, par. 2, sub paragrafo A). In tale ipotesi, peraltro, la società controllante residente nel Regno Unito , che riceva dividendi dalla società figlia
italiana, “ha diritto, a condizione che sia la beneficiaria effettiva dei dividendi, ad un credito di imposta pa-

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ri alla metà del credito di imposta cui una persona fisica residente in Italia avrebbe diritto se avesse ricevuto
gli stessi dividendi, previa deduzione dell’imposta prevista al sub-paragrafo A del paragrafo 2 del presente articolo, ed a condizione che la società la quale riceve i
dividendi ed 11 credito di imposta sia a tale titolo soggetta all’imposta del Regno Unito”.
4.1. Ciò posto, va osservato, al riguardo, che la Convenzione appare in linea con il sistema del credito di imposta che il diritto interno applicabile ratione temporis
(testo previgente del TUIR, trattandosi delle annualità
di imposta 2000 e 2001, mentre le modifiche apportate al
d.P.R. 917/86 dal d.lgs. 344/03 hanno effetto per i periodi di imposta successivi all’1.1.2004) prevedeva, al
fine di elidere la doppia imposizione economica interna
(v. artt. 14 e 92 d.P.R. 917/86, nel testo previgente).
Nello stesso tempo, la Convenzione costituisce – come
detto – applicazione dell’art. 7, n. 2 della direttiva
90/435, laddove tale norma – che fa salve le disposizioni
nazionali o convenzionali che assicurino il pagamento di
crediti di imposta, al fine di sopprimere o attenuare la
doppia imposizione economica dei dividendi – consente
un’imposizione come il prelievo del 5% summenzionato,
purché detto prelievo – pur se formalmente operato sui
dividendi – venga, in ultima analisi, ad incidere sul diritto di credito di imposta che la stessa Convenzione riconosce alla società madre, sì da non poter essere considerato come una ritenuta alla fonte, non consentita dalla
direttiva madre-figlia (cfr. C. Giust. CE, 25.9.2003 n.
58; C. Giust. CE, 24.6.2010 n. 338). In tale prospettiva
è, pertanto, evidente che il riconoscimento del credito
di imposta – come accade nel diritto interno – gioca un
ruolo essenziale ai fini di escludere il rischio della
doppia imposizione, cui mira la previsione convenzionale
in parola; sicché tale credito di imposta, in favore della società beneficiaria degli utili che risieda in altro
Stato europeo, potrebbe essere legittimamente escluso solo se detta società non fosse assoggettato – come invece
accade nel caso di specie – ad imposta sui dividendi in
entrambi gli Stati membri (C. Giust. CE, 12.12.2006 n.
374).
Per quanto concerne, poi, la misura di detto credito di
imposta accordato alla società madre straniera, va osservato che il succitato art. 7, n. 2 della direttiva
90/435, nell’abilitare gli Stati membri a risolvere convenzionalmente le problematiche connesse alla doppia imposizione economica, mentre vieta implicitamente
l’adozione o il mantenimento di disposizioni nazionali o
convenzionali che lascino invariata, o addirittura aggravino, la doppia imposizione economica tra Stati membri,
prescrive, invece, che tali rimedi siano finalizzati o a
“sopprimere”, o anche soltanto ad “attenuare” tale doppia
imposizione. Ed all’esigenza che il diritto nazionale e
quello convenzionale debbano essere orientati a “prevenire o attenuare” l’imposizione a catena o la doppia imposizione, opera un chiaro ed univoco riferimento anche la
giurisprudenza comunitaria (C. Giust. CE, 540/09, 338/10,

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487/10, cit.). In tale prospettiva si pone, dunque, la
Convenzione Italia-Regno Unito, laddove prevede, a favore
della società madre cui vengano attribuiti utili dalla
società figlia italiana, un credito di imposta “pari alla
metà del credito di imposta cui una persona fisica residente in Italia avrebbe diritto se avesse ricevuto gli
stessi dividendi”.
4.2. Tutto ciò premesso, va osservato che il diritto di
credito che la predetta Convenzione prevede a favore della società madre – pacifico essendo in causa che la Oxoid
International Limited si ponga come tale, ai sensi
dell’art. 10, par 2 e 4, poiché detiene la totalità del
potere di voto della società che paga i dividendi – presuppone la prova di due essenziali elementi: a) che la
società del Regno Unito che riceve i dividendi ne sia la
“beneficiaria effettiva”; b) che la società madre inglese, che “riceve i dividendi ed il credito di imposta sia
a tale titolo soggetta all’imposta nel Regno Unito”.
E non può revocarsi in dubbio che l’onere della prova di
tali elementi, in quanto costitutivi del diritto del contribuente beneficiario dei dividendi a non subire una seconda tassazione della stessa ricchezza già tassata in
capo alla società, e di conseguire il rimborso di quanto
indebitamente pagato, debba fare carico – nel caso di
specie – alla società inglese che ha percepito i dividendi dalla controllata italiana (cfr. Cass. 8439/04,
24951/11). Per il che il credito di imposta riconosciuto
alla società madre dalla Convenzione Italia-Regno Unito al pari di ciò che accade nel diritto interno, ai sensi
dell’art. 14 d.P.R. 917/86 ed, ancor prima, dell’art. 2
l. n. 904/77 – intanto può ritenersi sussistente, in
quanto vi sia effettivamente duplicazione di imposta;
laddove manca quest’ultima, pertanto, non può neppure esservi riconoscimento alcuno del correlato credito di imposta.
Ebbene – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di
appello – nel caso concreto la Oxoid International Limited non ha assolto all’onere della prova sulla medesima
incombente, con riferimento agli aspetti suindicati.
4.3. Per guanto concerne, invero, il profilo
dell’effettiva percezione dei dividendi, dei quali la società madre deve essere “beneficiaria effettiva”, ai sensi dell’art. 10, par. 4 della Convenzione, è del tutto
pacifico tra le parti (v. controricorso p. 23), e risulta
dalla stessa impugnata sentenza, che detti dividendi non
sono stati effettivamente pagati in denaro, ma hanno costituito oggetto di novazione, mediante la stipula di due
diversi contratti di mutuo,
in forza dei quali
l’obbligazione di pagamento dei dividendi, in capo alla
società figlia italiana, è stata sostituita da quella di
restituzione del capitale mutuato alla società mutuataria
inglese. In forza dei suddetti contratti, infatti, (trascritti sul punto in ricorso) l’originaria obbligazione
di corresponsione dei dividendi è da considerarsi adempiuta mediante l’esecuzione dell’accordo novativo, trasfuso nei contratti stessi, in forza dei quali il novello
obbligo di restituzione del mutuo tiene luogo del primi-

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tivo obbligo di pagamento dei dividendi, con conseguente
estinzione – per effetto della novazione – del diritto
della società madre alla percezione degli utili stessi.
Orbene, va rilevato – al riguardo – che la Convenzione
Italia-Regno Unito è del tutto inequivoca nello stabilire
che la società inglese che riceve i dividendi debba esserne la “beneficiaria effettiva”, per averli materialmente ricevuti o per essere questi entrati nella sua disponibilità giuridica, come evidenziano i riferimenti
letterali alla società che “paga” i dividendi ed a quella
che “riceve” gli stessi, contenuti nei par. 2 e 4
dell’art. 10.
D’altro canto, anche nella disciplina interna dei dividendi viene operato un chiaro riferimento all’effettiva
corresponsione degli stessi, come si evince dall’art. 27
bis, co. 3 d.P.R. 600/73, laddove si riferisce al
periodo di imposta in corso alla data di pagamento dei dividendi”. E nel senso che per “utili distribuiti” che
concorrono a formare il reddito imponibile, ai fini della
determinazione del credito di imposta interno ex artt. 3
1. 904/77 e 14 d.P.R. 600/73, debbano intendersi gli utili “effettivamente percepiti dal soci”, si è espressa anche la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass.
15205/00).
4.3.1. Ebbene, va osservato – in proposito – che il mutuo, in quanto contratto di natura reale, si perfeziona
con la consegna di una determinata quantità di danaro (o
di altre cose fungibili), ovvero con il conseguimento
della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario (Cass. 2483/01, 14/11), che può ritenersi sussistente, peraltro, nella sola ipotesi in cui il mutuante
crei un autonomo titolo di disponibilità in favore della
controparte, in modo tale da determinare l’uscita della
somma dal proprio patrimonio e l’ingresso della stessa
nel patrimonio di quest’ultima (Cass. 11116/92, 6686/94).
Non può revocarsi in dubbio, pertanto, che – nel caso
concreto – pur non essendovi stata effettiva traditio del
denaro oggetto del mutuo, essendo la somma relativa già
nella detenzione della società mutuataria, si è, nondimeno, venuto a creare un diverso titolo di disponibilità
della somma medesima da parte della società italiana.
Detta somma è rimasta, infatti, sia pure a diverso titolo, nel patrimonio della mutuataria, con il consenso della mutuante, mentre avrebbe dovuto essere attribuita a
quest’ultima sub specie di utili societari. Per il che è
evidente, che – se non materialmente – l’importo in parola è pur sempre uscito giuridicamente dal patrimonio della mutuante inglese, per restare acquisito a quello della
mutuataria italiana, con la conseguenza che il contratto
di mutuo non può che ritenersi – per le ragioni suesposte
– regolarmente perfezionato tra le parti.
4.3.2. Tuttavia, se l’assenza di una movimentazione fisica di denaro dal mutuante al mutuatario non vale ad
escludere la sussistenza di un contratto di mutuo, a diversa conclusione deve pervenirsi per quanto attiene al
requisito – necessario per il riconoscimento del credito
di imposta – relativo alla corresponsione dei dividendi

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alla società madre inglese, essendosi anch’essa verificata – come ammesso dalla stessa Oxoid International Limited (p. 12 e ss. del controricorso) – “senza una movimentazione fisica di denaro” in direzione opposta alla precedente, ovverosia dalla società mutuataria a quella mutuante. Tale corresponsione dei dividendi sarebbe, invero, avvenuta – secondo la prospettazione della Oxoid International Limited, condivisa dalla CTR – mediante
l’estinzione per novazione della relativa obbligazione,
dalla quale sarebbe derivata comunque, secondo l’odierna
resistente, l’estinzione del diritto di credito del socio
a percepire gli utili distribuiti dalla italiana Oxoid
s.p.a.
Senonchè, la vista esigenza di una consegna effettiva dei
dividendi, per le ragioni suindicate, non consente di
considerare equipollente alla stessa la mera prefigurazione – nei contratti di mutuo succitati – di
un’obbligazione di restituzione in capo alla mutuataria,
che di per sé – a parere della contribuente inglese – sarebbe estintiva, mediante novazione, dell’originario obbligo di pagamento dei dividendi societari, e di conseguenza, dello stesso diritto di credito agli stessi (scaturente da detta obbligazione) in capo alla società mutuante. E’ fin troppo evidente, infatti, che la sostituzione della corresponsione effettiva degli utili in parola con un obbligo di restituzione di una somma di pari
importo, da parte della società distributrice dei dividendi, viene ad integrare di per sé, un mero riconoscimento di debito che – di certo – impedisce di considerare
la mutuante inglese “beneficiaria effettiva del dividendi”, ai sensi dell’art. 10, par. 4 della Convenzione Italia-Regno Unito.
4.3.3. Di più, l’assenza di movimentazione di denaro dalla mutuataria alla mutuante, in restituzione del mutuo
ricevuto ed in luogo del pagamento dei dividendi, al momento della domanda di restituzione del credito di imposta, vale altresì ad escludere la sussistenza di una valida novazione. Quest’ultima, invero, postula, non solo
l’aliquid novi, ossia il mutamento dell’oggetto e del titolo della prestazione, e l’animus novandi, corrispondente ad una manifestazione inequivoca dell’intento novativo, ma anche la sussistenza della causa novandi, intesa
come interesse comune delle parti all’effetto novativo
(Cass. 5665/10).
Ebbene, è evidente che, nel caso concreto, tale interesse
– seppure sussistente in capo alla mutuataria, che potrebbe liberarsi dell’obbligo di pagamento effettivo, mediante il mero impegno alla restituzione del mutuo – non
può ritenersi comune alla mutuante, posto che
quest’ultima finirebbe per non percepire alcunchè, non
avendo la novazione in parola carattere satisfattivo del
proprio diritto di credito.
Appare di chiara evidenza, pertanto, che l’intera operazione negoziale si iscrive nella problematica dell’abuso
del diritto, più volte affrontata dalla giurisprudenza di
questa Corte, che si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il consegui-

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mento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni
economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (cfr.
ex plurimis, Cass.S.U. 30055/08, Cass. 11236/11, Cass.
19234/12). L’operazione in parola appare finalizzata per vero – a consentire alla Oxoid International Limited
di costituire in Italia un fondo in elusione della corporation tax inglese, costituito dall’ammontare dei dividendi concessi a mutuo e non effettivamente corrisposti,
sottratti, quindi, alla tassazione inglese, ed – al contempo – di conseguire l’indebito rimborso di imposta,
nella misura riconosciuta dalla Convenzione Italia-Regno
Unito.
4.4. A tali – già di per sé assorbenti – profili va, dipoi, soggiunto che difetta del tutto, nella specie, anche
il requisito della soggezione all’imposta dei dividendi
in questione nel Regno Unito.
La menzionata attestazione britannica contiene, invero,
un generico riferimento alla residenza fiscale della
Oxoid International Limited nel Regno Unito, ed alla sua
soggezione – in via generale ed astratta – alla corporation tax, senza che riferimento alcuno sia – peraltro in essa contenuto ai dividendi in questione, ai fini della loro concreta soggezione a tassazione.
Orbene, non può revocarsi in dubbio che il credito di imposta, in quanto – come ampiamente chiarito in precedenza – si traduce in uno strumento per ovviare alla doppia
imposizione fiscale, postula che quest’ultima venga effettivamente in essere in relazione alla specie di reddito in considerazione, dovendone, cioè, sussistere, in
concreto, i relativi presupposti. Nel sistema nazionale,
ciò si traduce nell’esigenza – sussistente in relazione
sia alla l. 904/77, che all’art. 14 d.P.R. 600/73 – che
la detrazione del credito di imposta per agli utili distribuiti ai soci, non solo risulti dalla dichiarazione
dei redditi regolarmente presentata, ma sia stata anche
richiesta nella dichiarazione stessa (Cass. 9475/02).
Mutatis mutandis, è evidente che a radicare il diritto al
credito di imposta non può bastare, nei rapporti transfrontalieri tra società madre e società figlia, la mera
astratta soggezione della prima all’imposizione sui redditi di impresa nel Regno Unito, occorrendo la prova che
i dividendi percepiti dalla società distributrice italiana siano stati concretamente sottoposti a tassazione in
tale Paese. La ratio della Convenzione tra i due Stati
non è – per vero – quella di creare un’esenzione a favore
della società inglese percettrice di dividendi, ma solo
quella di non discriminarla rispetto ai percettori italiani di tali dividendi; il che – com’è ovvio – presuppone che essa sconti, al pari di questi ultimi – la doppia
imposizione degli utili, sia a carico della società erogante, sia in capo socio che li percepisce.
Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate è pienamente fondato.

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imposizione degli utili, sia a carico della società ero
gante, sia in ca o socio che li percepisce.
er tutte le ragioni suesposte, pertan o, il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate è pienamente fondato.
5. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione
dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1
c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla
contribuente.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno
poste a carico dell’intimata soccombente, nella misura di
cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei
giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della
contribuente; condanna l’intimata al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in 15.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate
tra le parti le spese dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezio e Tributaria, il 12.12.2012.

A-

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