Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4163 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 09/02/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 09/02/2022), n.4163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17994-2016 proposto da:

R.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO

28, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CIRCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA GABRIELLA DEL ROSSO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 40/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/01/2016 R.G.N. 92/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

15/12/2021 dal Consigliere Dott. SPAZIANI PAOLO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza del 20 gennaio 2015, il Tribunale di Firenze, in accoglimento della domanda proposta da R.P., dichiarò non dovuta da quest’ultimo la somma di Euro 9.621,39, pretesa dall’INPS a titolo di ripetizione dell’indebito formatosi in ragione del superamento del limite di cumulabilità del trattamento di reversibilità con il reddito da pensione diretta a carico dell’INPDAP di cui il ricorrente era titolare;

il tribunale, facendo applicazione della disposizione contenuta nella L. n. 88 del 1989, art. 52, come autenticamente interpretata da quella di cui alla L. n. 412 del 1991, art. 13 – e considerato che, in base ai dati contenuti nel c.d. casellario centrale delle pensioni, istituito dal D.P.R. n. 1388 del 1971, la titolarità della pensione INPDAP dovesse essere reputata un dato conosciuto dall’Istituto, con conseguente inesistenza di obblighi informativi in capo al pensionato – ritenne che l’indebita erogazione fosse imputabile esclusivamente all’INPS, il quale, pertanto, non poteva ripetere ciò che aveva pagato;

con sentenza del 19 gennaio 2016, la Corte di appello di Firenze, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dall’INPS, ha limitato la dichiarazione di irripetibilità alle sole quote di pensione percepite in eccedenza dall’appellato negli anni 2005 e 2006;

la Corte territoriale ha fondato la decisione sul rilevo che la L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 2, autorizza comunque l’Istituto a provvedere al recupero delle somme versate in eccedenza, purché “entro l’anno successivo” a quello in cui ha avuto conoscenza della situazione reddituale dell’interessato e che, nel caso di specie, la “pacifica richiesta di ripetizione” era stata posta in essere nel giugno 2008, cosicché doveva consentirsi all’INPS di recuperare le quote di pensione che erano state versate in eccedenza negli anni 2007 e 2008;

avverso questa sentenza R.P. ha proposto ricorso per cassazione, cui l’Inps ha risposto con controricorso; nessuna delle parti ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. l’unico motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

il ricorrente – dopo aver ricordato che aveva ricevuto dall’INPS numerose comunicazioni (la prima, del 10 giugno 2008, con cui gli era stato contestato l’indebito; la seconda, del 23 luglio 2008, con cui la precedente contestazione era stata annullata, sul presupposto che, a seguito di ricalcolo della pensione dalla decorrenza originaria, non erano risultate somme a credito o a debito fino al 31 agosto 2008; e la terza, del 26 aprile 2011, con cui l’istituto gli aveva nuovamente richiesto la restituzione della somma di Euro 9.621,39) – si duole che la sentenza impugnata non abbia tenuto conto del fatto decisivo consistente nella comunicazione, da parte dell’INPS, della nota del 23 luglio 2008, a cui avrebbe dovuto ricollegarsi l’effetto di annullamento della precedente nota del 10 giugno 2008, con conseguente spostamento in avanti del termine a partire dal quale avrebbe dovuto calcolarsi, a ritroso, l’anno utile per il recupero, termine da ritenersi coincidente con la successiva nota del 26 aprile 2011; ciò che avrebbe determinato anche l’irripetibilità delle somme erogategli negli anni 2007 e 2008;

1.1. il motivo è infondato;

l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente “questioni” o “argomentazioni”, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019, Rv. 655413-01; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018, Rv. 651305-01);

nella specie, la controversia, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, non concerne il fatto storico in sé considerato (essendo pacifica e indiscussa tra le parti la circostanza relativa alla trasmissione, da parte dell’INPS, della nota del 23 luglio 2008) ma la questione degli effetti giuridici ad esso ricollegabili, in quanto il ricorrente sostiene che la nota in parola avesse l’effetto di “disattendere e superare” la precedente nota del 10 giugno 2008, mentre l’INPS ritiene che essa recasse un mero “riconteggio” della pensione, effettuato proprio sul presupposto della recente contestazione di indebito;

non viene in considerazione, dunque, l’omesso esame di un fatto storico decisivo e controverso (unica censura prospettabile con il mezzo dedotto) ma la (presunta) omessa valutazione della questione degli effetti giuridici riconducibili ad un atto amministrativo;

tale presunta omissione, inoltre, non è neppure effettivamente riscontrabile nella sentenza impugnata, poiché la Corte di appello, nel ritenere “pacifica la richiesta di ripetizione del giugno 2008” (quint’ultimo rigo prima del dispositivo della sentenza medesima) implicitamente, ma perspicuamente, ha escluso, con giudizio di merito insindacabile in questa sede, che la successiva nota del 23 luglio 2008, avesse l’effetto di annullare la precedente;

il ricorso va pertanto rigettato;

2. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo;

3. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quarta Sezione Civile, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

 

 

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