Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 41597 del 27/12/2021
Cassazione civile sez. I, 27/12/2021, (ud. 23/11/2021, dep. 27/12/2021), n.41597
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 10451/2015 proposto da:
S.G.F.; S.Q.L.;
Sp.Ga.; Sp.Gi., elettivamente domiciliati in Roma, Largo
Appio Claudio n. 395, presso lo studio dell’Avv. Marchianò
Vincenzo, rappresentati e difesi dall’avvocato Chiodo Roberto, con
procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrenti –
contro
A.N.A.S. s.p.a., Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, nella persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliata
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di BARI, n. 322/2014,
pubblicata il 13 marzo 2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23 novembre 2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.
Fatto
RILEVATO
CHE:
1. Con citazione notificata il 26 maggio 2000, S.G., S.L., Sp.Ga. e Sp.Gi. convennero innanzi al Tribunale di Bari l’Ente Nazionale per le strade (ora A.N.A.S. s.p.a.), esponendo che con decreti prefettizi del 31 maggio 1991 e 25 maggio 1993 fu disposta l’occupazione d’urgenza di terreni di loro proprietà, per la complessiva superficie di mq 7015, al fine di realizzare lavori di adeguamento della variante esterna agli abitati di (OMISSIS); eseguite tali opere, l’A.N.A.S. non aveva corrisposto alcuna indennità, né emesso il decreto d’esproprio; pertanto, chiedevano la condanna dell’A.N.A.S. al risarcimento dei danni pari al valore di mercato del terreni occupati all’epoca dell’immissione in possesso, e al valore delle addizioni e pertinenze ablate.
2. Disposta consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza n. 85 del 25 maggio 2009, il Tribunale accolse la domanda, condannando I’A.N.A.S. al pagamento della somma di Euro 80.392,83 a titolo di risarcimento dei danni, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 30 maggio 1995 (data indicata quale irreversibile trasformazione del fondo). Avverso tale sentenza propose appello I’A.N.A.S., deducendo l’erronea determinazione del valore di terreni occupati e del calcolo di interessi e rivalutazione. In particolare, l’appellante si doleva del fatto che il Tribunale avesse erroneamente ritenuto che i terreni fossero coltivati a vigneto, a fronte della consulenza tecnica d’ufficio dalla quale, invece, sarebbe stato desumibile che la coltura in atto al momento dell’occupazione era quella seminativa, con conseguente riduzione del relativo valore, chiedendo pertanto che, in riforma della sentenza impugnata, parte attrice fosse condannata a restituire la somma già corrisposta, in esecuzione della sentenza di primo grado, di Euro 175.178,57. Si costituirono gli appellati, eccependo l’inammissibilità e l’improponibilità del gravame e proponendo appello incidentale in ordine al mancato accoglimento della domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima.
3. Con sentenza del 13 marzo 2014, la Corte d’appello ha accolto il gravame principale e, in parte, quello incidentale.
4. Con riguardo all’appello principale, la Corte territoriale ha osservato che gli appellanti non avevano dimostrato che il suolo di loro proprietà avesse, prima dell’occupazione, la destinazione a vigneto, non avendo alcun valore dirimente né le indicazioni catastali, di cui all’atto pubblico del 1989, né le dichiarazioni rese da Sp.Ga. in sede di redazione del verbale di consistenza; la destinazione seminativa dei terreni risultava, invece, comprovata dalla consulenza tecnica d’ufficio; di conseguenza, era dovuta dall’A.N.A.S. la minore complessiva somma di Euro 25.190,83 (di cui 17.256,90 pari al valore stimato dei terreni e la differenza a titolo risarcitorio dei danni relativi ai manufatti, addizioni e pertinenze); al riguardo, erroneamente gli interessi legali e la rivalutazione erano stati calcolati dalla data dell’illecito sino al soddisfo, anziché fino alla data della decisione, considerato che, per effetto della sentenza di primo grado che aveva liquidato il danno, l’originario debito di valore extracontrattuale si era trasformato in debito di valuta, per cui dal giorno del deposito della stessa sentenza non erano dovuti gli interessi compensativi e la rivalutazione, ma solo gli interessi corrispettivi sulla sorta capitale.
5. Sull’appello incidentale, la Corte di merito ha osservato che, sebbene proposta solo nelle difese conclusionali, la domanda relativa all’indennità d’occupazione legittima era fondata essendo la Corte territoriale competente in grado unico, considerato che tale domanda era stata espressamente formulata nell’appello incidentale, e pertanto ha condannato l’A.N.A.S. al pagamento, a tale titolo, della somma ulteriore di Euro 5.752,30 oltre interessi legali.
6. S.G.F.; S.Q.L.; Sp.Ga.; Sp.Gi. ricorrono in cassazione con un unico motivo, illustrato con memoria.
7. L’A.N.A.S. s.p.a. non ha svolto difese.
8. Con ordinanza interlocutoria del 19 marzo 2021, questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendo la rinotifica del ricorso presso l’Avvocatura Generale dello Stato, essendo stato notificato presso l’Avvocatura distrettuale, concedendo giorni 60 dalla comunicazione dell’ordinanza per la notificazione del ricorso.
9. All’esito della disposta notifica, l’ANAS s.p.a. ha depositato controricorso.
10. I ricorrenti hanno depositato memoria.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo ed unico motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 15,16 e 40 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perché la Corte d’appello aveva interpretato erroneamente le suddette norme sui criteri della liquidazione dell’indennizzo per l’occupazione, avendo considerato i terreni, ai fini della stima del valore, come seminativi. Al riguardo, i ricorrenti assumono che tali terreni erano inclusi in una più ampia zona destinata esclusivamente alla produzione di uva da tavola, come accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio ed evidenziato da vari elementi, quali le dichiarazioni rese da Sp.Ga. in sede d’immissione in possesso dei beni in ordine a lavori in corso di trasformazione del fondo, sospesi a seguito della notifica del provvedimento e l’omesso rilievo, da parte della Corte territoriale, che nell'(OMISSIS), ove erano situati i terreni per cui era causa, esistevano solo terreni destinati a vigneto; la sentenza impugnata, dunque, non aveva tenuto conto, come aveva invece fatto il giudice di primo grado, dell’effettivo valore agricolo di mercato, come determinato dal consulente tecnico d’ufficio attraverso l’esame di atti di compravendita di immobili aventi le medesime caratteristiche.
1.1 Premessa l’inammissibilità del motivo, formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), deve rilevarsi che la censura formulata, sebbene denuncia, formalmente, una violazione di legge e l’assenza di motivazione, involge esclusivamente questioni di merito.
Ed infatti la doglianza si limita a dedurre l’erroneità del valore dell’area assunta in concreto dalla Corte territoriale (del tutto esterno all’esatta interpretazione ed applicazione della legge) e si risolve solo in una censura di difetto di motivazione; peraltro, essendo stata la sentenza stata pubblicata il 13 marzo 2014, il motivo di ricorso va letto alla luce del testo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, che nel sopprimere ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza, rende denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale, che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, e che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053) e, beninteso, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, dovendo, al riguardo, aggiungersi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (Cass., 10 gennaio 2017, n. 278).
1.2 Ed invero, la Corte d’appello, nel caso in esame, dopo avere individuato correttamente la normativa applicabile, ovvero la L. n. 865 del 1971, art. 15 non essendo applicabile ratione temporis il D.P.R. n. 327 del 2001, entrato in vigore il 30 giugno 2003, ha affermato che il consulente tecnico d’ufficio aveva accertato la destinazione culturale “seminativo” e che gli appellati non avevano fornito la prova che il suolo avesse, prima dell’occupazione, la destinazione a vigneto, non assumendo rilievo dirimente, né le indicazioni catastali di cui all’atto pubblico del 1989, né le dichiarazioni rese da S.G. in sede di redazione del verbale di consistenza.
1.3 Peraltro, diversamente da quanto affermato dai ricorrenti, è vero che il tribunale aveva affermato che il suolo in questione, già prima dell’acquisto effettuato dagli attori, in data 2 dicembre 1989, era coltivato e destinato a vigneto per produrre uva da tavola, ma aveva, altresì, evidenziato che i terreni in esame, al momento dell’occupazione d’urgenza, erano in stato di riposo e, quindi, a seminativo, come rilevato nel verbale di consistenza ed immissione nel possesso dell’1 luglio 1991.
1.3 La Corte territoriale, quindi, ha condotto l’indagine relativa alla natura non edificatoria dell’area ai fini della quantificazione del relativo valore venale, al quale rapportare il risarcimento dovuto ai privati per la dismessa proprietà, tenendo conto della previsione degli strumenti urbanistici e “delle colture effettivamente praticate sul fondo espropriato”, come espressamente previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 15.
2. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va dichiarato inammissibile e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2021