Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4164 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 09/02/2022, (ud. 12/01/2022, dep. 09/02/2022), n.4164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANCINO Rossana – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17099-2016 proposto da:

V.R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

GRACCHI 123, presso lo studio dell’avvocato RAIMONDO DETTORI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CESARE BOSCHI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in personal del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO, CARLA

D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 105/2015 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 28/01/2016 R.G.N.

107/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2022 dal Consigliere Dott. CALAFIORE DANIELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato ANTONINO SGROI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 105 del 2015, la Corte d’appello di Cagliari, Sez. Distaccata di Sassari, rigettando l’impugnazione proposta da V.R. A. nei confronti dell’INPS avverso la sentenza di primo grado, ha confermato il rigetto della domanda proposta dal medesimo nei riguardi dell’INPS al fine di ottenere, previo riconoscimento dei contributi figurativi per malattia (ai sensi della L. n. 88 del 1987) e di tutti i contributi volontari versati, la declaratoria del diritto alla corresponsione della pensione di anzianità, richiesta con domanda del 25 marzo 2010, nella misura al netto di Euro 1.300 e la condanna dell’INPS al versamento delle relative somme, oltre che al risarcimento del danno per le certificazioni errate rilasciate.

Ad avviso della Corte territoriale, non poteva accogliersi la tesi sostenuta dall’appellante, secondo la quale l’insorgenza della malattia tubercolare comporterebbe di per sé il diritto al calcolo della contribuzione figurativa, anche nel caso in cui il soggetto colpito dalla patologia tubercolare – che aveva goduto del relativo trattamento in quanto familiare a carico di un assicurato-avesse prestato attività lavorativa successivamente alla guarigione; ciò in quanto tale interpretazione è contraddetta dalla L. n. 218 del 1952, art. 4, comma 4, come sostituito dalla L. n. 419 del 1975, art. 7, non modificato dalla L. n. 88 del 1987, nella parte in cui espressamente stabilisce che la misura dei contributi da accreditare è pari alla classe media dei contributi effettivamente versati nell’anno precedente il primo ricovero, comunque non inferiore alla classe decima del D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, tabella B allegata; era, pertanto, necessario il versamento di almeno un contributo settimanale nell’anno precedente all’insorgere della malattia per fruire della contribuzione figurativa. Quanto, poi, al profilo relativo al mancato riconoscimento dei contributi volontari, la Corte territoriale ha osservato che la questione andava risolta alla luce del disposto del D.Lgs. n. 184 del 1997, art. 6, comma 2, che non ammette la contribuzione volontaria per contestuali periodi di assicurazione ad una forma di previdenza obbligatoria per i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, autonomi e professionisti, nonché per i periodi successivi alla data della pensione diretta liquidata a carico delle predette forme di previdenza.

Il senso di tale norma, ha reputato la Corte territoriale, non viene contraddetto dal D.M. n. 282 del 1996, emanato a seguito dell’istituzione della gestione separata, in quanto tale decreto autorizzava, a titolo di salvaguardia delle relative posizioni, il versamento dei contributi volontari contemporaneamente a quelli da versare alla gestione separata solo ai soggetti che erano stati autorizzati prima della istituzione della stessa gestione separata, ipotesi diversa da quella in esame.

Il capo di domanda relativo al risarcimento del danno andava pure respinto in quanto nessuna responsabilità poteva attribuirsi all’INPS per effetto della comunicazione dell’estratto conto contributivo, atteso il suo valore meramente informativo, ben diverso dal valore dei certificati appositamente rilasciati al fine di assumere decisioni sulla presentazione della domanda di pensionamento.

Avverso tale sentenza ricorre V.R. A. sulla base di quattro motivi, illustrati da successiva memoria.

Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con un primo motivo di ricorso, rubricato al n. 1, si denuncia dapprima la violazione della L. n. 88 del 1989, art. 54, in relazione alla valenza dell’estratto conto contributivo a richiesta dell’assicurato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e, successivamente, la nullità della sentenza per omessa, apparente e/o contraddittoria motivazione in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Il ricorrente afferma che solo a seguito del presente giudizio ha appurato che sia la contribuzione figurativa, connessa alla tubercolosi, che quella volontaria, versata in costanza di iscrizione alla gestione separata, non consentivano di integrare il presupposto contributivo utile ad ottenere la pensione di anzianità richiesta ed addebita all’INPS di averlo indotto a presentare la relativa domanda sulla base di un falso convincimento.

Tale condotta, rileva il ricorrente, costituisce inadempimento (rilevante ai sensi dell’art. 1218 c.c.) dell’obbligo incombente sull’INPS, ai sensi della L. n. 88 del 1989, art. 54, di comunicare all’assicurato che ne faccia richiesta i dati relativi alla propria posizione previdenziale e pensionistica. Del tutto errata e’, ad avviso del ricorrente, la tesi sostenuta dalla sentenza impugnata secondo cui la responsabilità dell’Inps sarebbe, nel caso, esclusa in quanto quelli rilasciati sarebbero meri estratti conto contributivi aventi natura ricognitiva e non certificativa. La sentenza impugnata, sostiene il ricorrente, non avrebbe dato conto in alcun modo dei contenuti della disposizione citata, limitandosi a motivare il rigetto, in modo del tutto apparente, solo riferendosi alla natura meramente ricognitiva dell’estratto conto dell’8 ottobre 2009 e sul rilievo che lo stesso atto conteneva l’avvertimento, non raccolto dal ricorrente, di rivolgersi all’INPS prima di assumere decisioni sulla presentazione della domanda di pensione.

Con il secondo motivo, si rileva l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nonché omessa ed apparente e/o contraddittoria motivazione in ordine al rilascio degli estratti contributivi a richiesta dell’assicurato, circostanza che – come sopra indicato-il ricorrente ritiene sufficiente a fondare la responsabilità dell’INPS e che la Corte territoriale aveva del tutto omesso di valutare.

Con il terzo motivo, si deduce la violazione degli artt. 1175,1176 e 1375 c.c. in relazione ai principi dell’affidamento e nuovamente nullità della sentenza, dovendosi ritenere che anche dall’estratto contributivo rilasciato dall’INPS senza valore di certificazione si genera un affidamento del lavoratore da tutelare, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimità.

Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia, sotto il profilo del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, nonché – nuovamente- omessa o apparente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto decisivo per giudizio, costituito dalla condotta dell’INPS non conforme agli artt. 1175,1176 e 1375 c.c. ed alla presenza di errori negli estratti contributivi all’affidamento ingenerato dall’INPS in presenza di errori commessi dall’INPS.

I motivi, da trattarsi congiuntamente stante la evidente connessione generata dalla centralità della questione relativa alla applicabilità alla fattispecie in esame del disposto della L. n. 88 del 1989, art. 54, sono inammissibili in relazione alle doglianze riferite ai vizi di motivazione ed infondati quanto ai profili di violazione di legge.

In particolare, il vizio di motivazione contraddittoria non è più coperto dalla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha affermato il principio secondo cui in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (tra le tante vd. Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 22958 del 2018).

Nessuna di tali ipotesi estreme di vizio della motivazione è presente nel caso di specie, in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto infondata la pretesa risarcitoria dopo aver considerato la valenza meramente ricognitiva del documento rilasciato dall’INPS, negando che nel medesimo potesse ravvisarsi un atto certificativo idoneo a generare la relativa responsabilità. Tale affermazione può, in tesi, essere erronea ma certamente è sufficiente a rendere palese le ragioni del rigetto. Neppure è configurabile l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che il ricorrente individua nella asserita erronea valutazione della concreta fattispecie, giacché il citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella vigente formulazione, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto tali caratteri non sussistono se, come nel caso di specie, il motivo, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; Cass. n. 5987 del 2021).

Quanto ai profili di violazione di legge sollevati dal ricorrente, va osservato che gli stessi si fondano sulla tesi che l’Inps sarebbe tenuto al risarcimento del danno procurato all’interessato per violazione degli artt. 1175 e 1176 c.c., oltre che della L. n. 88 del 1989, art. 54, essendo unici elementi costitutivi della domanda risarcitoria l’erroneità dei dati comunicati.

Va rimarcato che la sentenza impugnata ha fondato la decisione di rigetto della domanda di risarcimento del danno sulla considerazione, come già ritenuto dal primo giudice, della negazione di una assunzione di responsabilità certificatoria da parte dell’Istituto derivante dai contenuti della nota posta in calce ai documenti (cfr. estratto conto del 8.10.2009), con cui si comunicava che l’estratto aveva valore puramente informativo e si invitava l’interessato a rivolgersi all’INPS prima di assumere decisioni in ordine al pensionamento.

A fronte di tale motivazione, che riposa essenzialmente sulla negazione della valenza certificatoria della comunicazione dell’INPS, il ricorrente invoca una tutela risarcitoria che, a ben vedere ed a prescindere dalla concreta attitudine del documento indicato (di cui comunque non si riporta il contenuto né si allega) ad essere considerato come atto certificativo, non risponde alla specifica previsione della L. n. 88 del 1989, art. 54, né alla responsabilità derivante dall’art. 1218 c.c.

Si ritiene infatti che la comunicazione sia errata quanto alla contribuzione volontaria versata, con ciò confondendosi la effettiva corresponsione della detta contribuzione, che rende possibile ipotizzare la erroneità della attestazione, con la sua efficacia giuridica che, evidentemente, non può formare oggetto di certificazione alcuna.

La responsabilità che la legge attribuisce all’INPS per le ipotesi previste dalla L. n. 88 del 1989, art. 54, non è comprensiva anche della definitiva efficacia della contribuzione effettivamente versata al fine di costituire la posizione contributiva dell’assicurato e ciò, a maggior ragione, nel caso in cui, come è avvenuto nella presente fattispecie, si tratti di assicurato non lavoratore dipendente.

Sul punto questa Corte di legittimità ha affermato che in tema di prestazioni previdenziali, l’erronea certificazione resa dall’ente previdenziale all’assicurato, che sia lavoratore autonomo, circa la sua posizione contributiva, non comporta la responsabilità risarcitoria, di natura contrattuale, dell’ente, poiché il valore certificativo delle comunicazioni L. n. 88 del 1989 ex art. 54, può logicamente predicarsi soltanto per quelle concernenti i dati di fatto della posizione previdenziale rilasciate ad assicurati che, rispetto al rapporto contributivo sulla cui base è modulato il loro rapporto previdenziale, siano terzi, e, quindi, non possano avere conoscenza alcuna dei predetti dati, ma non anche per le comunicazioni rilasciate ad assicurati che siano anche parte del rapporto contributivo stesso, i quali non possono fondare alcun affidamento meritevole di tutela su eventuali errori compiuti dall’ente nella comunicazione di notizie che rientrano nella loro diretta sfera di conoscibilità (Cass. n. 6643 del 2020).

La consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità formatasi sul punto della responsabilità dell’Inps si radica infatti in ipotesi in cui errate certificazioni abbiano indotto l’interessato a cessare il rapporto di lavoro sul presupposto erroneo della sussistenza della contribuzione utile a fruire del trattamento pensionistico (cfr. Cass. 8 novembre 1996, n. 9776; 18 novembre 2000, n. 14953; 19 maggio 2001, n. 6867; 22 maggio 2001, n. 6995; 17 dicembre 2003, n. 19340; 28 marzo 2008, n. 8118; 30 marzo 2010, n. 7683; 3 febbraio 2012, n. 1660; 1 marzo 2012, n. 3195 e le più recenti Cass. 16 dicembre 2013, n. 28023; 8972/2014; n. 23282 del 2016; n. 2468 del 2018), ed in tale specifico contesto si è affermato che l’obbligo che fa carico all’Istituto, ai sensi della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 54, di comunicare all’assicurato che ne faccia richiesta, i dati relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica determina responsabilità contrattuale nel caso di inosservanza generi danno, posto che la norma prevede che “La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta”; la violazione dell’obbligo di comunicazione cui fa riferimento la norma di cui all’art. 54. cit., presuppone una specifica richiesta dell’interessato, e proprio per la indicata funzione attribuita dalla legge alla comunicazione cui l’ente previdenziale è tenuto in ordine alla situazione previdenziale e pensionistica dell’assicurato, legittimamente costui fa affidamento sulla esattezza dei dati a lui forniti.

Alla luce degli indicati principi e conformemente al dettato normativo, la pretesa risarcitoria agitata in causa è infondata. L’obbligo di comunicare informazioni esatte tutela l’affidamento che l’assicurato ripone nella correttezza delle informazioni stesse e genera responsabilità quando sulla base delle stesse l’assicurato effettui la scelta di risolvere anzitempo il proprio rapporto lavorativo, ma tale fattispecie di induzione in errore non caratterizza il caso in esame dove l’interessato, iscritto alla gestione separata, assume semplicemente di aver diritto al trattamento pensionistico di anzianità a partire da una certa data e si rammarica di aver inutilmente versato contribuzione volontaria.

Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

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