Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41622 del 27/12/2021

Cassazione civile sez. I, 27/12/2021, (ud. 10/12/2021, dep. 27/12/2021), n.41662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18705/2020 proposto da:

T.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Amelia Aprea,

in forza di procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 3838/2020 del Tribunale di Napoli

depositato il 28/5/202021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/21, da Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Napoli, con decreto n. cronol. 3838/2020, depositato il 28/5/2020, ha respinto la richiesta di T.S., cittadino del (OMISSIS), a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici di merito hanno rilevato che la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, a causa della militanza politica in un partito all’opposizione, essendo egli ricercato, dal 2010, dalla Polizia) era non credibile, per genericità, e non ricorrevano, anche perché i fatti avevano comunque perso di attualità (potendo lo straniero, in caso di rientro in Patria, al più, essere ritenuto “un ex militante di un vecchio partito di opposizione”), le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, anche D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), non sussistendo una situazione di violenza indiscriminata in (OMISSIS), secondo le fonti consultate ((OMISSIS), Jeune Afrique, United States Department of States, 2019; (OMISSIS); (OMISSIS)), pur soffrendo il Paese di “gravi violazioni dei diritti umani”; non poteva accogliersi la richiesta di concessione del permesso per ragioni umanitarie, non essendo neppure state allegate ragioni di personale vulnerabilità dello straniero, avendo il ricorrente ricollegato il diritto alla protezione umanitaria a situazioni generalizzate.

Avverso la suddetta pronuncia, T.S. propone ricorso per cassazione, notificato il 26/6/2020, affidato ad un motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dall’occupazione lavorativa (contratto di lavoro a tempo indeterminato) del richiedente, allegata in sede di adunanza svolta con modalità di trattazione scritta, D.L. n. 18 del 2020, ex art. 83, comma 7, lett. h) dinanzi al Tribunale del 26/5/2020 (avendo prodotto con nota scritta “Comunicazione Unilav relativa a contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato”), idoneo a fondare un diverso giudizio di comparazione, anche considerando che il Tribunale aveva comunque rilevato criticità, sotto il profilo del rispetto dei diritti umani fondamentali, in (OMISSIS).

2. La censura è inammissibile.

Anzitutto, il ricorrente ha indicato la sede in cui il documento è stato prodotto nel merito e dove esso è rinvenibile (Cass. SU 7161/2019; Cass. 28004/2020). Tuttavia, mentre in ricorso si deduce che il documento sarebbe stato allegato con “nota di udienza del 26/5/2020”, svoltasi, a causa dell’emergenza sanitaria da pandemia Covid-19, con modalità telematica, nei documenti allegati al ricorso per cassazione nn. 7 e 8 si fa riferimento a documentazione allegata “con nota di deposito dell’11/10/2019”.

In ogni caso, in ricorso, non si spiega perché il solo documentato rapporto di lavoro, senza altra specificazione, dovrebbe risultare decisivo ai fini della chiesta protezione umanitaria, limitandosi a richiamare, ai fini del giudizio comparativo, un passaggio argomentativo in cui il Tribunale ha sì rilevato alcune criticità in (OMISSIS), aggiungendo tuttavia che “nessuno di tali aspetti critici riguarda personalmente il richiedente”.

Ora, le Sezioni Unite (Cass. 24413/2021) si sono nuovamente pronunciate sul tema della protezione umanitaria, alla stregua del testo del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, anteriore alle modifiche recate dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, e del contenuto della valutazione comparativa affidata al giudice, tra la situazione che, in caso di rimpatrio, il richiedente lascerebbe in Italia e quella che il medesimo troverebbe nel Paese di origine, già condiviso dalle Sezioni Unite, con la precedente sentenza n. 29459/2019, affermando il seguente principio di diritto: “In base alla normativa del T.U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese d’origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno”.

Nel presente giudizio, il Tribunale ha escluso una situazione personale di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, meritevole di protezione per ragioni umanitarie, rilevando che non era stata neppure allegata documentazione dal richiedente, al fine di integrare il requisito della effettiva integrazione, sociale e lavorativa, nel nostro Paese e, nel ricorso, ci si limita a ritenere pregiudizievole il rientro nel Paese d’origine dopo alcuni anni di soggiorno in Italia (dal 2017), avendo il richiedente, nel corso del 2020, documentato lo svolgimento di un’ attività lavorativa.

Ma anche ai fini del vaglio di c.d. comparazione attenuata, il livello di integrazione in Italia, sotto il profilo sociale, lavorativo, familiare, deve essere davvero significativo ed effettivo.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021

 

 

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